Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3479 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1637/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOMECOGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– controricorrente –
Oggetto:
Fondazioni
lirico-
sinfoniche
–
nullità
contratti
a
termine
–
conversione
–
opposizione a PDA
avverso la sentenza n. 1771/2023 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/08/2023 R.G.N. 1590/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’odierna ricorrente aveva lavorato presso la Fondazione Teatro di San Carlo di Napoli in virtù di plurimi contratti a temine (e relative proroghe), analiticamente indicati per durata ed oggetto, svolgendo mansioni di tersicorea.
In particolare, aveva agito dinanzi al Tribunale di Napoli deducendo l’invalidità dei numerosi contratti stipulati a decorrere dal 2002 e per venti anni , per superamento della durata massima e per assenza di clausola giustificativa.
A sostegno della domanda aveva dedotto che vi era una esigenza stabile della posizione professionale della ricorrente in ragione della esiguità dell’organico funzionale del corpo di ballo (15 tersicorei stabili) rispetto alle reali dotazioni che ne prevede ben 43 e chiesto, previa dichiarazione di nullità dei contratti a termine, accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di superamento della durata massima dei contratti a termine ovvero dalla data di sottoscrizione del contratto impugnato per nullità della clausola temporale.
Il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso dichiarando l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro a decorrere dal 12/02/2019 e, per l’effetto, ha condannato la parte convenuta al risarcimento del danno nella misura pari a 6 mensilità.
Entrambe le parti hanno proposto appello, la lavoratrice in INDIRIZZO e la Fondazione Teatro in via incidentale.
La Corte d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello principale per quanto di ragione e in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Fondazione Teatro San Carlo di Napoli al risarcimento del
danno con il pagamento di un’indennità commisurata a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ed ha rigettato l’appello incidentale.
La Corte Territoriale ha, anzitutto, escluso la possibilità di conversione e/o trasformazione del rapporto in tempo indeterminato con susseguente riammissione in servizio della lavoratrice nelle medesime mansioni e funzioni impegnate ed indicate nella sentenza di primo grado richiamando Cass. n. 5542 del 22 febbraio 2023 .
Ha ritenuto, conformemente a quanto statuito sul punto dal Tribunale, che restavano fuori della decadenza solo i contratti a decorrere dal 12/02/2019 (dei quali ha ribadito l’illegittimità).
A differenza di quanto affermato d al giudice di primo grado, ha evidenziato che l’acclarata decadenza ex art. 28 d.lgs. n. 81/2015 non preclude il rilevamento del superamento del limite temporale massimo di 36 mesi stabilito per i contratti a termine.
Tale rilievo, evidentemente, preclusa essendo la sanzione della conversione, ad avviso della Corte d’appello, consente di tener conto anche dei contratti ricadenti nel periodo coperto da decadenza come antecedente storico per verificare l’abusiva reiterazione dell’utilizzo del contratto a termine e quindi ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria forfetizzata (come da Cass. n. 22861 del 21 luglio 2022 in materia di reiterazione di contratti di somministrazione).
Ha evidenziato che, alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte, il controllo della legittimità di tali contratti non può prescindere dalla valutazione dei pregressi rapporti a termine tra le parti, e ciò al fine di verificare l’eventuale superamento di un limite di durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della clausola 5 della Direttiva 1999/70/CE ed ha sul punto richiamato la cd. sentenza COGNOME, Corte di giust. 25 ottobre 2018, causa C-331/17) .
Accertata la configurabilità dell’abuso, la Corte territoriale, in aderenza ai principi sanciti da Cass., Sez. Un., n. 5542/2023, ha statuito il divieto di conversione del rapporto a termine e la condanna della Fondazione pagamento della sanzione nella misura massima prevista dall’art. 32 L. n. 183/2010 (12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).
La lavoratrice ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito la Fondazione Teatro San Carlo con controricorso.
Con provvedimento del 16/06/2024 la Consigliera delegata ha formulato proposta di definizione del ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. rilevando l’infondatezza delle censure.
La ricorrente, opponendosi alla proposta, ha presentato istanza di decisione ex art. 380 -bis , comma 2, cod. proc. civ.
È stata, quindi, depositata memoria illustrativa nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente, il collegio dà atto che, come affermato nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis .1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 12 delle preleggi in relazione agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 367/1996.
Assume che ad un ente avente natura privatistica, come espressamente previsto per le FLS (artt. 1 e 4 e d.P.R. n. 117/2011), va applicato il regime di lavoro dell’impiego privato in conformità all’espressa volontà del Legislatore, che risulta invalicabile per l’interprete del diritto.
ontesta alla Corte d’appello di aver aderito all’orientamento espresso dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite n. 5542 e n. 5556 del 22 febbraio 2023, che avrebbero operato ‘una regressione a zero della costante nomofilassi della natura giuridica delle FLS e dei rapporti di lavoro alle loro dipendenze (e, dunque, della sanzione principe della conversione in tempo indeterminato) operando un macroscopico errore interpretativo, ossia un interpretazione contraria all’espressa disposizione normativa e per tal guisa violativa degli artt. 12 e 14 Preleggi’. Precisa ancora la lavoratrice che ‘le S.U. del 22.02.2023, pur asseverando che le fondazioni lirico sinfoniche hanno natura formalmente privata, in ragione dei vincoli imposti dal Legislatore per il perseguimento del vincolo di bilancio delle FLS ritiene che la disciplina dei rapporti di lavoro sia da individuare in quella dell’impiego pubblico di cui al d.lgs. n. 165/2001. Col che, operando, di fatto, una interpretazione contra legem , ossia contro l’espressa volontà del Legislatore stesso’.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 12 e 14 Preleggi in relazione all’art. 22 del d.lgs. n. 367/1996 ed all’art. 3, comma 5, d.P.R. n. 117/2011.
Assume che la Corte napoletana abbia erroneamente dichiarato di aderire a quanto assumono le Sezioni Unite laddove nonostante l’art. 22 d.lgs. n. 367/1996 (all’unisono con l’art. 3, comma 5, del d.P.R. n. 117/2011, tutt’ora vigente) contenga l’espressa vox iuris e la inequivocabile intenzione del Legislatore di disciplinare il lavoro subordinato alle dipendenze delle fondazioni lirico sinfoniche secondo il regime di diritto comune, ossia dell’impiego privato – sanciscono che, le
peculiarità della disciplina dei rapporti di lavoro a termine delle FLS (in ragione della sussistenza di deroghe intersettoriali che caratterizzano tali rapporti di lavoro) appaiono analoghe a quelle che caratterizzano il pubblico impiego privatizzato, va applicata, in via analogica, a tali rapporti di lavoro, la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001, con la conseguente applicazione integrale dell’art. 35 sul requisito del concorso pubblico e dell’art. 36, comma 5 ( ex comma 2) sul divieto di conversione in caso di riscontrate nullità del lavoro atipico: l’opzione interpretativa risulta essere contra legem perché in aperta violazione delle espresse disposizioni del Legislatore ed in aperta antitesi della nomofilachia monolitica e consolidata delle Sezioni Unite, dal 1987 al 2023, delle Sezioni semplici della S.C., delle Sezioni Riunite della Corte dei conti e della giurisprudenza amministrativa, nonché in violazione del giudicato costituzionale di cui alla sent. n. 260/2015 e degli artt. 134 e 136 Cost. e degli artt. 27 e 30 della L. 53/1987.
Con il terzo motivo la ricorrente propone istanza ex art. 267 TFUE denunciando la violazione dell’art. 4 del T.U.E. e dell’art. 288 TFUE, ossia dei principi di leale cooperazione ed interpretazione conforme e del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie.
Assume che, indipendentemente dalla natura del datore di lavoro e dei rapporti di lavoro, appare manifestamente asseverata, ai capi da 69 a 72 della sentenza Sciotto, la sussistenza di una discriminazione indiretta tra i lavoratori a termine che possono aspirare a diventare lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori a termine che, nella medesima situazione di fatto e di diritto, il ragione della frapposizione di diritto interno del divieto di conversione, non possono aspirare a diventare lavoratori a tempo indeterminato, sì da richiedere l’applicazione del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie (CGUE sent. COGNOME e sent. COGNOME) applicandosi la tutela che risulta essere più favorevole al soggetto discriminato secondo i principi generali della protezione sociale ed occupazionale codificati dall’UE e dal
diritto interno (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.), la Corte territoriale, uniformandosi alle apodittiche affermazioni delle Sezione Unite del 22 febbraio 2023, assume, con rigetto implicito della questione sollevata sin dalle prime cure, che le discipline dell’impiego privato e dell’impiego pubblico non sono comparabili tra di loro e che, dunque, non può essere fatta rilevare la sussistenza di una discriminazione indiretta priva di ragione obbiettiva per il solo motivo di essere diverse tra di loro e, dunque, non sono suscettibili di consentire una comparazione ai fini del rilievo di una possibile disparità di trattamento.
I motivi sono tutti da disattendere per le ragioni di seguito illustrate.
La sentenza impugnata nell’escludere la possibilità della conversione in rapporto a tempo indeterminato e nel riconoscere al ricorrente il solo risarcimento del danno cosiddetto comunitario (liquidato equitativamente sulla base del criterio indicato da Cass., S.U., n. 5072/2016, richiamato quanto agli enti lirici da Cass., S.U., n. 5542/2023), si è uniformata al principio di diritto enunciato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 5542/2023, principio dal quale, ai sensi dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ. la sezione ordinaria non si può discostare. Infatti, ai sensi della disposizione indicata, un’eventuale non condivisione del principio affermato potrebbe, al più, giustificare una nuova rimessione alle stesse Sezioni Unite, della quale nella fattispecie difettano i presupposti, in quanto il ricorso muove da una lettura non condivisibile della citata pronuncia.
In particolare le Sezioni Unite, nel ricostruire la complessa normativa inerente agli enti lirici, come evolutasi nel tempo, non hanno negato la qualificazione in termini privatistici dagli stessi assunta (qualificazione che di conseguenza esclude che i rapporti di lavoro possano essere ritenuti di impiego pubblico, con conseguente applicabilità del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 36 che per gli enti pubblici non economici esclude l’instaurazione del rapporto tempo indeterminato quale effetto
dell’illegittimo ricorso al lavoro a termine) ma, richiamando Corte cost. n. 153/2011 e gli aspetti pubblicistici rimasti immutati all’esito della privatizzazione, hanno evidenziato che gli stessi giustificano ‘pur a fronte della qualificazione privatistica delle fondazioni e dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, deroghe alla disciplina dettata per i rapporti fra privati, disciplina alla quale, secondo un meccanismo non dissimile da quello indicato dal legislatore e da queste Sezioni Unite in tema di società a controllo pubblico, occorre, sì, fare riferimento, ma a condizione che non si rinvengano disposizioni speciali di settore o ragioni ostative di sistema’.
E non è senza rilievo sottolineare al riguardo che di detta disciplina derogatoria, via via adottata dal legislatore, dà atto anche la sentenza della Corte costituzionale n. 260/2015.
Il divieto di conversione è stato affermato dalle Sezioni Unite valorizzando i principi, più generali, in tema di nullità virtuale dei contratti, in relazione alle disposizioni di legge, ritenute imperative, che nel tempo hanno imposto alle fondazioni liriche divieti assoluti di nuove assunzioni o hanno subordinato l’instaurazione di stabili rapporti di impiego al previo superamento di procedure concorsuali. Le Sezioni Unite, infatti, hanno evidenziato che «sia la conversione disciplinata dall’art. 1424 cod. civ. sia quella, connotata da specialità, che tale si è soliti definire in ambito lavoristico, presuppongono che l’atto posto in essere possa validamente produrre gli effetti di altro contratto, sicché la stessa non può operare qualora quest’ultimo, a sua volta, si riveli affetto da nullità.»
Ciò detto va osservato che il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre ad una rimeditazione del principio già espresso (la cui correttezza, tra l’altro, trova conferma nella successiva evoluzione della normativa – v. infra ) giacché i contratti specificamente impugnati nel giudizio che ci occupa sono stati instaurati in un momento successivo all’entrata in vigore della normativa che ha imposto specifiche condizioni
per l’instaurazione dei rapporti a tempo indeterminato (non sono estensibili alla fattispecie principi affermati in relazione a rapporti a termine risalenti ad epoca antecedente al 2005, quando ancora i limiti assunzionali non erano stati posti dal legislatore).
Quanto, poi, alla violazione della clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE anche in tal caso il ricorso prospetta una lettura parziale della motivazione della sentenza CGUE 25 ottobre 2018, Sciotto, perché la Corte di Giustizia ha con chiarezza affermato che la clausola 5 impone unicamente di sanzionare in modo effettivo l’abuso nella reiterazione del rapporto a termine, ma non obbliga gli Stati membri a prevedere la necessaria conversione del rapporto medesimo in uno stabile rapporto di impiego. La pronuncia è stata resa sul presupposto che in caso di abuso l’ordinamento italiano non garantisse neppure il risarcimento del danno ed in tal senso è chiaro il punto 62 ove si evidenzia che ‘l’ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle fondazioni lirico-sinfoniche, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e ciò sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, COGNOME (C 494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all’attribuzione di un’indennità ai fini del risarcimento del danno subito’.
La medesima agevolazione probatoria, che Cass., Sez. Un., n. 5072/2016 ha ritenuto imposta dal diritto dell’Unione e che la CGUE ha ritenuto sufficiente a garantire il rispetto della clausola 5 (si rimanda alla citata sentenza COGNOME), è stata riconosciuta da Cass., Sez. Un., n. 5542/2023 anche in favore degli assunti a termine alle dipendenze delle fondazioni lirico sinfoniche, sicché, trattandosi di questioni sulle quali la Corte di Giustizia si è già pronunciata, non si ravvisa ragione alcuna per disporre il rinvio pregiudiziale (anche sul punto v. infra ).
10. Va detto, poi, che il ricorso, nella parte in cui prospetta il carattere discriminatorio del trattamento riservato ai dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche rispetto a quelli che nel medesimo settore operano alle dipendenze di privati, non considera la specialità della disciplina, che impone precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali) e che rendono le due situazioni a confronto non comparabili.
11. In sede di opposizione la ricorrente, sul presupposto che le Fondazioni liriche hanno natura privata, insiste perché venga sottoposte a revisione la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5542/2023 rilevando che tale decisione (e la gemella n. 5556) non ha fatto buon governo dell’art. 4 TUE e dell’art. 288 TFUE laddove assume che non è possibile una comparazione tra i lavoratori precari delle fondazioni e i lavoratori precari del regime generale dell’impiego privato (capo 25.2, sent. n. 5556/2023; capo 24.2, sent. n. 5542/2023), atteso che le due discipline, l’una correlata all’altra da un mero rapporto di species a genus, sono entrambe refluenti nell’ambito della disciplina di diritto comune del lavoro privato (alla cui disciplina è correlata la sanzione della trasformazione in tempo indeterminato in caso di nullità dei rapporti a termine: cfr. Corte cost. sent. n. 303/2011 – Massima n. 35924), per il solo fatto che il Legislatore (in piena violazione del giudicato costituzionale e delle norme UE frutto della nomofilachia della CGUE) ha previsto ‘ precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali) ‘ -rivelatisi invero insussistenti ed illegittimi.
Insiste affinché sia emessa ordinanza ex art. 267 TFUE, affinché la CGUE valuti la possibile sussistenza della violazione dell’art. 4 del TUE e dell’art. 288 TFUE da parte del comma 3 -ter , dell’art. 29, del d.lgs. n. 81/2015 (introdotto dal D.L. 59/2019 conv. con modif. in L. 81/2019),
sotto i diversi profili emarginati (violazione del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie -capi 69 a 72 sentenza COGNOME, capi 66 e 67 sentenza COGNOME e sentenza Egenberger, Grand Chambre; violazione del principio di non regresso delle tutele, Clausola 8.3 Direttiva 70/1999/CE).
In sede di memoria il ricorrente evidenzia che il Tribunale di Milano, con ordinanza del 07.10.2024 ha sollevato istanza pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.
Chiede, dunque, procedersi alla sospensione ex artt. 294 e/o 295 cod. proc. civ. del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia U.E.
Le suddette critiche e deduzioni devono essere disattese.
Ritiene il Collegio che non sussistano i presupposti per una nuova sottoposizione della questione posta alle Sezioni Unite di questa Corte.
Tulle le evidenziate questioni sono state ben tenute presenti nella decisione del massimo Collegio di legittimità.
Le Sezioni Unite, proprio sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia del 2018, hanno fugato ogni dubbio sulla presunta incompatibilità del divieto di conversione con la direttiva 1999/70/CE evidenziando che la clausola 5, punto 2, rimette, infatti, agli Stati membri la scelta di una o più misure indicate per prevenire l’abuso dei contratti a termine (indicazione delle ragioni oggettive, la durata massima complessiva dei contratti, il numero dei rinnovi); senza istituire ‘un obbligo generale (…) di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato’ , dovendo però ‘adottare misure che rivestano un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro’ .
In linea con tale interpretazione, non sorprende la disciplina attuale secondo la quale il rapporto di lavoro a termine può essere instaurato soltanto in presenza di ragioni oggettive contingenti o temporanee con atto scritto a pena di nullità, la cui violazione, al pari delle norme che dispongono la durata, la proroga o i rinnovi del contratto di lavoro, comporta il risarcimento del danno. Tale rimedio era, tra l’altro, già stato riconosciuto dall’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione a cui, evidentemente, la regolamentazione delle FLS si ispira e su cui già si era espressa la Corte di giustizia : non in ordine alla scelta del rimedio, del tutto legittima per quanto detto, ma alla sua effettività che è tale quando l’entità del risarcimento è conforme ai canoni comunitari di adeguatezza, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo ai contratti a termine.
15. Per il resto, il ricorrente propone una lettura delle decisioni delle sezioni unite che non corrisponde a quanto nelle stesse affermato.
In particolare non risulta fondato il rilievo, ribadito in sede di opposizione, che prospetta il carattere discriminatorio del trattamento riservato ai dipendenti delle fondazioni lirico sinfoniche rispetto a quelli che nel medesimo settore operano alle dipendenze di privati, trattandosi di situazioni non comparabili considerata la ben scandagliata specialità della disciplina degli enti lirici che impone precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali).
16. Le Sezioni Unite di questa Corte del 2023 hanno, poi, già escluso che la conversione del rapporto a termine possa derivare dalla necessaria conformazione al diritto dell’Unione ed in particolare alla clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, poiché l’ordinamento giuridico interno italiano, come richiesto dalla Corte di Giustizia europea, prevede, in tale settore, un’altra misura effettiva per
evitare, ed sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato,
Né il dedotto carattere privato delle Fondazioni liriche può condurre ad esiti diversi da quelli evidenziati dalle Sezioni Unite del 2023.
Queste ultime, muovendo, come sopra evidenziato, dalla distinzione tra imperatività e inderogabilità delle regole, hanno accolto la tesi, prevalente, secondo la quale sono inderogabili le disposizioni che impongono specifici comandi e divieti e, al contempo, imperative quando poste a tutela di un interesse generale, qui esplicitato nelle finalità attribuite alle FLS volte alla diffusione dell’arte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dell’educazione musicale della collettività che giustificano i vincoli imposti dall’ordinamento nella gestione del personale.
La natura imperativa delle disposizioni in esame ha, così, aperto alle Sezioni Unite la strada per sistematizzare le norme dedotte nell’ambito delle c.d. nullità virtuali, categoria che assolve al compito di consentire la dichiarazione della nullità dell’atto negoziale, anche quando, come nel caso di specie, la norma imperativa violata non preveda espressamente detta sanzione.
Nelle indicate sentenze, la Corte si è soffermata in particolare sul contenuto delle norme imperative.
Si tratta di una precisazione importante che fonda le sue radici nella teoria sulla separazione tra norme relative al contenuto del contratto (regole di validità) e norme che prescrivono comportamenti a carico di uno dei contraenti (regole di condotta). Soltanto le prime sono riconducibili all’ambito di applicazione del primo comma dell’art. 1418 cod. civ. Accedendo a tale tesi, i comandi e le disposizioni richiamati, in quanto regole che impongono una condotta, sarebbero pertanto estranee alla categoria delle nullità virtuali. Secondo le Sezioni Unite la suddetta contrapposizione perde, tuttavia, di significato, là dove ogni
regola giuridica è comunque regola di condotta dalla cui applicazione discende l’accertamento in merito alla validità o meno degli atti giuridici negoziali.
Il principio di separazione è volto, semmai, a impedire che l’invalidità del contratto possa derivare dalla violazione della clausola generale di correttezza e buona fede, in tal senso delimitando il significato di regola di condotta.
Pertanto, anche la disciplina vincolistica quanto alle assunzioni propria della FLS si presta a essere catalogata nella medesima classe normativa.
18. Si consideri, del resto, che, nel caso delle fondazioni liriche anche la normativa più recente – v. a
è poi aggiunto il d.l.
n. 59/2019 conv. in L. 8 agosto 2019 n. 81, con il quale si sono affrontate le molteplici questioni legate alle incertezze interpretative sul precariato e sull’assetto delle dotazioni organiche del personale. Il provvedimento ha ridisegnato, infatti, la procedura per la definizione della dotazione organica delle fondazioni lirico-sinfoniche, secondo uno schema tipo da adottarsi sulla base di un decreto. Le assunzioni di personale a tempo indeterminato potranno avvenire mediante apposite procedure selettive pubbliche, con modalità stabilite da ciascuna fondazione e nel rispetto dei princìpi di trasparenza, pubblicità e imparzialità nonché degli altri princìpi in vigore nelle pubbliche amministrazioni ed essere contenute, oltre che nel limite della dotazione organica, entro un contingente corrispondente alla spesa complessiva
del personale cessato nell’anno in corso e nei due anni precedenti, ferma restando le compatibilità di bilancio.
Sempre la legge n. 81/2019, quanto alle conseguenze della violazione delle norme riguardanti i contratti di lavoro a termine come regolati nel comma 3bis , esclude la conversione in contratti a tempo indeterminato, con diritto per il lavoratore al solo risarcimento del danno e con la possibilità per le fondazioni di recuperare le somme pagate nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave (v. art. 29, comma 3ter , d. lgs. n. 81/2015).
19. È così vieppiù confermata le peculiarità della disciplina dei rapporti di lavoro a termine delle FLS che presenta caratteristiche analoghe a quelle che caratterizzano il pubblico impiego privatizzato, così come già reso evidente nella disciplina della legge n. 100/2010, come riconosciuto pure dalla Corte costituzionale nella sentenza 21 aprile 2011, n. 153. In tale nuovo contesto, il ricorso al contratto a termine deve attenersi alla ratio sottesa alle regole speciali di una normativa dettata tenendo ancora una volta conto delle limitazioni economiche e normative gravanti sulle fondazioni lirico-sinfoniche.
20. L’impianto argomentativo delle Sezioni Unite ha tenuto conto delle evidenziate peculiarità delle fondazioni lirico-sinfoniche e le norme imperative lì messe in rilievo, attinenti alle modalità di assunzione del personale, sono state vieppiù valorizzate dal legislatore nei successivi interventi normativi.
Ed allora, i rilievi del ricorrente che insistono a monte sulla violazione del diritto unionale non colgono nel segno e non sono idonei non solo a confutare ma neppure a dubitare ragionevolmente della coerenza del complesso ragionamento posto a base delle indicate decisioni dovendosi ulteriormente ribadire che non è prospettabile una diversità di trattamento con i rapporti di diritto privato, perché, come chiaramente evidenziato dalle sezioni unite, le Fondazioni sono soggetti di diritto privato ma sottoposti ad una disciplina parzialmente derogatoria a quella
comune propria dei rapporti di lavoro alle dipendenze di soggetti di diritto privato.
Anche la richiesta di nuovo rinvio pregiudiziale alla CGUE non merita accoglimento essendosi quest’ultima già pronunciata con decisioni ben tenute presenti dalle Sezioni Unite di questa Corte.
Quanto poi all’ordinanza con la quale, in data 07/10/2024 il Tribunale di Milano ha sollevato istanza pregiudiziale ex art. 267 del TFUE, va osservato che non si verte in una ipotesi di sospensione obbligatoria.
Né si intravedono elementi di novità della prospettata rimessione rispetto a quanto la stessa Corte di Giustizia ha già affermato.
Basti ricordare che la pronuncia della Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2018, causa C-331/17, Sciotto, come già sopra ricordato, ha con chiarezza affermato che la clausola 5 impone unicamente di sanzionare in modo effettivo l’abuso nella reiterazione del rapporto a termine, ma non obbliga gli Stati membri a prevedere la necessaria conversione del rapporto medesimo in uno stabile rapporto di impiego. La suddetta decisione, inoltre, chiamata a decidere se la normativa nazionale (in particolare di cui all’articolo tre comma sei del decreto -legge numero 64 del 2010…, convertito, con modificazioni nella legge 29 giugno 2010 numero 100 nella parte in cui stabilisce che ‘non si applicano in ogni caso alle fondazioni lirico sinfoniche le disposizioni dell’articolo uno commi 1 e 2 del decreto legislativo 368 del 2001’ sia contraria alla clausola 5 dell’accordo quadro – ha evidenziato come in ogni caso agli Stati membri vada riconosciuta ‘un’ampia discrezionalità a tale riguardo dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o più misure enunciate dalla clausola 5 punto1 lettere da a) a c) oppure a norme equivalenti esistenti’. L’unico, invalicabile limite rimane tuttavia quello secondo cui il singolo Stato deve approntare efficaci mezzi legislativi idonei a prevenire l’abuso della successione dei contratti a termine.
Con specifico riferimento alle fondazioni lirico sinfoniche la Corte di giustizia ha (…) anche osservato che ‘è pacifico che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale consente l’assunzione, nel settore delle fondazioni lirico -sinfoniche, di lavoratori tramite contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione senza prevedere nessuno dei limiti di cui alla clausola 5, punto 1, lett. B) e C) dell’accordo quadro riguardo alla durata massima totale di tali contratti o al numero di rinnovi degli stessi’: tanto sopra in quanto si dà atto della specificità del settore caratterizzato da una programmazione annuale di spettacoli artistici che inevitabilmente comporta esigenze provvisorie in materia di assunzione. Così ha evidenziato che l’assunzione temporanea di un lavoratore debba radicarsi in una ‘ragione obiettiva’, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, come già ribadito con le sentenze del 26 novembre 2014 (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, COGNOME e a., punto 91), nonché del 14 settembre 2016 (causa C-16/15, COGNOME, punto 44). Pertanto, al fine di limitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a termine nelle fondazioni lirico-sinfoniche dove è ammessa la possibilità di ricorrere ai rinnovi, la Corte ha precisato che la nozione di ‘ragioni obiettive’ vada interpretata in termini restrittivi, dovendosi pertanto accertare la sussistenza di tale requisito con riguardo a circostanze precise e concrete, tali da giustificare l’utilizzo di una successione reiterata di contratti di lavoro a tempo determinato.
La disciplina nazionale, anche come modificata nel 2019, dunque, rispetta la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28.6.1999, come anche interpretata dalla Corte di Giustizia, nella citata sentenza COGNOME.
Sempre la Corte di Giustizia, con già ricordata sentenza 7 marzo 2018 (C-494/16, COGNOME), aveva già affermato la compatibilità della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a termine con una normativa nazionale che sanzionasse il ricorso abusivo ai contratti a termine
mediante il versamento al lavoratore interessato di una mera indennità risarcitoria, escludendo profili di discriminatorietà.
Nella ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano la prospettata questione pregiudiziale si risolve nella critica al ragionamento di questa Corte a Sezioni unite nelle citate sentenze nn. 5542 e 5556/2023 che non tiene conto della complessiva costruzione argomentativa come sopra sintetizzata.
Il ricorso, di conseguenza, va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00, per compensi professionali oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. al pagamento in favore della controricorrente dell’ulteriore somma equitativamente determinata di euro 2.000,00; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto
comma, cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 4 dicembre 2024.