Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3479 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 3479  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
–
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO  NOME COGNOME
AVV_NOTAIO rel. –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
AVV_NOTAIO –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1637/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME,  rappresentato  e  difeso dall’avvocato NOME, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante pro  tempore ,  domiciliato  in  INDIRIZZO presso  LA  CANCELLERIA  DELLA  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri;
– controricorrente –
Oggetto:
RAGIONE_SOCIALE
NOME–
RAGIONE_SOCIALE
–
nullità
contratti
a
termine
–
conversione
–
opposizione a RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza n. 1771/2023 della CORTE D’APPELLO di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 07/08/2023 R.G.N. 1590/2021; udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 04/12/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
L’odierna ricorrente aveva lavorato presso la RAGIONE_SOCIALE  in  virtù  di  plurimi  contratti  a  temine  (e  relative proroghe),  analiticamente  indicati  per  durata  ed  oggetto,  svolgendo mansioni di tersicorea.
In particolare, aveva agito dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE deducendo l’invalidità  dei  numerosi  contratti  stipulati a  decorrere  dal  2002 e  per venti anni , per  superamento  della  durata  massima  e  per  assenza  di clausola giustificativa.
A sostegno della domanda aveva dedotto che vi era una esigenza stabile della posizione professionale della ricorrente in ragione della esiguità dell’organico funzionale del corpo di ballo (15 tersicorei stabili) rispetto alle reali dotazioni che ne prevede ben 43 e chiesto, previa dichiarazione di nullità dei contratti a termine, accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di superamento della durata massima dei contratti a termine ovvero dalla data di sottoscrizione del contratto impugnato per nullità della clausola temporale.
Il Tribunale ha accolto parzialmente il ricorso dichiarando l’illegittimità  del  termine  apposto  ai  contratti  di  lavoro  a  decorrere  dal 12/02/2019  e,  per  l’effetto,  ha  condannato  la  parte  convenuta  al risarcimento del danno nella misura pari a 6 mensilità.
Entrambe  le  parti  hanno  proposto  appello,  la  lavoratrice  in  via principale e la RAGIONE_SOCIALE in via incidentale.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in accoglimento dell’appello principale per quanto di ragione e in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del
danno  con  il  pagamento  di  un’indennità  commisurata  a  12  mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto ed ha rigettato l’appello incidentale.
La Corte Territoriale ha, anzitutto, escluso la possibilità di conversione e/o trasformazione del rapporto in tempo indeterminato con susseguente  riammissione  in  servizio  della  lavoratrice  nelle  medesime mansioni e funzioni impegnate ed indicate nella sentenza di primo grado richiamando Cass. n. 5542 del 22 febbraio 2023 .
Ha ritenuto, conformemente a quanto statuito sul punto dal Tribunale, che restavano fuori della decadenza  solo i contratti a decorrere dal 12/02/2019 (dei quali ha ribadito l’illegittimità).
A differenza  di  quanto affermato  d al  giudice  di  primo  grado, ha evidenziato che l’acclarata decadenza ex art.  28 d.lgs. n. 81/2015 non preclude il rilevamento del superamento del limite temporale massimo di 36 mesi stabilito per i contratti a termine.
Tale rilievo, evidentemente, preclusa essendo la sanzione della conversione, ad avviso della Corte d’appello, consente di tener conto anche dei contratti ricadenti nel periodo coperto da decadenza come antecedente storico per verificare l’abusiva reiterazione dell’utilizzo del contratto a termine e quindi ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria forfetizzata (come da Cass. n. 22861 del 21 luglio 2022 in materia di reiterazione di contratti di somministrazione).
Ha evidenziato che, alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte, il controllo della legittimità di tali contratti non può prescindere dalla valutazione dei pregressi rapporti a termine tra le parti, e ciò al fine di verificare l’eventuale superamento di un limite di durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione degli obiettivi della clausola 5 della Direttiva 1999/70/CE ed ha sul punto richiamato la cd. sentenza COGNOME, Corte di giust. 25 ottobre 2018, causa C-331/17) .
Accertata la configurabilità dell’abuso, la Corte territoriale, in aderenza ai principi sanciti da Cass., Sez. Un., n. 5542/2023, ha statuito il  divieto  di  conversione  del  rapporto  a  termine  e  la  condanna  della RAGIONE_SOCIALE  pagamento  della  sanzione  nella  misura  massima  prevista dall’art. 32 L. n. 183/2010 (12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto).
 La  lavoratrice  ha  proposto  ricorso  per  RAGIONE_SOCIALEzione  affidato  a  tre motivi cui ha resistito la RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
 Con  provvedimento  del  16/06/2024  la  Consigliera  delegata  ha formulato  proposta  di  definizione  del  ricorso  ai  sensi  dell’art.  380 -bis cod. proc. civ. rilevando l’infondatezza delle censure.
La ricorrente, opponendosi alla proposta, ha presentato istanza di decisione ex art. 380 -bis , comma 2, cod. proc. civ.
È stata, quindi, depositata memoria illustrativa nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente, il collegio dà atto che, come affermato nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis .1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Passando all’esame dei motivi del ricorso, con il primo di essi la ricorrente  denuncia  la  violazione  dell’art.  12  delle  preleggi  in  relazione agli artt. 1 e 4 del d.lgs. n. 367/1996.
Assume che ad un ente avente natura privatistica, come espressamente previsto per le FLS (artt. 1 e 4 e d.P.R. n. 117/2011), va applicato il regime di lavoro dell’impiego privato in conformità all’espressa volontà del Legislatore, che risulta invalicabile per l’interprete del diritto.
ontesta alla Corte d’appello di aver aderito all’orientamento espresso dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite n. 5542 e n. 5556 del 22 febbraio 2023, che avrebbero operato ‘una regressione a zero della costante nomofilassi della natura giuridica delle FLS e dei rapporti di lavoro alle loro dipendenze (e, dunque, della sanzione principe della conversione in tempo indeterminato) operando un macroscopico errore interpretativo, ossia un interpretazione contraria all’espressa disposizione normativa e per tal guisa violativa degli artt. 12 e 14 Preleggi’. Precisa ancora la lavoratrice che ‘le S.U. del 22.02.2023, pur asseverando che le RAGIONE_SOCIALE hanno natura formalmente privata, in ragione dei vincoli imposti dal Legislatore per il perseguimento del vincolo di bilancio delle FLS ritiene che la disciplina dei rapporti di lavoro sia da individuare in quella dell’impiego pubblico di cui al d.lgs. n. 165/2001. Col che, operando, di fatto, una interpretazione contra legem , ossia contro l’espressa volontà del Legislatore stesso’.
 Con  il  secondo  motivo  la  ricorrente  denuncia  la  violazione  degli artt. 12 e 14 Preleggi in relazione all’art. 22 del d.lgs. n. 367/1996 ed all’art. 3, comma 5, d.P.R. n. 117/2011.
Assume  che  la  Corte  napoletana  abbia  erroneamente  dichiarato  di aderire a quanto assumono le Sezioni Unite laddove nonostante l’art. 22 d.lgs. n. 367/1996 (all’unisono con l’art. 3, comma 5, del d.P.R. n. 117/2011, tutt’ora vigente) contenga l’espressa vox iuris e la inequivocabile intenzione del Legislatore di disciplinare il lavoro subordinato alle dipendenze delle RAGIONE_SOCIALE secondo il regime di diritto comune, ossia dell’impiego privato – sanciscono che, le
peculiarità della disciplina dei rapporti di lavoro a termine delle FLS (in ragione della sussistenza di deroghe intersettoriali che caratterizzano tali rapporti di lavoro) appaiono analoghe a quelle che caratterizzano il pubblico impiego privatizzato, va applicata, in via analogica, a tali rapporti di lavoro, la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001, con la conseguente applicazione integrale dell’art. 35 sul requisito del concorso pubblico e dell’art. 36, comma 5 ( ex comma 2) sul divieto di conversione in caso di riscontrate nullità del lavoro atipico: l’opzione interpretativa risulta essere contra legem perché in aperta violazione delle espresse disposizioni del Legislatore ed in aperta antitesi della nomofilachia monolitica e consolidata delle Sezioni Unite, dal 1987 al 2023, delle Sezioni semplici della S.C., delle Sezioni Riunite della Corte dei conti e della giurisprudenza amministrativa, nonché in violazione del giudicato costituzionale di cui alla sent. n. 260/2015 e degli artt. 134 e 136 Cost. e degli artt. 27 e 30 della L. 53/1987.
Con il terzo motivo la ricorrente propone istanza ex art. 267 TFUE denunciando  la  violazione  dell’art.  4  del  T.U.E.  e  dell’art.  288  TFUE, ossia dei principi di leale cooperazione ed interpretazione conforme e del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie.
Assume che, indipendentemente dalla natura del datore di lavoro e dei rapporti di lavoro, appare manifestamente asseverata, ai capi da 69 a 72 della sentenza COGNOME, la sussistenza di una discriminazione indiretta tra i lavoratori a termine che possono aspirare a diventare lavoratori a tempo indeterminato e lavoratori a termine che, nella medesima situazione di fatto e di diritto, il ragione della frapposizione di diritto interno del divieto di conversione, non possono aspirare a diventare lavoratori a tempo indeterminato, sì da richiedere l’applicazione del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie (CGUE sent. Milkova e sent. Egenberger) applicandosi la tutela che risulta essere più favorevole al soggetto discriminato secondo i principi generali della protezione sociale ed occupazionale codificati dall’UE e dal
diritto interno (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.), la Corte territoriale, uniformandosi alle apodittiche affermazioni delle Sezione Unite del 22 febbraio 2023, assume, con rigetto implicito della questione sollevata sin dalle prime cure, che le discipline dell’impiego privato e dell’impiego pubblico non sono comparabili tra di loro e che, dunque, non può essere fatta rilevare la sussistenza di una discriminazione indiretta priva di ragione obbiettiva per il solo motivo di essere diverse tra di loro e, dunque, non sono suscettibili di consentire una comparazione ai fini del rilievo di una possibile disparità di trattamento.
 I  motivi  sono  tutti  da  disattendere  per  le  ragioni  di  seguito illustrate.
La sentenza impugnata nell’escludere la possibilità della conversione in rapporto a tempo indeterminato e nel riconoscere al ricorrente il solo risarcimento del danno cosiddetto comunitario (liquidato equitativamente sulla base del criterio indicato da Cass., S.U., n. 5072/2016, richiamato quanto agli enti lirici da Cass., S.U., n. 5542/2023), si è uniformata al principio di diritto enunciato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite n. 5542/2023, principio dal quale, ai sensi dell’art. 374, comma 3, cod. proc. civ. la sezione ordinaria non si può discostare. Infatti, ai sensi della disposizione indicata, un’eventuale non condivisione del principio affermato potrebbe, al più, giustificare una nuova rimessione alle stesse Sezioni Unite, della quale nella fattispecie difettano i presupposti, in quanto il ricorso muove da una lettura non condivisibile della citata pronuncia.
In particolare le Sezioni Unite, nel ricostruire la complessa normativa inerente agli enti lirici, come evolutasi nel tempo, non hanno negato la qualificazione in termini privatistici dagli stessi assunta (qualificazione che di conseguenza esclude che i rapporti di lavoro possano essere ritenuti di impiego pubblico, con conseguente applicabilità del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 36 che per gli enti pubblici non economici esclude l’instaurazione del rapporto tempo indeterminato quale effetto
dell’illegittimo ricorso al lavoro a termine) ma, richiamando Corte cost. n. 153/2011 e gli aspetti pubblicistici rimasti immutati all’esito della privatizzazione, hanno evidenziato che gli stessi giustificano ‘pur a fronte della qualificazione privatistica delle RAGIONE_SOCIALE e dei rapporti di lavoro dagli stessi instaurati, deroghe alla disciplina dettata per i rapporti fra privati, disciplina alla quale, secondo un meccanismo non dissimile da quello indicato dal legislatore e da queste Sezioni Unite in tema di società a controllo pubblico, occorre, sì, fare riferimento, ma a condizione che non si rinvengano disposizioni speciali di settore o ragioni ostative di sistema’.
E non è senza rilievo sottolineare al riguardo che di detta disciplina derogatoria, via via adottata dal legislatore, dà atto anche la sentenza della Corte costituzionale n. 260/2015.
Il divieto di conversione è stato affermato dalle Sezioni Unite valorizzando i principi, più generali, in tema di nullità virtuale dei contratti, in relazione alle disposizioni di legge, ritenute imperative, che nel tempo hanno imposto alle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE divieti assoluti di nuove assunzioni o hanno subordinato l’instaurazione di stabili rapporti di impiego al previo superamento di procedure concorsuali. Le Sezioni Unite, infatti, hanno evidenziato che «sia la conversione disciplinata dall’art. 1424 cod. civ. sia quella, connotata da specialità, che tale si è soliti definire in ambito lavoristico, presuppongono che l’atto posto in essere possa validamente produrre gli effetti di altro contratto, sicché la stessa non può operare qualora quest’ultimo, a sua volta, si riveli affetto da nullità.»
Ciò detto va osservato che il ricorso non prospetta argomenti che possano indurre ad una rimeditazione del principio già espresso (la cui correttezza, tra l’altro, trova conferma nella successiva evoluzione della normativa – v. infra )  giacché i contratti specificamente impugnati nel giudizio  che  ci  occupa  sono  stati  instaurati  in  un  momento  successivo all’entrata in vigore della normativa che ha imposto specifiche condizioni
per l’instaurazione  dei  rapporti  a  tempo  indeterminato  (non  sono estensibili  alla  fattispecie  principi  affermati  in  relazione  a  rapporti  a termine risalenti ad epoca antecedente al 2005, quando ancora i limiti assunzionali non erano stati posti dal legislatore).
Quanto, poi, alla violazione della clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE anche in tal caso il ricorso prospetta una lettura parziale della motivazione della sentenza CGUE 25 ottobre 2018, COGNOME, perché la Corte di Giustizia ha con chiarezza affermato che la clausola 5 impone unicamente di sanzionare in modo effettivo l’abuso nella reiterazione del rapporto a termine, ma non obbliga gli Stati membri a prevedere la necessaria conversione del rapporto medesimo in uno stabile rapporto di impiego. La pronuncia è stata resa sul presupposto che in caso di abuso l’ordinamento italiano non garantisse neppure il risarcimento del danno ed in tal senso è chiaro il punto 62 ove si evidenzia che ‘l’ordinamento giuridico italiano non comprende, nel settore delle RAGIONE_SOCIALE, nessuna misura effettiva, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 60 della presente sentenza, che sanzioni l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, e ciò sebbene il personale di tale settore, contrariamente ai lavoratori di cui trattasi nella causa che ha condotto alla sentenza del 7 marzo 2018, COGNOME (C 494/16, EU:C:2018:166, punti 35 e 36), non abbia diritto all’attribuzione di un’indennità ai fini del risarcimento del danno subito’.
La medesima agevolazione probatoria, che Cass., Sez. Un., n. 5072/2016 ha ritenuto imposta dal diritto dell’Unione e che la CGUE ha ritenuto sufficiente a garantire il rispetto della clausola 5 (si rimanda alla citata sentenza COGNOME), è stata riconosciuta da Cass., Sez. Un., n. 5542/2023 anche in favore degli assunti a termine alle dipendenze delle RAGIONE_SOCIALE, sicché, trattandosi di questioni sulle quali la Corte di Giustizia si è già pronunciata, non si ravvisa ragione alcuna per disporre il rinvio pregiudiziale (anche sul punto v. infra ).
10. Va detto, poi, che il ricorso, nella parte in cui prospetta il carattere discriminatorio del trattamento riservato ai dipendenti delle RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelli che nel medesimo settore operano alle dipendenze di privati, non considera la specialità della disciplina, che impone precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali) e che rendono le due situazioni a confronto non comparabili.
11. In sede di opposizione la ricorrente, sul presupposto che le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE hanno natura privata, insiste perché venga sottoposte a revisione la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 5542/2023 rilevando che tale decisione (e la gemella n. 5556) non ha fatto buon governo dell’art. 4 TUE e dell’art. 288 TFUE laddove assume che non è possibile una comparazione tra i lavoratori precari delle RAGIONE_SOCIALE e i lavoratori precari del regime generale dell’impiego privato (capo 25.2, sent. n. 5556/2023; capo 24.2, sent. n. 5542/2023), atteso che le due discipline, l’una correlata all’altra da un mero rapporto di species a genus, sono entrambe refluenti nell’ambito della disciplina di diritto comune del lavoro privato (alla cui disciplina è correlata la sanzione della trasformazione in tempo indeterminato in caso di nullità dei rapporti a termine: cfr. Corte cost. sent. n. 303/2011 – Massima n. 35924), per il solo fatto che il Legislatore (in piena violazione del giudicato costituzionale e delle norme UE frutto della nomofilachia della CGUE) ha previsto ‘ precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali) ‘ -rivelatisi invero insussistenti ed illegittimi.
Insiste affinché sia emessa ordinanza ex art.  267 TFUE, affinché la CGUE valuti la possibile sussistenza della violazione dell’art. 4 del TUE e dell’art.  288 TFUE da parte del comma 3 -ter ,  dell’art.  29,  del  d.lgs.  n. 81/2015 (introdotto dal D.L. 59/2019 conv. con modif. in L. 81/2019),
sotto i diversi profili emarginati (violazione del principio di equivalenza delle tutele antidiscriminatorie -capi 69 a 72 sentenza COGNOME, capi 66 e 67 sentenza Milkova e sentenza Egenberger, Grand Chambre; violazione del principio di non regresso delle tutele, Clausola 8.3 Direttiva 70/1999/CE).
 In  sede  di  memoria  il  ricorrente  evidenzia  che  il  Tribunale  di Milano, con ordinanza del 07.10.2024 ha sollevato istanza pregiudiziale ex art. 267 del TFUE.
Chiede,  dunque,  procedersi  alla  sospensione ex artt.  294  e/o  295 cod. proc. civ. del presente giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia U.E.
Le suddette critiche e deduzioni devono essere disattese.
 Ritiene  il  Collegio  che  non  sussistano  i  presupposti  per  una nuova sottoposizione della questione posta alle Sezioni Unite di questa Corte.
Tulle  le  evidenziate  questioni  sono  state  ben  tenute  presenti  nella decisione del massimo Collegio di legittimità.
Le Sezioni Unite, proprio sulla scorta della sentenza della Corte di giustizia del 2018, hanno fugato ogni dubbio sulla presunta incompatibilità del divieto di conversione con la direttiva 1999/70/CE evidenziando che la clausola 5, punto 2, rimette, infatti, agli Stati membri la scelta di una o più misure indicate per prevenire l’abuso dei contratti a termine (indicazione delle ragioni oggettive, la durata massima complessiva dei contratti, il numero dei rinnovi); senza istituire ‘un obbligo generale (…) di prevedere la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei contratti di lavoro a tempo determinato’ , dovendo però ‘adottare misure che rivestano un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro’ .
In linea con tale interpretazione, non sorprende la disciplina attuale secondo la quale il rapporto di lavoro a termine può essere instaurato soltanto in presenza di ragioni oggettive contingenti o temporanee con atto scritto a pena di nullità, la cui violazione, al pari delle norme che dispongono la durata, la proroga o i rinnovi del contratto di lavoro, comporta il risarcimento del danno. Tale rimedio era, tra l’altro, già stato riconosciuto dall’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 per i rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione a cui, evidentemente, la regolamentazione delle FLS si ispira e su cui già si era espressa la Corte di giustizia : non in ordine alla scelta del rimedio, del tutto legittima per quanto detto, ma alla sua effettività che è tale quando l’entità del risarcimento è conforme ai canoni comunitari di adeguatezza, proporzionalità e dissuasività rispetto al ricorso abusivo ai contratti a termine.
15. Per il resto, il ricorrente propone una lettura delle decisioni delle sezioni unite che non corrisponde a quanto nelle stesse affermato.
In particolare non risulta fondato il rilievo, ribadito in sede di opposizione, che prospetta il carattere discriminatorio del trattamento riservato ai dipendenti delle RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelli che nel medesimo settore operano alle dipendenze di privati, trattandosi di situazioni non comparabili considerata la ben scandagliata specialità della disciplina degli enti lirici che impone precisi vincoli al datore di lavoro, ignoti al diritto privato (divieti di assunzioni, necessario rispetto di requisiti formali e sostanziali, obbligo del previo espletamento di procedure concorsuali).
16. Le Sezioni Unite di questa Corte del 2023 hanno, poi, già escluso che la conversione del rapporto a termine possa derivare dalla necessaria  conformazione  al  diritto  dell’Unione  ed  in  particolare  alla clausola 5 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, poiché l’ordinamento  giuridico  interno  italiano,  come  richiesto  dalla  Corte  di Giustizia europea, prevede, in tale settore, un’altra misura effettiva per
evitare, ed sanzionare, l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato,
 Né  il  dedotto  carattere  privato  delle  RAGIONE_SOCIALE  può condurre  ad  esiti  diversi  da  quelli  evidenziati  dalle  Sezioni  Unite  del 2023.
Queste ultime, muovendo, come sopra evidenziato, dalla distinzione tra imperatività e inderogabilità delle regole, hanno accolto la tesi, prevalente, secondo la quale sono inderogabili le disposizioni che impongono specifici comandi e divieti e, al contempo, imperative quando poste a tutela di un interesse generale, qui esplicitato nelle finalità attribuite alle FLS volte alla diffusione dell’arte musicale, della formazione professionale dei quadri artistici e dell’educazione musicale della collettività che giustificano i vincoli imposti dall’ordinamento nella gestione del personale.
La natura imperativa delle disposizioni in esame ha, così, aperto alle Sezioni Unite la strada per sistematizzare le norme dedotte nell’ambito delle c.d. nullità virtuali, categoria che assolve al compito di consentire la dichiarazione della nullità dell’atto negoziale, anche quando, come nel caso di specie, la norma imperativa violata non preveda espressamente detta sanzione.
Nelle  indicate  sentenze,  la  Corte  si  è  soffermata  in  particolare  sul contenuto delle norme imperative.
Si tratta di una precisazione importante che fonda le sue radici nella teoria sulla separazione tra norme relative al contenuto del contratto (regole di validità) e norme che prescrivono comportamenti a carico di uno dei contraenti (regole di condotta). Soltanto le prime sono riconducibili all’ambito di applicazione del primo comma dell’art. 1418 cod. civ. Accedendo a tale tesi, i comandi e le disposizioni richiamati, in quanto regole che impongono una condotta, sarebbero pertanto estranee alla categoria delle nullità virtuali. Secondo le Sezioni Unite la suddetta contrapposizione perde, tuttavia, di significato, là dove ogni
regola  giuridica  è  comunque  regola  di  condotta  dalla  cui  applicazione discende l’accertamento in merito alla validità o meno degli atti giuridici negoziali.
Il principio di separazione è volto, semmai,  a impedire che l’invalidità  del  contratto  possa  derivare  dalla  violazione  della  clausola generale  di  correttezza  e  buona  fede,  in  tal  senso  delimitando  il significato di regola di condotta.
Pertanto,  anche  la  disciplina vincolistica  quanto  alle  assunzioni propria  della  RAGIONE_SOCIALE  si  presta  a  essere  catalogata  nella  medesima  classe normativa.
18.  Si  consideri,  del  resto,  che,  nel  caso  delle  RAGIONE_SOCIALE anche  la  normativa  più  recente  –  v.  a
è poi aggiunto il d.l.
n. 59/2019 conv. in L. 8 agosto 2019 n. 81, con il quale si sono affrontate le molteplici questioni legate alle incertezze interpretative sul precariato e sull’assetto delle dotazioni organiche del personale. Il provvedimento ha ridisegnato, infatti, la procedura per la definizione della dotazione organica delle RAGIONE_SOCIALE, secondo uno schema tipo da adottarsi sulla base di un decreto. Le assunzioni di personale a tempo indeterminato potranno avvenire mediante apposite procedure selettive pubbliche, con modalità stabilite da ciascuna fondazione e nel rispetto dei princìpi di trasparenza, pubblicità e imparzialità nonché degli altri princìpi in vigore nelle pubbliche amministrazioni ed essere contenute, oltre che nel limite della dotazione organica, entro un contingente corrispondente alla spesa complessiva
del personale cessato nell’anno in corso e nei due anni precedenti, ferma restando le compatibilità di bilancio.
Sempre la legge n. 81/2019, quanto alle conseguenze della violazione delle norme riguardanti i contratti di lavoro a termine come regolati  nel  comma  3bis ,  esclude  la  conversione  in  contratti  a  tempo indeterminato, con diritto per il lavoratore al solo risarcimento del danno e con la possibilità per le RAGIONE_SOCIALE di recuperare le somme pagate nei confronti  dei  dirigenti  responsabili,  qualora  la  violazione  sia  dovuta  a dolo o colpa grave (v. art. 29, comma 3ter , d. lgs. n. 81/2015).
19. È così vieppiù confermata le peculiarità della disciplina dei rapporti di lavoro a termine delle FLS che presenta caratteristiche analoghe a quelle che caratterizzano il pubblico impiego privatizzato, così come già reso evidente nella disciplina della legge n. 100/2010, come riconosciuto pure dalla Corte costituzionale nella sentenza 21 aprile 2011, n. 153. In tale nuovo contesto, il ricorso al contratto a termine deve attenersi alla ratio sottesa alle regole speciali di una normativa dettata tenendo ancora una volta conto delle limitazioni economiche e normative gravanti sulle RAGIONE_SOCIALE.
20.  L’impianto  argomentativo  delle  Sezioni  Unite  ha  tenuto  conto delle evidenziate peculiarità delle RAGIONE_SOCIALE e le norme imperative lì  messe  in  rilievo,  attinenti  alle  modalità  di  assunzione  del personale,  sono  state  vieppiù  valorizzate  dal  legislatore  nei  successivi interventi normativi.
Ed allora, i rilievi del ricorrente che insistono a monte sulla violazione del diritto unionale non colgono nel segno e non sono idonei non solo a confutare ma neppure a dubitare ragionevolmente della coerenza del complesso ragionamento posto a base delle indicate decisioni dovendosi ulteriormente ribadire che non è prospettabile una diversità di trattamento con i rapporti di diritto privato, perché, come chiaramente evidenziato dalle sezioni unite, le RAGIONE_SOCIALE sono soggetti di diritto privato ma sottoposti ad una disciplina parzialmente derogatoria a quella
comune  propria  dei  rapporti  di  lavoro  alle  dipendenze  di  soggetti  di diritto privato.
 Anche  la  richiesta  di  nuovo  rinvio  pregiudiziale  alla  CGUE  non merita accoglimento essendosi quest’ultima già pronunciata con decisioni ben tenute presenti dalle Sezioni Unite di questa Corte.
 Quanto  poi  all’ordinanza  con  la  quale,  in  data  07/10/2024  il Tribunale  di  Milano  ha  sollevato  istanza  pregiudiziale ex art.  267  del TFUE,  va  osservato  che  non  si  verte  in  una  ipotesi  di  sospensione obbligatoria.
Né  si  intravedono  elementi  di  novità  della  prospettata  rimessione rispetto a quanto la stessa Corte di Giustizia ha già affermato.
Basti ricordare che la pronuncia della Corte di Giustizia UE 25 ottobre 2018, causa C-331/17, COGNOME, come già sopra ricordato, ha con chiarezza affermato che la clausola 5 impone unicamente di sanzionare in modo effettivo l’abuso nella reiterazione del rapporto a termine, ma non obbliga gli Stati membri a prevedere la necessaria conversione del rapporto medesimo in uno stabile rapporto di impiego. La suddetta decisione, inoltre, chiamata a decidere se la normativa nazionale (in particolare di cui all’articolo tre comma sei del decreto -legge numero 64 del 2010…, convertito, con modificazioni nella legge 29 giugno 2010 numero 100 nella parte in cui stabilisce che ‘non si applicano in ogni caso alle RAGIONE_SOCIALE le disposizioni dell’articolo uno commi 1 e 2 del decreto legislativo 368 del 2001′ sia contraria alla clausola 5 dell’accordo quadro – ha evidenziato come in ogni caso agli Stati membri vada riconosciuta ‘un’ampia discrezionalità a tale riguardo dal momento che essi possono scegliere di far ricorso a una o più misure enunciate dalla clausola 5 punto1 lettere da a) a c) oppure a norme equivalenti esistenti’. L’unico, invalicabile limite rimane tuttavia quello secondo cui il singolo Stato deve approntare efficaci mezzi legislativi idonei a prevenire l’abuso della successione dei contratti a termine.
Con specifico riferimento alle RAGIONE_SOCIALE la Corte di giustizia ha (…) anche osservato che ‘è pacifico che la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale consente l’assunzione, nel settore delle RAGIONE_SOCIALE, di lavoratori tramite contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione senza prevedere nessuno dei limiti di cui alla clausola 5, punto 1, lett. B) e C) dell’accordo quadro riguardo alla durata massima totale di tali contratti o al numero di rinnovi degli stessi’: tanto sopra in quanto si dà atto della specificità del settore caratterizzato da una programmazione annuale di spettacoli artistici che inevitabilmente comporta esigenze provvisorie in materia di assunzione. Così ha evidenziato che l’assunzione temporanea di un lavoratore debba radicarsi in una ‘ragione obiettiva’, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, come già ribadito con le sentenze del 26 novembre 2014 (cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, COGNOME e a., punto 91), nonché del 14 settembre 2016 (causa C-16/15, COGNOME, punto 44). Pertanto, al fine di limitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a termine nelle RAGIONE_SOCIALE dove è ammessa la possibilità di ricorrere ai rinnovi, la Corte ha precisato che la nozione di ‘ragioni obiettive’ vada interpretata in termini restrittivi, dovendosi pertanto accertare la sussistenza di tale requisito con riguardo a circostanze precise e concrete, tali da giustificare l’utilizzo di una successione reiterata di contratti di lavoro a tempo determinato.
La  disciplina  nazionale,  anche  come  modificata  nel  2019,  dunque, rispetta la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato  alla  direttiva  1999/70/CE  del  Consiglio  del  28.6.1999,  come anche interpretata dalla Corte di Giustizia, nella citata sentenza COGNOME.
Sempre  la  Corte  di  Giustizia,  con  già  ricordata  sentenza  7  marzo 2018  (C-494/16,  COGNOME),  aveva  già  affermato  la  compatibilità  della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a termine con una normativa nazionale  che  sanzionasse  il  ricorso  abusivo  ai  contratti  a  termine
mediante il versamento al lavoratore interessato di una mera indennità risarcitoria, escludendo profili di discriminatorietà.
Nella  ordinanza  di  rinvio  pregiudiziale  del  Tribunale  di  Milano  la prospettata questione pregiudiziale si risolve nella critica al ragionamento di questa Corte a Sezioni unite nelle citate sentenze nn. 5542  e  5556/2023  che  non  tiene  conto  della  complessiva  costruzione argomentativa come sopra sintetizzata.
Il ricorso, di conseguenza, va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vanno applicati – come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis cod. proc. civ. – il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma – nei limiti di legge in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai  sensi dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  n.  115  del  2002 -della sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il  raddoppio  del  contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00, per compensi professionali oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. al pagamento in favore della controricorrente dell’ulteriore somma equitativamente determinata di euro 2.000,00; condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto
comma, cod. proc. civ., al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo  unificato,  pari  a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 4 dicembre 2024.