Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30262 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 30262 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/11/2025
direttivo con inquadramento area A par. 159 ( ex 7 fascia 2 e 3 livello del CCNL) ed ha per l’effetto condannato il RAGIONE_SOCIALE a riconoscere le mansioni superiori e a corrispondere allo COGNOME le somme spettanti a titolo di differenze retributive/contributive, nonché gli scatti di anzianità per gli anni e per gli inquadramenti predetti.
COGNOME aveva chiesto l’accertamento del proprio diritto ad essere assunto a tempo indeterminato con decorrenza dal 16.2.1995 e dello svolgimento effettivo della mansione superiore di personale di concetto con inquadramento area A par. 135/159 da tale data al 31.12.2002; aveva chiesto inoltre il riconoscimento della mansione superiore di impiegato direttivo con inquadramento nell’Area A par 159/184 dal 31.1.2003 fino all’introduzione del giudizio di primo grado, nonché la condanna del RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZORAGIONE_SOCIALE alla corresponsione di tutte le somme spettanti a titolo di differenze retributive/contributive, nonché gli scatti di anzianità dal 16.2.1995 al 31.12.2015, quantificati in € 410.413,95.
In sede di giudizio il RAGIONE_SOCIALE aveva precisato che lo COGNOME aveva ottenuto nel 2012 la trasformazione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato con decorrenza giuridica dalla data della prima assunzione (che aveva collocato nel 1996).
La Corte di Appello di Caltanissetta, decidendo sull’appello principale proposto da NOME COGNOME e sull’appello incidentale proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado, in parziale riforma di tale sentenza, ha dichiarato che lo COGNOME dal 11.11.2008 al 2009 aveva effettivamente svolto le mansioni di impiegato direttivo con inquadramento Area A par. 159 ( ex 7 fascia 2 e 3 livello del CCNL applicabile alla fattispecie), aveva condannato il RAGIONE_SOCIALE 6-RAGIONE_SOCIALE al
riconoscimento di dette mansioni superiori nonché alla corresponsione, in favore dello COGNOME, delle somme spettanti a titolo di differenze retributive/contributive e scatti di anzianità per gli anni e gli inquadramenti predetti ed ha rigettato le restanti domande proposte dallo COGNOME.
La Corte territoriale ha ritenuto corretta la statuizione del primo giudice, secondo cui lo COGNOME non aveva proposto alcuna domanda volta ad ottenere l’effettivo inquadramento e l’assegnazione della qualifica, ed ha rilevato che tale statuizione non aveva costituito oggetto di censura; ha pertanto ritenuto valutabili nel giudizio di appello le domande volte ad individuare l’esatta data di decorrenza dell’assunzione a tempo indeterminato, lo svolgimento di mansioni superiori nei periodi indicati nel ricorso e la condanna del RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive e contributive.
Ha richiamato il principio espresso da Cass. S.U. n. 575 del 2003, in forza del quale in caso di successione di contratti a tempo determinato stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge n. 230/1962, a fronte della conversione del rapporto, è esclusa la decorrenza della prescrizione fino alla cessazione del rapporto lavorativo ed ha escluso che vi siano differenze in termini di tutela tra l’ipotesi di conversione giudiziale e quella di conversione volontaria.
Ha pertanto individuato la decorrenza del termine per l’esercizio dei diritti derivanti dal contratto dalla cessazione dello stato di precarietà per definitiva cessazione dei rapporti a tempo determinato o per la stabilizzazione con assunzione a tempo indeterminato (nel caso di specie coincidente con l’adozione della delibera di esecuzione del 11.6.2012, ovvero dalla successiva stipulazione del contratto di assunzione).
Ha evidenziato che sulla base di tali principi il Tribunale si era limitato a rilevare che non era maturata la prescrizione, pur avendo fatto erroneo riferimento alla cessazione tout court del rapporto di lavoro tra le parti, piuttosto che alla data di stabilizzazione del 11.6.2012 (rispetto alla quale le conseguenze in termini di prescrizione sarebbero state le medesime).
Considerato che nel caso di specie non era consentita la conversione del rapporto essendo preclusa l’assunzione a tempo indeterminato, ha ritenuto che
i rapporti di lavoro instaurati in violazione dell’art. 32 legge regionale n. 45/1995 siano da considerare come rapporti di fatto ai sensi dell’art. 2126 cod. civ. ed ha considerato applicabile il principio espresso da Cass. S.U. n. 575 del 2003, secondo cui in caso di plurimi contratti a tempo determinato in successione, ciascuno dei quali legittimo ed efficace, la prescrizione del diritto alle differenze retributive decorre dalla scadenza di ciascun rapporto.
In applicazione degli ordinari criteri di computo della prescrizione ed essendo pacifica la mancanza di atti interruttivi antecedenti alla notifica del ricorso introduttivo, ha ritenuto prescritti quanto al primo periodo i crediti maturati dal 16.2.1995 al 31.12.2002, e quanto al secondo periodo quelli maturati fino al 10.11.2008 (a fronte dell’efficacia interruttiva della richiesta di conciliazione del 11.11.2013).
Ha poi ritenuto indimostrata la decorrenza del rapporto in epoca anteriore al 23.12.1996 ed ha ritenuto provato lo svolgimento, da parte dello COGNOME, di mansioni riconducibili all’Area A par. 159/184 fino a tutto il 2009 ed ha considerato inammissibile la censura relativa alla mancata ammissione della CTU.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sul primo motivo di gravame, non avendo statuito sulla domanda di riconoscimento delle somme spettanti a titolo di differenze retributive/contributive e scatti di anzianità per la mancata assunzione a tempo indeterminato dal 16.2.1995.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 2935 cod. civ., della legge n. 230/1962, dell’art. 5, comma 4 bis, d.lgs. n. 368/2001 e della Direttiva Comunitaria n. 70/99, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod.
proc. civ., nonché l’erronea applicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 575/2003.
Evidenzia che l’art. 3, primo comma, della legge regionale n. 76 del 1995 autorizza la stipula di contratti di lavoro ai sensi della legge n. 230/1962 qualora sussistano comprovate esigenze funzionali.
Critica la sentenza impugnata per avere considerato come rapporti di fatto, in quanto nulli ab origine , quelli intercorsi tra le parti in forza dei contratti a tempo determinato stipulati tra le parti.
Sostiene che detti rapporti, di durata superiore a 36 mesi e nel corso dei quali lo COGNOME aveva sempre svolto le medesime mansioni, devono essere considerati a tempo indeterminato, e che pertanto in ordine alla decorrenza del termine di prescrizione deve trovare applicazione il principio di diritto espresso da Cass. n. 14827/2018.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione dell’a rt. 112 cod. proc. civ., violazione e disapplicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 72 del CCNL di categoria per i dipendenti dei RAGIONE_SOCIALE, nonché violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nonché l’erronea disapplicazione del principio di diritto espresso da Cass. n. 14827/2018 ed erronea applicazione della sentenza delle Sezioni Unite n. 575/2003.
Sostiene che lo COGNOME nel ricorso di primo grado aveva chiesto l’effettivo inquadramento e l’assegnazione della qualifica superiore e che a fronte del riconoscimento del superiore inquadramento da parte del primo giudice, non impugnato dal RAGIONE_SOCIALE, era intervenuto il giudicato sostanziale.
Assume che in ragione del decorso di un periodo superiore a tre mesi, allo COGNOME spetta l’inquadramento nell’Area A, pr. 135 anche per gli anni dal 1996 al 2002, nonché l’inquadramento nell’area A par. 159 nel periodo dal 2003 al 2009.
Con il quarto motivo il ricorso denuncia violazione degli artt. 61, 191, 194, 112, 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di nominare un CTU contabile, pur non avendo dimostrato di potere autonomamente risolvere sulla base di
corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione.
Le censure riguardanti la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. contenute nel primo, nel terzo e nel quarto motivo sono inammissibili, in quanto sono state proposte ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e si limitano ad argomentare sulla violazione di legge e sulla mancanza di motivazione, senza denunciare la nullità della sentenza impugnata
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 17931/2013 hanno affermato che ‘Nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c.- il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia, da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate, non è indispensabile che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge’.
I suddetti motivi presentano ulteriori profili di inammissibilità.
Non è infatti configurabile l’omessa pronuncia sulla domanda di riconoscimento delle somme spettanti a titolo di differenze retributive/contributive e scatti di anzianità per la mancata assunzione a tempo indeterminato dal 16.2.1995, avendo la Corte territoriale ritenuto indimostrata la decorrenza del rapporto in epoca anteriore al 23.12.1996.
A fronte delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui il Tribunale ha escluso che sia stata proposta una domanda volta ad ottenere l’effettivo inquadramento e l’assegnazione della qualifica e riporta testualmente
il relativo passaggio motivazionale della sentenza di primo grado, il terzo motivo, nel sostenere che tali domande erano state proposte ed accolte dal Tribunale, non assolve compiutamente agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., in quanto non riproduce integralmente il ricorso di primo grado né la sentenza di primo grado.
Inoltre, nel prospettare che anche il giudice di appello aveva riconosciuto il superiore inquadramento, tale censura non coglie il decisum .
La Corte territoriale si è infatti limitata a riconoscere l’effettivo svolgimento, da parte dello COGNOME, di mansioni corrispondenti a quelle di impiegato direttivo con inquadramento area A par. 159 dal 11.11.2008 a tutto il 2009.
Inoltre il quarto motivo non si riferisce con chiarezza alla mancata quantificazione delle differenze retributive riconosciute da parte della Corte territoriale, e si limita a prospettare il difetto di motivazione del rigetto dell’istanza di ammissione.
Il secondo motivo è infondato.
La censura muove dall’erroneo presupposto che i contratti a tempo determinato stipulati dalle parti in violazione delle condizioni previste dall’art. 3, primo comma, della legge regionale n. 76 del 1995, vadano considerati contratti a tempo indeterminato.
Come evidenziato da questa Corte, la stipula di contratti a termine al di fuori delle ipotesi previste dalla legge n. 230 del 1962, richiamata dagli artt. 3 e 4 della legge regionale Sicilia n. 76 del 1995, non ne consente la trasformazione o conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non essendo possibile sanare, per tale via, rapporti di lavoro invalidi fin dalla loro origine, in quanto tale effetto è precluso dal richiamato divieto di assunzione a tempo indeterminato (v. Cass. n. 3140/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Si è in particolare evidenziato che l’automatica trasformazione del rapporto intercorso tra le parti finirebbe per eludere il divieto di assunzione imposto dall’art. 32 della legge regionale Sicilia n. 45 del 1995.
Si è inoltre chiarito che dal divieto di assunzione a tempo indeterminato, imposto dall’art. 32 della legge regionale Sicilia n. 45 del 1995 consegue che i
rapporti di lavoro instaurati in violazione di tale divieto sono affetti da nullità e vanno considerati come rapporti di fatto, ai sensi del l’art. 2126 cod. civ.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno comunque affermato che la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato, sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso di successione di contratti a termine, decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, in quanto non è configurabile un ‘ metus ‘ del citta dino verso la pubblica amministrazione ed in quanto, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica (Cass. S.U. n. 36197/2023).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, 6 novembre 2025.
La Presidente NOME COGNOME