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Contratti a termine e prescrizione: la Cassazione decide

Un lavoratore impiegato per anni con contratti a termine presso un ente pubblico chiedeva la conversione del rapporto e differenze retributive. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i contratti a termine illegittimi nel pubblico impiego non si convertono in tempo indeterminato e che la prescrizione dei crediti retributivi decorre durante il rapporto, non dalla sua cessazione, data l’assenza di ‘metus’ (timore) del dipendente verso la pubblica amministrazione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti a termine e prescrizione nel pubblico impiego: la parola alla Cassazione

La gestione dei contratti a termine nel settore pubblico è un tema complesso, che intreccia le tutele del lavoratore con i principi inderogabili che governano l’accesso alla pubblica amministrazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi. La Corte ha stabilito che, a differenza del settore privato, nel pubblico impiego il tempo per far valere i propri diritti inizia a scorrere immediatamente, anche durante il rapporto di lavoro.

I Fatti di Causa

Un lavoratore aveva prestato servizio per un consorzio di bonifica per molti anni attraverso una successione di contratti a termine. Ritenendo illegittima tale precarietà e sostenendo di aver svolto mansioni superiori a quelle contrattuali, si era rivolto al giudice per chiedere la conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato sin dalla prima assunzione, oltre al pagamento delle differenze retributive, contributive e degli scatti di anzianità maturati.

La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva respinto gran parte delle richieste economiche, ritenendole prescritte. Secondo i giudici di merito, i diritti del lavoratore si erano estinti perché non erano stati esercitati entro i termini di legge, calcolati a partire dalla scadenza di ogni singolo contratto.

La questione giuridica dei contratti a termine

Il caso sollevava due questioni fondamentali:

1. Conversione del contratto: È possibile trasformare una serie di contratti a termine, stipulati in violazione di legge da un ente pubblico, in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato?
2. Decorrenza della prescrizione: Nel pubblico impiego, il termine per richiedere i crediti di lavoro (come le differenze retributive) inizia a decorrere dalla fine di ogni contratto o solo alla cessazione definitiva di ogni rapporto con l’amministrazione?

La risposta a queste domande ha implicazioni significative per migliaia di lavoratori precari del settore pubblico.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello e fornendo chiarimenti definitivi basati su un recentissimo e autorevole precedente delle Sezioni Unite.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su due pilastri argomentativi principali.

In primo luogo, la Cassazione ha ribadito un principio consolidato: nel pubblico impiego, la violazione delle norme sui contratti a termine non comporta la loro conversione in un rapporto a tempo indeterminato. Il principio costituzionale dell’accesso agli impieghi pubblici tramite concorso (art. 97 Cost.) è un ostacolo insormontabile. I rapporti di lavoro instaurati in violazione di tali norme sono considerati nulli e possono produrre effetti solo come ‘rapporti di fatto’ ai sensi dell’art. 2126 del codice civile, garantendo al lavoratore la retribuzione per il lavoro effettivamente svolto, ma nulla di più.

In secondo luogo, e questo è l’aspetto più rilevante, la Corte ha affrontato il tema della prescrizione. Richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 36197/2023, ha affermato che la prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego decorre dal momento in cui ogni singolo diritto sorge, e non dalla cessazione del rapporto. La ragione risiede nell’assenza del cosiddetto ‘metus’, ovvero il timore reverenziale del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Secondo la Corte, il dipendente pubblico gode di una stabilità e di tutele tali da non essere in una condizione di soggezione psicologica che gli impedisca di agire in giudizio per tutelare i propri diritti mentre il rapporto è ancora in corso. Di conseguenza, il lavoratore avrebbe dovuto attivarsi per richiedere le differenze retributive entro i termini di prescrizione decorrenti dalla maturazione di ogni singolo credito.

Infine, i giudici hanno dichiarato inammissibili le censure di natura procedurale sollevate dal ricorrente, in quanto formulate in modo tecnicamente errato.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza. I lavoratori con contratti a termine nel settore pubblico devono essere consapevoli che il tempo per far valere i propri diritti economici non è sospeso. A differenza del settore privato (dove la prescrizione inizia a decorrere solo dopo la fine del rapporto per timore di ritorsioni), nel pubblico impiego è necessario agire tempestivamente. La presunta stabilità del posto di lavoro pubblico, anche se a termine, elimina secondo la giurisprudenza quella ‘paura’ che giustifica la sospensione dei termini. Pertanto, per non vedere i propri diritti estinti, è fondamentale interrompere la prescrizione o agire in giudizio senza attendere la stabilizzazione o la fine definitiva del rapporto lavorativo.

È possibile convertire una serie di contratti a termine illegittimi in un contratto a tempo indeterminato nel pubblico impiego?
No, la Corte di Cassazione ribadisce che il divieto di assunzione a tempo indeterminato senza concorso pubblico impedisce la conversione. I rapporti sono considerati nulli e trattati come rapporti di fatto ai sensi dell’art. 2126 c.c., che garantisce solo la retribuzione per il lavoro svolto.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti retributivi in caso di contratti a termine nel settore pubblico?
La prescrizione decorre dal giorno in cui il singolo diritto sorge, anche durante il rapporto di lavoro. Secondo la Corte, non si attende la cessazione del rapporto poiché si presume che il dipendente pubblico non abbia un timore (‘metus’) verso l’ente che gli impedisca di agire per tutelare i propri diritti.

Perché alcuni motivi del ricorso sono stati dichiarati inammissibili?
Perché il ricorrente ha denunciato l’omessa pronuncia del giudice come una violazione di legge (vizio di cui all’art. 360, n. 3 c.p.c.), mentre avrebbe dovuto contestarla come un motivo di nullità della sentenza (vizio di cui all’art. 360, n. 4 c.p.c.), utilizzando la corretta impostazione processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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