Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32415 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32415 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15605-2019 proposto da:
DI NOME COGNOME domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE TORINO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi rapporto privato
R.G.N. 15605/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 04/12/2024
CC
avverso la sentenza n. 54/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 28/03/2019 R.G.N. 168/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 54 del 2019, rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Torino che, previa reiezione dell’istanza di rimessione in termini per l’impugnazione dei contratti cessati prima del 7.12.2015, aveva respinto le domande del lavoratore – artista del coro baritono assunto, con reiterati contratti a termine, dalla Fondazione Teatro Regio di Torino dal 14/07/2009 all’ottobre del 2016 – volte : i) alla declaratoria di nullità del termine, ii) all’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed iii) alla condanna della Fondazione al risarcimento del danno ex art. 32 legge n. 183/2010;
2 . la Corte d’appello condivideva la valutazione sull’inapplicabilità della disciplina della rimessione in termini, di natura processuale, al termine ex artt. 32 commi 3 e 4 della legge n. 183/2010 e 1 comma 11 della legge n. 92/2012, avente natura decadenziale, osservando, in ogni caso, come non potesse integrare ‘causa non imputabile’ il timore di una futura ritorsione datoriale né il dedotto ‘ quadro di incertezza della normativa di riferimento ‘ fino al dì della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 40 comma 1 bis del d.l. n. 69/2013, conv. dalla legge n. 98/2013;
3. la Corte torinese affermava che i contratti successivi al 7.12.2015 (dal 28 ottobre al 23 dicembre 2015, dal 7 gennaio al 6 marzo 2016, dal 18 marzo al 24 aprile 2016 e dal 21 ottobre al 26 novembre 2016), per i quali l’impugnazione era tempestiva, entra vano sotto il vigore della disciplina del d.lgs. n. 81/2015 che aveva «generalizzato il contratto a termine a-causale», ribadendo per le fondazioni liriche e sinfoniche lo speciale regime derogatorio che escludeva sia il limite dei 36 mesi sia quello per la proroga e per i rinnovi (art. 29 comma 3 d.lgs. n. 81/2015, cit.) e il rispetto della clausola di contingentamento;
in ogni caso, i contratti a termine de quibus erano supportati da una ‘obiettiva ragione giustificatrice’ del termine , sicché non v’era , in concreto, alc un contrasto con la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato, in cui il limite di 36 mesi è previsto solo come alternativo all ‘esistenza di ‘ragioni obiettive’;
di fatto, tutti i contratti in questione riportavano, benché non imposta dalla disciplina interna, la causale specifica e temporanea: v’era pertanto compatibilità con la disciplina comunitaria, come interpretata dalla Corte UE (Corte di giust. 25 ottobre 2018, causa C-331/17), oltre che (fatto incontestato) rispondenza effettiva con le mansioni svolte con « l’effettiva preparazione e messa in scena dei singoli spettacoli nelle date indicate e l’adibizione a mansioni di artista del coro -baritono»;
4. in definitiva, i principi affermati dalla CGUE nella sentenza COGNOME non assumevano ‘rilievo concreto’ ( così a p. 15, penultimo cpv., sentenza impugnata) per la presenza di una specifica ragione oggettiva (i.e., necessità di integrare l’organico per uno spettacolo singolarmente individuato, costituente parte delle produzioni programmate) per l ‘apposizione del termine;
avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di otto motivi, sostenutida memoria, cui si è opposta la Fondazione Teatro Regio di Torino con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 , comma 1, n. 3, cod. proc. civ ., violazione e falsa applicazione dell’art . 32 della legge n. 183/2010, dell’articolo 6 della legge n. 604/1966 (modificato dalla legge n. 92/2012), nonché dell’art . 152 cod. proc. civ.; il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentandone l’erroneità laddove essa aveva rigettato l’istanza di rimessione in termini alla stregua dell’assunto che si trattasse di una decadenza di natura sostanziale e non processuale;
con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 153 cod. proc. civ., nel combinato disposto con l’art. 100 cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 32 legge n. 183/2010;
il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui nega la configurabilità dei requisiti necessari per la rimessione in termini, ritenendo che le ragioni da lui addotte non fossero di per sé idonee a configurare un’ipotesi di impedimento assoluto al compimento dell’atto ;
il lavoratore, prima della pronuncia della Consulta n. 260/2015 non aveva interesse a chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato perché, vigendo l’art. 40 comma 1 bis legge n. 69/2013, che interpretava l’art. 3 d.l. n. 64/2010 nel senso di precludere la stabilizzazione del rapporto di lavoro come conseguenza dell a violazione delle norme sull’ applicazione dei contratti di lavoro a
termine, egli era privo della possibilità di chiedere la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, sicchè si giustificava ora, ex art. 153 cod. proc. civ., l ‘istanza di rimessione in termini formulata al giudice del merito;
1.1 i già indicati motivi, che per la loro stretta connessione logico giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono da disattendere;
ratio dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 è quella di estendere ad una serie di ipotesi ulteriori la previsione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 (previamente modificato) sull’impugnativa stragiudiziale, originariamente limitata al licenziamento (Cass. n. 13648 del 2019); la finalità è quella di contrastare, tramite la previsione di una decadenza sostanziale (per una qualificazione in tal senso del termine ex art. 32, comma 4 lettera b), della legge n. 183/2010 cfr. da ultimo Cass. n. 28266/2024), pratiche di rallentamento dei tempi del contenzioso giudiziario che finirebbero per provocare una moltiplicazione degli effetti economici in caso di eventuale sentenza favorevole e di stabilizzare le posizioni giuridiche delle parti in situazioni in cui si ha l’esigenza di conoscere, con precisione ed entro termini ragionevoli, se e quanti lavoratori possono far parte dell’organico aziendale ;
trattandosi di decadenza sostanziale, essa si concretizza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito nell’interesse generale (o individuale) alla certezza di una determinata situazione giuridica, che non contempla alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione se non nei casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge, di talché non può essere impedita da una situazione di fatto di mera difficoltà, essendo invece necessario un impedimento assoluto imputabile a causa ineluttabile, quale appunto la nozione di “forza maggiore” desumibile dall’art. 45 cod. pen.: la quale, com’è noto,
rimane integrata allorché ricorra una forza esterna ostativa in modo assoluto, caratterizzata dall’imprevedibilità ed inevitabilità, da accertare positivamente mediante specifica indagine del giudice di merito (Cass. n. 10747/2022; Cass. n. 17404/2016);
il ricorrente , nell’invocare l’applicazione dell’art. 1 53 cod. proc. civ., richiama, da un lato, la dictio legis dell’art. 40 comma 1 bis del d.l. n. 69/2013, conv. in legge n. 98/2013, nel testo anteriore alla pronuncia di incostituzionalità, quasi fosse un ostacolo (o impedimento) assoluto all’esercizio del diritto e, al contempo, prospetta il timore di possibili ritorsioni datoriali in cui sarebbe potuto incorrere laddove avesse esercitato il diritto di impugnazione, cosa che lo avrebbe dissuaso dal farlo;
in disparte il rilievo che la disciplina dell’art. 153 cod. proc. civ. si applica ai termini processuali e non a quello di decadenza sostanziale, giova sottolineare che, qualificato come ‘di diritto’ l’errore invocato come ‘scusabile’ dal COGNOME – che lamenta l’incertezza del quadro normativo antecedente alla pronuncia della Corte cost. n. 260/2015 cit. -, per ciò solo dovrebbe escludersi in radice la possibilità di applicare l’art. 153, comma 2, cod. proc. civ., visto che l’istituto della rimessione in termini, previsto da tale norma, «trova applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, in caso di decadenza dai poteri processuali interni al giudizio o a situazioni esterne al suo svolgimento», ma «non anche in caso di decadenza conseguente ad errore di diritto» (così, da ultimo, Cass. n. 23936/2024; cui adde Cass. n. 4585/2020);
è onere infatti del soggetto, se interessato ad agire (art. 100 cod. proc. civ.), proporre tempestivamente l’impugnativa del contratto a
termine, se del caso contestualmente sollevando incidente di costituzionalità;
analogamente, ai fini della rimessione in termini, deve potersi configurare «un fatto ostativo che risulti oggettivamente estraneo alla volontà della parte (che l’applicazione della rimessione chiede) e che dalla stessa non risulti governabile, neppure con ‘difficoltà’ » (cfr., da ultimo, Cass. n. 23936/2024, cit.; Cass. Sez. 6-1, ord. 5 agosto 2021, n. 22342), e in tale ipotesi non rientra il timore, più o meno qualificato, di non essere chiamato in futuro con rapporti contrattuali a termine, e ciò per possibili ritorsioni datoriali legate a ll’impugnativa -se proposta -ai sensi dell’ art. 32 legge n. 183/2010;
un tale timore, infatti, non potrebbe dirsi di per sé estraneo alla volontà della parte e, siccome frutto (a monte) di una valutazione giuridica erronea sui vincoli imposti dal testo dell’art. 40 comma 1 bis del d.l. n. 69/2013, conv. in legge n. 98/2013, nella formulazione anteriore alla pronuncia di incostituzionalità, finirebbe per convertirsi anch’esso in un ‘ errore di diritto ‘ con le conseguenze già anticipate;
la sentenza impugnata si è, in sostanza, uniformata ai principi di questa Corte e va perciò esente da censure;
con il terzo di motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c od. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’accordo quadro 1999/CE/70, clausola 5, come interpretato dalla sentenza CGUE ‘Sciotto’, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 2, lett. d ) del d.lgs. 81/2015 in ordine alla causale ‘specifici spettacoli’, nel combinato disposto con l’art. 29, comma 3, d. lgs. n. 81/2015, nonché violazione dell’art. 2697 c od. civ.;
il ricorrente censura la sentenza impugnata per non essere la Corte territoriale entrata nel merito del rinnovo dei contratti a termine per un
tempo superiore al limite massimo di 36 mesi, ritenendo che i contratti oggetto della controversia fossero legittimi per l’indicazione della mansione svolta e della specifica causale; il ricorrente, ritiene che la generica dizione della causale apposta dalla Fondazione non fosse in linea col dictum della sentenza della CGUE Sciotto che, pur riconoscendo la peculiarità dell’attività degli enti lirici, non esclude , anche per essi, la necessità di una valutazione rigorosa delle ragioni obiettive alla base contratto;
2.1 la censura è inammissibile;
il motivo non è, infatti, specifico, se è vero che l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo «di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione», ma anche «di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo» (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745);
nella specie, il ricorrente adduce assertivamente che la causale indicata in contratto, ritenuta specifica della Corte di merito, tale non è, non valendo (a suo dire) a integrare quelle ‘ragioni obiettive’ che si riferiscono, ai sensi della sentenza CGUE Sciotto, a «circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività»;
la censura di violazione della disciplina UE sollecita in realtà un diverso apprezzamento fattuale rispetto a quello operato dai giudici di secondo grado, i quali hanno ritenuto che la causale rendesse evidente la ragione della stipula a termine, consistente nella necessità di fruire
della particolare professionalità dell’artista per l’utilizzazione temporanea in uno o più specifici spettacoli (p. 14 sentenza), e ciò perché «nei contratti in questione l’assunzione era espressamente effettuata per la necessità di integrare l’organico per lo spettacolo, singolarmente individuato -e costituente solo parte delle produzioni programmate -, con la particolare professionalità dell’appellante, quale artista del coro baritono» (p. 17 sentenza impugnata);
a riguardo, la più volte richiamata sentenza della Corte di giustizia COGNOME sottolinea (cfr. punti 46-47 sentenza), per quanto riguarda l’argomento relativo alle particolarità inerenti al settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche, che la programmazione annuale di spettacoli artistici comporta necessariamente, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione; così, l’assunzione temporanea di un lavoratore al fine di soddisfare le esigenze provvisorie e specifiche del datore di lavoro in termini di personale può, in via di principio, ma si tratta di valutazione rimessa al giudice del merito (così: Cass. n. 10480/2019, al punto 3.1), costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro;
orbene, una siffatta valutazione è stata formulata dal giudice d’appello che ha congruamente motivato con riferimento all’esistenza di una ‘ragione obiettiva’ correlata alla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali erano stati conclusi i contratti in questione e alle caratteristiche ad esse inerenti;
con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c od. proc. civ., violazione o falsa applicazione « dell’art. 115 cod. proc. civ., in riferimento al principio di non contestazione, e dell’art. 2697 c od. civ., in merito alla prova della liceità sostanziale»; il ricorrente si lamenta dell’erronea applicazione da parte della Corte di merito del principio di non
contestazione; sostiene in particolare di avere negato la sussistenza delle esigenze straordinarie di integrazione del coro e che, sulla base del principio di vicinanza della prova, quest ‘ultima , in merito a liceità, effettività e straordinarietà delle ragioni poste a fondamento dell’assunzione a termine, doveva ricadere integralmente sul datore di lavoro, dal momento che l’organizzazione aziendale è estranea al lavoratore; cita Cass., Sez. L, n. 10720/2019 in cui si esclude l’operatività del principio di non contestazione in riferimento alla causale indicata nel contratto a termine;
3.1 il motivo è inammissibile;
quanto alla denunciata violazione dell’art. 2697 cod. civ. , essa può assumere rilievo ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. solo qualora il giudice del merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo; i n tale evenienza, infatti, l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli dell’incertezza pr obatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto;
diverso è il caso che si verifica allorquando il giudice, valutate le risultanze istruttorie, ritenga provata o non provata una determinata circostanza di fatto rilevante ai fini di causa perché in detta ipotesi la doglianza sulla valutazione espressa, in quanto estranea all’interpretazione della norma, va ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. e, quindi, può essere apprezzata solo nei limiti fissati dalla disposizione, nel testo applicabile ratione temporis e come
interpretata dalla costante giurisprudenza di questa Corte che, a partire da Cass. S.U. n. 8053/2014, ha escluso ogni rilevanza dell’omesso esame di documenti o di risultanze probatorie ove il ‘fatto storico’ sia stato comunque apprezzato e valutato dal giudice del merito.
nella specie, non rileva il disposto del l’art. 2697 c od. civ., posto che i giudici di secondo grado non hanno fatto in sentenza applicazione del criterio residuale sul riparto dell’onere della prova, ma hanno ritenuto fosse rimasta in contestata l’effettiva rispondenza in concreto dell’impiego del lavoratore alla causale enunciata in contratto, la cui specificità essi avevano peraltro già positivamente vagliato;
quanto all’obiezione che vi fossero gli estremi per apprezzare una condotta processuale di ‘non contestazione’, questa Corte ha già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019); e, peraltro, il motivo, non riportando neppure i passaggi salienti delle memorie difensive dei gradi di merito, non è corredato dei necessari requisiti di specificità ex art. 360 n. 6 cod. proc. civ.;
il richiamo di parte ricorrente a Cass. n. 10720/2019 cit. non è conferente, affermandosi in tale pronuncia che «il principio di non contestazione opera riguardo ai fatti costitutivi allegati negli atti processuali a sostegno delle domande azionate, e non può avere alcuna valenza quanto alla causale indicata nel contratto a termine», ma nella specie la sentenza impugnata fa riferimento a tale principio non in relazione alla causale del contratto ma, piuttosto, al fatto dell’effettiva adibizione in concreto del lavoratore alle mansioni e allo spettacolo espressamente indicati nella causale medesima;
4. con il quinto motivo di ricorso si denuncia (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) «violazione e falsa applicazione della Clausola 5 accordo Quadro 1999/70/CE come interpretato nella sentenza ‘ Sciotto ‘ , con violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’articolo 1325 c od. civ. in merito alla causale (temporaneità della esigenza)»;
il ricorrente si lamenta del fatto che la Corte distrettuale avrebbe ritenuto configurabile la ‘ non contestazione ‘ del lavoratore in merito all’effettiva esecuzione delle prestazioni nello spettacolo, come indicato nella singola clausola contrattuale, annettendo rilievo, quanto alla provvisorietà dell’esigenza, a un «elenco comparativo tra le complessive produzioni del Regio Teatro e la percentuale delle assunzioni del lavoratore» ; lamenta violazione dell’articolo 1325 c od. civ., con riferimento alla individuazione della causale lecita, che la Corte distrettuale erroneamente ricollega «non alla clausola in sé ma alla esecuzione del contratto ossia all’effettiva prestazione del lavoratore negli spettacoli indicati»;
4.1 il motivo è inammissibile;
nessuna violazione della clausola 5 dell’Accordo quadro come interpretato dalla sentenza CGUE Sciotto è stata commessa dalla Corte distrettuale, posto che la sentenza da ultimo richiamata, nello stabilire, appunto, che « non si può ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti nelle istituzioni culturali di cui trattasi che rientrano nella normale attività del settore di attività delle fondazioni lirico-sinfoniche» (punto 49), aggiunge poi (punto 50), «a tale riguardo, che il rispetto della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’Accordo quadro richiede che si verifichi
concretamente che il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione miri a soddisfare esigenze provvisorie»;
uniformandosi alle indicazioni della Corte UE, la Corte di merito ha proceduto quindi ad effettuare tale verifica concreta, dando conto diffusamente delle ragioni per cui, oltre alla clausola che enunciava la ‘ragione obiettiva’ del termine di durata del contratto, sussisteva anche l’effettivo soddisfacimento delle stesse esigenze di natura provvisoria in essa riportate;
in definitiva, la Corte di merito ha ritenuto dimostrato che il lavoratore assunto a termine fosse stato effettivamente destinato a mansioni direttamente riconducibili all’attività indicata nel contratto individuale e non anche ad attività ordinarie quotidianamente espletate dai colleghi assunti con contratto a tempo indeterminato (cfr. Cass., Sez. L, n. 5512 del 2018; Cass., Sez. L, n. 2680/2015);
5. con il sesto motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ., si denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 2697 cod. civ . e della clausola 5 dell’ Accordo quadro 1999/70/CE; il ricorrente si lamenta dell’iter logico seguito dalla Corte territoriale che equipara l’esigenza di temporaneità, che la clausola 5 dell’accordo Quadro richiede ai fini dell’assunzione a termine, con « la sporadicità dell’assunzione del lavoratore» alla stregua della percentuale delle sue prestazioni lavorative rispetto al complesso del l’attività della Fondazione, violando così anche l’art 2697 c od. civ. dal momento che il giudice d’appello assume essere rimasta comprovata l’esigenza temporanea dell’assunzione sulla base dell’elenco presentato dalla Fondazione e già menzionato;
il ricorrente sostiene, in sostanza, la necessità di provare la temporaneità dell’esigenza con riferimento allo specifico contratto e non
al complesso dell’attività svolta dalla Fondazione, ben potendo il datore di lavoro soddisfare esigenze ordinarie assumendo lavoratori differenti, con conseguente uso abusivo dell’istituto del contratto a termine, nonostante le assunzioni del singolo lavoratore risultino in una percentuale minima rispetto al complesso;
5.1 il motivo è inammissibile;
come già prima evidenziato, la violazione di legge, ai sensi del combinato disposto degli artt. 360 comma 1, n. 3, cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., può essere utilmente denunciata nei casi in cui il giudice di merito, a fronte di un quadro probatorio incerto, abbia fondato la soluzione della controversia sul principio actore non probante reus absolvitur ed abbia errato nella qualificazione del fatto, ritenendolo costitutivo della pretesa mentre, in realtà, lo stesso doveva essere qualificato impeditivo; solo in tal caso l’errore condiziona la decisione, poiché fa ricadere le conseguenze pregiudizievoli della incertezza probatoria su una parte diversa da quella che era tenuta, secondo lo schema logico regola-eccezione, a provare il fatto incerto;
detta evenienza non si verifica allorquando il giudice, all’esito della valutazione delle prove assunte ed a prescindere dalla individuazione della parte tenuta a provare i fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, pervenga al convincimento che i fatti allegati dall’attore non siano provati, mentre lo siano quelli sui quali il convenuto ha fondato le proprie difese; in tal caso, infatti, il rigetto della domanda non discende dalla errata applicazione del principio dell’onere della prova, giacché, una volta affermato con certezza che il fatto allegato dall’attore non si è verificato mentre si è realizzato quello dedotto dal convenuto, diviene irrilevante stabilire se le circostanze da
quest’ultimo allegate costituissero il fondamento di una mera difesa o di un’eccezione;
nel caso di specie la Corte territoriale, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non ha affatto respinto la domanda perché non era stata dimostrata dal COGNOME la non provvisorietà dell’esigenza soddisfatta dal termine apposto al contratto, ma ha, invece, accertato che fosse rimasta comprovata all’esito dell’istruttoria l ‘ effettività di tale esigenza transitoria;
6. con il settimo motivo di ricorso, si lamenta ai sensi dell’articolo 360 n. 4 cod. proc. civ. un contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo quanto alle spese di lite; il ricorrente si duole della contraddittorietà tra il dispositivo, che si limita a compensare le spese per il solo grado di appello e la motivazione, nella quale risulta la volontà di compensare ‘anche’ le spese dell’appello e dunque non solo quelle, esprimendo in tal guisa una diversa volontà volta a riformare la sentenza di primo grado che, in applicazione della regola della soccombenza, aveva condannato il lavoratore a rifondere le spese di primo grado;
6.1 il motivo è inammissibile perché non coglie il decisum che rigetta integralmente l’appello, sicché non può che confermare in toto la sentenza di primo grado, ivi compresa la relativa statuizione sulle spese; è peraltro evidente l’errore materiale, da emendare in questa sede, commesso dal giudice d’appello laddove, nel respingere il gravame, ha inavvertitamente inserito la congiunzione ‘anche’ nel paragrafo 4 della motivazione della sentenza;
7. con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta ai sensi dell’articolo 360 n. 3 cod. proc. civ. v iolazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 comma 2 cod. proc. civ.;
il ricorrente si duole della mancata statuizione della Corte distrettuale sulla compensazione alle spese di primo grado e la conseguente mancata modifica della sentenza del Tribunale, che sul punto condannava il lavoratore alle spese di giudizio, in quanto, a suo dire, si trattava «di una questione nuova, priva di precedenti e complessa», caratteristiche che avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio;
7.1 il motivo è inammissibile perché la Corte di merito ha esaminato i motivi di appello, non afferenti alla statuizione sulle spese, e, nel rigettarli, non poteva toccare la pronuncia di primo grado, confermata anche in punto di regolamentazione delle spese di lite;
conclusivamente, il ricorso dev’essere nel suo complesso rigettato, con addebito delle spese di legittimità alla parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 4.000,00 euro per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4/12/2024.