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Contratti a termine agricoltura: stop agli abusi

Un lavoratore agricolo ha contestato la reiterazione di contratti a termine da parte di un Ente Pubblico, chiedendo il risarcimento per l’abuso. La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione d’Appello, ha stabilito che un ente pubblico non economico non può essere qualificato come imprenditore agricolo. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe più ampie previste per il settore. La sentenza chiarisce che la deroga legata alla stagionalità nei contratti a termine in agricoltura si applica solo a mansioni strettamente e provatamente stagionali, ponendo fine a interpretazioni estensive che giustificavano abusi.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti a Termine in Agricoltura: la Cassazione Fissa i Paletti per gli Enti Pubblici

La gestione dei contratti a termine in agricoltura rappresenta da sempre un terreno complesso, in bilico tra la necessità di flessibilità per le aziende e la tutela dei diritti dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha gettato nuova luce sulla questione, in particolare quando il datore di lavoro è un ente pubblico. La sentenza analizza i limiti all’utilizzo dei contratti a tempo determinato, definendo in modo rigoroso il concetto di “stagionalità” e chiarendo che gli enti pubblici non economici non possono essere equiparati agli imprenditori agricoli privati.

I Fatti del Caso: Reiterazione Abusiva di Contratti

Il caso ha origine dalla domanda di un lavoratore agricolo, impiegato per anni presso un Ente di Sviluppo Agricolo con una serie di contratti a tempo determinato. Le sue mansioni includevano la conduzione e manutenzione di macchine agricole. Ritenendo che la continua reiterazione dei contratti violasse la normativa a tutela del lavoro a termine (D.Lgs. 368/2001), il lavoratore ha citato in giudizio l’Ente per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’abuso.

La Decisione della Corte d’Appello

Inizialmente, la Corte d’Appello aveva dato ragione all’Ente. Secondo i giudici di secondo grado, la normativa speciale per il settore agricolo e la natura ciclica delle lavorazioni giustificavano una deroga all’applicazione dei limiti temporali imposti dalla legge generale sui contratti a termine. La decisione si fondava sull’idea che il criterio della stagionalità non fosse l’unico a legittimare la successione di contratti, ma che la natura stessa dell’attività agricola consentisse una maggiore flessibilità.

L’Analisi della Cassazione sui contratti a termine agricoltura

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa prospettiva, accogliendo i motivi del lavoratore. L’analisi della Suprema Corte si è concentrata su tre punti fondamentali, che ridefiniscono i confini dell’utilizzo dei contratti a termine in agricoltura da parte di soggetti pubblici.

Ente Pubblico non è Imprenditore Agricolo

Il primo punto, cruciale, è la natura giuridica del datore di lavoro. La Cassazione ha stabilito che un Ente di Sviluppo Agricolo, essendo un ente pubblico non economico, non può essere qualificato come “imprenditore agricolo” ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Questa distinzione è fondamentale perché le deroghe previste dalla legge (in particolare l’art. 10 del D.Lgs. 368/2001) si applicano specificamente ai datori di lavoro dell’agricoltura intesi come imprese. Di conseguenza, l’Ente pubblico è soggetto alla disciplina generale del pubblico impiego e non può avvalersi di tali eccezioni.

La Nozione di Stagionalità e i suoi Limiti

In secondo luogo, la Corte ha fornito un’interpretazione rigorosa del concetto di “stagionalità”. La deroga che consente di superare i limiti di durata massima dei contratti a termine è applicabile solo quando le attività sono genuinamente stagionali. Non è sufficiente che l’attività agricola nel suo complesso abbia un andamento ciclico. Le mansioni che si protraggono per tutto l’anno, come la manutenzione dei macchinari, la custodia o la preparazione dei terreni, non possono essere considerate stagionali. I lavoratori impiegati stabilmente in tali compiti devono essere assunti a tempo indeterminato.

L’Onere della Prova a Carico del Datore di Lavoro

Infine, la sentenza ha ribadito un principio cardine: spetta al datore di lavoro dimostrare la natura esclusivamente stagionale delle mansioni affidate al lavoratore. Il contratto deve indicare chiaramente le causali stagionali e, in caso di contestazione, l’azienda (o l’ente) deve provare in concreto che il lavoratore è stato adibito solo ed esclusivamente a compiti legati a un ciclo stagionale definito e limitato nel tempo.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Cassazione si fondano sulla necessità di evitare un’applicazione elusiva delle tutele previste dalla normativa europea (Direttiva 1999/70/CE) e nazionale contro l’abuso dei contratti a termine. Consentire a un ente pubblico di utilizzare indiscriminatamente contratti a termine, mascherando esigenze permanenti sotto la generica etichetta di “ciclicità agricola”, svuoterebbe di significato la normativa. La Corte ha sottolineato che la ciclicità naturale dell’agricoltura non giustifica di per sé la precarizzazione perpetua dei lavoratori. Esistono esigenze operative (come la manutenzione) che sono costanti e permanenti, e che devono essere coperte con personale stabile. L’interpretazione restrittiva della “stagionalità” serve proprio a distinguere le necessità temporanee e straordinarie da quelle ordinarie e continuative.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un punto fermo di grande importanza per la tutela dei lavoratori nel settore agricolo, specialmente nel pubblico impiego. Le conclusioni sono chiare: un ente pubblico agricolo non gode degli stessi margini di flessibilità di un’impresa agricola privata. Inoltre, la deroga per stagionalità deve essere interpretata in modo tassativo e non analogico, applicandosi solo a quelle attività che sono intrinsecamente e provatamente temporanee. Per i lavoratori, ciò significa una maggiore protezione contro la precarietà e il diritto al riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato quando le mansioni svolte rispondono a esigenze stabili e durature dell’ente.

Un ente pubblico agricolo può essere considerato un ‘imprenditore agricolo’ ai sensi della legge?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che un ente pubblico non economico, come un Ente di Sviluppo Agricolo, non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e pertanto non può beneficiare delle deroghe specifiche previste per i datori di lavoro privati del settore agricolo in materia di contratti a termine.

La deroga per ‘stagionalità’ nei contratti a termine in agricoltura è sempre applicabile?
No. La deroga è applicabile solo se i contratti riguardano attività genuinamente e strettamente stagionali. Attività che, pur inserite in un contesto agricolo, proseguono per tutto l’anno (es. manutenzione, custodia) non sono considerate stagionali e devono essere coperte da rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Chi deve provare che il lavoro svolto era esclusivamente stagionale?
L’onere della prova grava interamente sul datore di lavoro. In caso di contestazione da parte del lavoratore, è l’ente o l’azienda a dover dimostrare in concreto che le mansioni affidate erano esclusivamente di natura stagionale e non rispondevano a esigenze ordinarie e permanenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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