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Contratti a termine agricoltura: i limiti per l’ente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14921/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico operante nel settore agricolo non può essere qualificato come ‘imprenditore agricolo’. Di conseguenza, non può avvalersi delle deroghe più ampie previste per i contratti a termine agricoltura. La Corte ha chiarito che la reiterazione di tali contratti è illegittima se mira a coprire esigenze lavorative stabili e non genuinamente stagionali, anche nel settore agricolo. L’onere di provare la natura stagionale delle mansioni ricade sul datore di lavoro. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti a Termine in Agricoltura: la Cassazione Fissa i Limiti per gli Enti Pubblici

L’utilizzo dei contratti a termine in agricoltura è da sempre oggetto di un’attenzione particolare da parte del legislatore, in virtù della natura ciclica e stagionale di molte attività del settore. Tuttavia, quando il datore di lavoro è un ente pubblico, le regole cambiano. Con la recente ordinanza n. 14921 del 28 maggio 2024, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta, stabilendo che un ente pubblico non economico non può essere equiparato a un imprenditore agricolo e, pertanto, non può abusare della successione di contratti a tempo determinato per coprire fabbisogni stabili.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un lavoratore, impiegato per quasi trent’anni, dal 1989 al 2018, da un Ente di Sviluppo Agricolo con una serie ininterrotta di contratti a tempo determinato. Le sue mansioni, quali operatore agricolo e addetto a lavori meccanici presso un Centro di Meccanizzazione, erano state ritenute dal lavoratore stesso una copertura per un rapporto di lavoro di fatto stabile e continuativo.

In primo grado, il Tribunale aveva dato ragione al lavoratore, condannando l’ente al risarcimento del danno per l’utilizzo abusivo dei contratti a termine. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, la disciplina speciale del settore agricolo consentirebbe deroghe alla normativa generale sui contratti a termine, giustificate non solo dalla stagionalità, ma anche da altre caratteristiche intrinseche dell’attività agricola, rendendo legittima la successione dei contratti.

La Disciplina dei Contratti a Termine in Agricoltura e la Posizione della Corte d’Appello

La Corte territoriale aveva fondato la sua decisione sull’idea che il settore agricolo, per sua natura, giustifichi una maggiore flessibilità. Aveva sostenuto che la stagionalità fosse solo una delle possibili ragioni per derogare ai limiti di durata e numero di rinnovi dei contratti a termine, e non l’unica. Questa interpretazione estensiva aveva di fatto legittimato l’operato dell’ente pubblico, escludendo l’illegittimità della lunga catena di contratti stipulati con il lavoratore.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, smontando pezzo per pezzo la tesi della Corte d’Appello con argomentazioni precise e fondate su principi consolidati.

Il primo punto cruciale affrontato dalla Cassazione è la natura giuridica del datore di lavoro. L’Ente di Sviluppo Agricolo, in quanto ente pubblico non economico, non può essere qualificato come ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Questa distinzione è fondamentale perché le deroghe previste dalla normativa sui contratti a termine in agricoltura (in particolare l’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 368/2001) sono state scritte per i datori di lavoro dell’agricoltura, ossia per gli imprenditori privati, e non per gli enti pubblici, i quali sono invece soggetti alla disciplina generale del pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001).

In secondo luogo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la deroga legata alla stagionalità deve essere interpretata in senso rigoroso. Le attività stagionali sono quelle ‘preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione)’. Non rientrano in questa categoria le attività che, pur svolgendosi in un contesto agricolo, hanno carattere continuativo e permanente, come la manutenzione dei macchinari, la custodia o la preparazione alle nuove stagioni. Queste attività, se necessarie per tutto l’anno, devono essere coperte da personale assunto a tempo indeterminato.

Infine, la Cassazione ha chiarito la questione dell’onere della prova. In caso di contestazione da parte del lavoratore, spetta al datore di lavoro dimostrare in concreto che le mansioni svolte erano esclusivamente stagionali e riconducibili a quelle previste dalla legge (D.P.R. 1525/1963) o dalla contrattazione collettiva. L’affermazione generica di operare nel settore agricolo non è sufficiente a giustificare la reiterazione indefinita di contratti a termine.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rappresenta un importante baluardo contro l’abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego, anche quando questo opera in settori con peculiarità come l’agricoltura. L’ordinanza stabilisce che la natura pubblica del datore di lavoro e la necessità di coprire fabbisogni stabili prevalgono sulle deroghe settoriali. Per i lavoratori, significa una maggiore tutela contro la precarietà mascherata da esigenze stagionali. Per gli enti pubblici, è un richiamo alla corretta gestione delle risorse umane, che non può basarsi su una flessibilità senza limiti, ma deve rispettare i principi fondamentali che regolano il rapporto di lavoro. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà ora decidere nuovamente il caso attenendosi a questi principi.

Un ente pubblico che opera in agricoltura è considerato un ‘imprenditore agricolo’?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che un ente pubblico non economico, anche se svolge attività in campo agricolo, non rientra nella definizione di imprenditore agricolo dell’art. 2135 c.c. e non può quindi beneficiare delle deroghe specifiche previste per i datori di lavoro privati del settore.

I contratti a termine in agricoltura possono essere rinnovati all’infinito?
No. La possibilità di superare il limite massimo di durata (ad es. 36 mesi) è consentita solo per attività che siano genuinamente stagionali. Se i contratti coprono esigenze lavorative stabili e continuative per tutto l’anno, la loro reiterazione è illegittima e abusiva.

Chi deve dimostrare che il lavoro è stagionale in caso di contratti a termine in agricoltura?
L’onere della prova grava sul datore di lavoro. In caso di contestazione, è l’azienda o l’ente che deve dimostrare concretamente che le mansioni affidate al lavoratore erano di natura esclusivamente stagionale e non rispondevano a esigenze permanenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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