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Contratti a termine agricoltura: i limiti per gli enti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16313/2024, ha stabilito che un ente pubblico non economico operante nel settore agricolo non può essere equiparato a un imprenditore agricolo privato. Di conseguenza, non può beneficiare delle deroghe previste per la reiterazione dei contratti a termine basate su una generica ciclicità del settore. L’ordinanza chiarisce che la nozione di ‘lavoro stagionale’ deve essere interpretata in modo rigoroso, escludendo mansioni continuative come la manutenzione. Questo principio rafforza la tutela contro l’abuso dei contratti a termine agricoltura nel pubblico impiego.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti a termine in agricoltura: la Cassazione pone un freno agli enti pubblici

Con la recente ordinanza n. 16313/2024, la Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale del diritto del lavoro: la legittimità della reiterazione dei contratti a termine agricoltura stipulati da enti pubblici. La decisione chiarisce che le deroghe previste per gli imprenditori agricoli privati non possono essere estese automaticamente agli enti pubblici non economici, stabilendo principi rigorosi sulla nozione di ‘stagionalità’ e riaffermando la necessità di tutelare i lavoratori dall’abuso di contratti precari.

I fatti di causa

Un operatore agricolo, per decenni, aveva lavorato per un Ente di Sviluppo Agricolo sulla base di una serie ininterrotta di contratti a tempo determinato. Ritenendo illegittima tale prassi, il lavoratore si era rivolto al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’utilizzo abusivo di detti contratti. Mentre il Tribunale di primo grado gli aveva dato ragione, la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione, accogliendo le tesi dell’Ente e sostenendo la legittimità delle assunzioni a termine nel settore agricolo.

La decisione della Corte d’Appello e l’abuso dei contratti a termine in agricoltura

La Corte territoriale aveva ritenuto che le particolari caratteristiche dell’attività agricola giustificassero una deroga alla normativa generale sui contratti a termine. Secondo i giudici d’appello, la ‘stagionalità’ non era l’unica ragione valida per la stipula di contratti flessibili, e la natura ciclica del settore permetteva di superare i limiti temporali imposti dalla legge. Contro questa sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una errata applicazione delle norme e un’interpretazione troppo estensiva del concetto di lavoro stagionale.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e delineando una serie di principi fondamentali.

1. L’Ente pubblico non è un imprenditore agricolo

Il punto centrale della decisione è la natura giuridica del datore di lavoro. La Cassazione ha stabilito che l’Ente di Sviluppo Agricolo, in quanto ente pubblico non economico, non può essere qualificato come ‘imprenditore agricolo’ ai sensi dell’art. 2135 del codice civile. Di conseguenza, non può beneficiare delle specifiche deroghe normative (come l’art. 10, comma 2, del D.Lgs. 368/2001) pensate per le imprese agricole private. Il rapporto di lavoro con tali enti è invece soggetto alla disciplina del pubblico impiego contrattualizzato (D.Lgs. 165/2001).

2. L’interpretazione rigorosa della ‘stagionalità’

La Corte ha ribadito che il concetto di ‘attività stagionale’ deve essere interpretato in modo rigoroso. Esso si riferisce esclusivamente a situazioni aziendali legate a un periodo di tempo limitato (una stagione), che sono aggiuntive rispetto all’ordinaria attività dell’impresa. Non rientrano in questa categoria le mansioni, pur essenziali, che proseguono per tutto l’anno, come la custodia, la riparazione e la manutenzione di impianti e macchinari. Queste attività, che rispondono a esigenze permanenti, richiedono contratti a tempo indeterminato. L’elenco delle attività stagionali previsto dal D.P.R. 1525/1963 è tassativo e non può essere interpretato in via analogica.

3. L’onere della prova a carico del datore di lavoro

Spetta al datore di lavoro, in questo caso l’Ente, dimostrare che le mansioni svolte dal lavoratore erano esclusivamente stagionali e riconducibili alle ipotesi previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva. L’Ente avrebbe dovuto provare non solo la presenza nel contratto di un chiaro riferimento alla stagionalità, ma anche l’effettivo carattere temporaneo e aggiuntivo delle prestazioni richieste. La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha errato nel non effettuare questo accertamento in concreto.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante punto fermo nella disciplina dei contratti a termine agricoltura stipulati da enti pubblici. Le conclusioni che se ne traggono sono chiare: non è possibile giustificare una catena di contratti a termine basandosi su una generica ‘ciclicità’ dell’agricoltura quando il datore di lavoro è un ente pubblico. La tutela contro l’abuso dei contratti a termine è rafforzata, e i giudici di merito sono chiamati a un esame più attento e rigoroso della natura effettiva delle mansioni svolte. La decisione della Cassazione, cassando con rinvio, impone alla Corte d’Appello di riesaminare il caso attenendosi a questi principi, valutando concretamente se il lavoro svolto fosse realmente e strettamente stagionale.

Un ente pubblico di sviluppo agricolo può essere considerato un imprenditore agricolo ai fini della disciplina sui contratti a termine?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un ente pubblico non economico, come un Ente di Sviluppo Agricolo, non è qualificabile come imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c. e, pertanto, non può beneficiare delle deroghe speciali previste per i datori di lavoro privati del settore agricolo.

Le attività di manutenzione e custodia in un’azienda agricola sono considerate ‘stagionali’?
No. Secondo l’ordinanza, le attività come custodia, riparazione e manutenzione di impianti e macchinari, che proseguono per tutto l’anno, non sono qualificabili come stagionali. Esse rispondono a esigenze operative permanenti e devono essere coperte da contratti a tempo indeterminato, anche se l’attività produttiva principale dell’azienda ha carattere stagionale.

A chi spetta l’onere di provare la natura stagionale di un’attività lavorativa in caso di controversia?
L’onere di provare che il lavoratore era adibito esclusivamente ad attività stagionali grava sul datore di lavoro. Egli deve dimostrare che le mansioni svolte rientrano specificamente nelle causali previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva per la stipula di contratti a termine.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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