Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10054 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10054 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11180/2021 R.G. proposto da :
COGNOME con diritto di riceve le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente- contro
COGNOME IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2885/2020 pubblicata il 14/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n.2885/2020 pubblicata il 14/10/2020, ha in parte accolto il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con RAGIONE_SOCIALE in liquidazione. In parziale riforma della sentenza appellata ha dichiarato la illegittimità dei contratti di collaborazione a progetto e delle relative proroghe conclusi tra le parti ed ha condannato RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni, liquidato in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.
La controversia ha per oggetto l’accertamento della illegittimità dei contratti di collaborazione a progetto e relative proroghe stipulati tra le parti; il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti; e la condanna dell’ARLAS al pagamento delle retribuzioni maturate sino all’effettivo reintegro, oltre accessori.
Il Tribunale di Napoli rigettava le domande proposte dal COGNOME.
La Corte territoriale ha ritenuto che ARLAS fosse qualificabile quale ente pubblico non economico; che la descrizione del progetto nei singoli contratti fosse assolutamente generica, ed inidonea ad individuare lo specifico ambito dei compiti e dell’obiettivo attribuito al lavoratore; che l’accertata illegittimità dei contratti a progetto non portasse alla automatica conversione del rapporto, in considerazione della natura di ente pubblico non economico dell’ARLAS, essendo ciò possibile solo nel caso in cui il contratto di collaborazione avesse la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, e ritenendo che «nel caso in esame, al di là della mera enunciazione dello svolgimento del lavoro con modalità di lavoro subordinato, nulla è stato dedotto o provato in tal senso»; che
l’unica tutela applicabile fosse pertanto solo quella risarcitoria, prevista dall’art.32 comma 5 legge n.183/2010.
Per la cassazione della sentenza ricorre il COGNOME con ricorso affidato a quattro motivi. COGNOME resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta «violazione e falsa applicazione art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 del D.Lgs. n. 368/2001 nonché degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/2001 nella parte in cui, erroneamente, è stata esclusa la conversione del rapporto. Omesso esame di circostanze decisive (articolo 360 c.p.c., n. 5)».
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta «violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della Direttiva 1999/70/CE, della clausola 5 di cui all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999, dell’art. 36, comma 5, di cui al D.Lgs. n. 165/2001 e dell’art. 5 D.Lgs. n. 368/2001».
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta «violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma numero 3 c.p.c. Violazione art. 2126 c.c. Erronea valutazione delle risultanze istruttorie e documentali in atti.».
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la «violazione degli artt. 5 del D.Lgs. n. 368/2001, 32 della legge n. 183/2010, 18 della legge n. 300/1970».
Nel primo motivo il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha erroneamente qualificato RAGIONE_SOCIALE come ente pubblico non economico -per gli effetti di cui al combinato disposto degli artt.1 comma 2 e 36 d.lgs. n.165/2001 -sulla base delle risultanze dello Statuto e della legge regionale n.14/2009. Deduce che
l’attività dell’ARLAS, ancorché funzionale alle finalità e agli scopi pubblici previsti dallo Statuto e dalle legge regionale citata, è assimilabile alla fattispecie dell’ente pubblico economico, siccome dotato di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e contabile, oltre che soggetto terzo rispetto all’ente locale che operava come privato imprenditore.
6. Il motivo è infondato. Secondo Cass. S.U. 24/07/2013 n.17930 ciò che caratterizza l’ente pubblico economico è il perseguimento dello scopo di lucro, essendo il regime di oggettiva economicità, ancora compatibile con la natura di ente pubblico non economico. Si è in quel caso ritenuto che non fosse qualificabile come ente pubblico economico l’autorità portuale, «esercitando compiti e funzioni più propriamente ascrivibili alla regolazione ed al controllo dell’erogazione dei servizi che non alla loro produzione e scambio».
7. La corte territoriale ha ritenuto che «la semplice elencazione dei compiti affidati all’Agenzia ( art. 3) rende evidente come l’ente persegua finalità di ordine generale nel settore del lavoro e della formazione scolastica, con attribuzioni di carattere non imprenditoriale e che tali funzioni sono prevalenti rispetto a compiti ed attività, più strettamente economico, strumentali per la realizzazione del fine primario». Nel procedere al raffronto tra la fattispecie astratta (art.1 co.2 d.lgs. 165/2001) e la fattispecie concreta la corte ha fatto corretta applicazione del diritto vivente, accertando la prevalenza dei compiti di regolazione e controllo nella erogazione dei servizi all’utenza rispetto alla loro produzione e scambio; e dunque, in ultima analisi, la non prevalenza dello scopo di lucro.
Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta che la corte territoriale avrebbe dovuto disapplicare la normativa nazionale di cui all’art.36, comma 5 d.lgs. 165/2001 in quanto essa violerebbe il principio di effettività della tutela e lascerebbe privo di sanzione l’abuso, in contrasto con il diritto europeo, disparità di trattamento tra
lavoratori privati e pubblici occupati presso la P.A. e contrasto con i principi e i contenuti delle direttive richiamate.
Il motivo è inammissibile ex art.360 bis n.1 cod. proc. civ. La corte territoriale ha escluso la possibilità di convertire il rapporto di lavoro dedotto in giudizio in un rapporto a tempo indeterminato facendo corretta applicazione del costante orientamento di questa Corte, secondo una interpretazione che consente di ritenere verificata la compatibilità costituzionale e comunitaria del regime differenziato nel pubblico impiego, in ragione della previsione del pubblico concorso per l’accesso all’impiego, e della previsione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (Cass. S.U. 15/03/2016 n.5072).
Nel terzo motivo il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha errato nel non ritenere applicabile la tutela ex art.2126 cod. civ. nonostante la deduzione e prova delle concrete modalità di svolgimento del rapporto come rapporto di lavoro subordinato. Il motivo è inammissibile, in quanto si sostanzia nella rivalutazione del fatto, nella censura della valutazione di prove riservate al prudente apprezzamento del giudice del merito.
Nel quarto motivo il ricorrente si duole della inadeguatezza del risarcimento del danno e sostiene che quest’ultimo doveva essere liquidato, per il principio di equivalenza, tenendo conto dell’ammontare dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, prevista per il caso di accertata illegittimità del licenziamento, alla quale doveva essere sommato l’importo forfettizzato di cui all’art. 32 della legge n. 183/2010.
12. Il motivo è inammissibile ex art.360 bis n.1 cod. proc. civ.. La corte territoriale, nel limitare il risarcimento del danno alla indennità ex art.32 comma 5 legge n.183/2010, ha deciso la questione di diritto in conformità del costante orientamento di questa Corte (Cass.01/02/2021 n.2175 e altre), e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare tale orientamento.
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro