Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21480 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21480 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16859/2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
Ministero dell’Istruzione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-resistente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Milano n. 1331/2019, pubblicata il 10 dicembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda proposta contro il MIUR da NOME COGNOME che, dedotto di avere presentato domanda di mobilità territoriale per l’anno scolastico 2016/2017 , aveva chiesto di ordinare alla P.A. intimata di provvedere al suo immediato trasferimento presso uno degli ambiti territoriali di Caltanissetta o, in subordine, presso qualsiasi ambito della Regione Sicilia ove risultasse disponibilità di posti vacanti e disponibili all’esito delle operazioni di mobilità 2016/2017.
NOME COGNOME ha proposto appello che la Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio con la P.A., con sentenza n. 1331/2019, ha rigettato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Ministero dell’Istruzione ha depositato memoria di costituzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 8 del CCNI dell’8 aprile 2016 per l’anno scolastico 2016/2017 in quanto, dal tenore letterale di detti articoli, emergerebbe che la disciplina della mobilità dovrebbe essere intesa nel senso che la disponibilità di posti per una fase successiva sarebbe condizionata al preventivo completamento delle operazioni di mobilità della fase precedente, con soddisfazione degli aventi diritto nei limiti dei posti disponibili, mentre i posti rimasti sarebbero dovuti restare a disposizione della fase stessa, non potendo essere considerati nella fase successiva.
Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’allegato 1 del CCNI e dell’art. 97 Cost., atteso che la P.A. avrebbe violato il principio generale dello scorrimento della graduatoria, fondato sul merito del punteggio attribuito nella fase dei trasferimenti.
Le censure sono entrambe inammissibili.
Infatti, per costante giurisprudenza, in base alla nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (come modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006), secondo cui è possibile la denuncia con ricorso per cassazione della violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, non è consentito alla S.C. procedere ad una interpretazione diretta della clausola di un contratto collettivo integrativo, in quanto la norma riguarda esclusivamente i contratti collettivi nazionali di lavoro (Cass., n. 27062 del 2013).
Nella specie, la ricorrente critica proprio, in maniera, peraltro, piuttosto generica, l’interpretazione degli artt. 6 e 8 del CCNI dell’8 aprile 2016 per l’anno scolastico 2016/2017 e del relativo allegato 1 operata dalla corte territoriale, chiedendo, quindi, a questa Suprema Corte, di compiere un sindacato che è a lei precluso.
A identiche conclusioni sono arrivate, in contesti analoghi, anche altre recenti decisioni di questa Sezione della Suprema Corte (Cass., n. 2476 del 2 febbraio 2025, n. 6199 dell’8 marzo 2025, n. 8051 e n. 8053 del 26 marzo 2025).
La sanzione dell’inammissibilità non può essere evitata neppure prendendo in considerazione alcuni precedenti, concernenti situazioni in effetti similari, nelle quali, però, il ricorso per cassazione era stato rigettato o accolto.
Ad esempio, può menzionarsi la sentenza della Cass., Sez. L, n. 1055 del 10 gennaio 2024, in base a cui ‘In tema di trasferimento territoriale dei docenti della scuola pubblica, alla contrattazione collettiva – cui l’art. 40, co. 1, d. lgs. n. 165/2001, e gli artt. 462, co. 7 e 470, co. 1 e 2 d. lgs. n. 297/1994 demandano la regolazione in dettaglio delle modalità da seguire nell’attribuzione dei posti sono rimesse scelte di merito e tecniche attraverso le quali resta regolato l’assetto dei contrastanti interessi dei candidati partecipi del procedimento; tali scelte non sono sindacabili, se non quando esse si pongano in contrasto con norme di legge oppure realizzino ingiustificate disparità di trattamento o risultino manifestamente irragionevoli’.
Questa decisione, che si è conclusa con un rigetto del ricorso, ha superato la questione dell’ammissibilità dello stesso in quanto oggetto del contendere era la legittimità o meno della posizione che era stata attribuita dalla contrattazione
collettiva per la mobilità (a domanda) 2016/2017 agli IGM 2012 assunti in fase B e C nel 2015/2016 rispetto ai docenti delle medesime fasi assunti da GAE e, quindi, non era in discussione in sede di legittimità l’interpretazione del contratto integrativo, ma unicamente la validità dello stesso in relazione alla normativa di legge.
Allo stesso modo, l’ordinanza di questa Sezione n. 34602 del 27 dicembre 2024, occupandosi di un ricorso che concerneva il sistema della medesima mobilità, come regolato dal relativo CCNI e dalla successiva Ordinanza Ministeriale del 2016, lo ha considerato ammissibile, pur rigettandolo.
Quest’ultima pronuncia ha valutato l’impugnazione perché a essere contestata non era l’interpretazione dei citati CCNI e Ordinanza accolta dalla corte territoriale, ma la regolamentazione normativa, con riferimento a detta mobilità, del regime degli IGM 2012 assunti per reclutamento straordinario.
Siffatta ordinanza ha dato rilievo all’impianto normativo primario all’interno del quale la menzionata contrattazione integrativa e l’Ordinanza ministeriale si sono poste, occupandosi, innanzitutto, del tema della legittimità costituzionale della scelta del legislatore di differenziare i docenti assunti in fase B e C del reclutamento 2015/2016, a seconda del loro provenire da GM 2012 o da GAE. L’esame della Suprema Corte è stato condotto alla luce del disposto della legge n. 107 del 2015 e si è concluso affermando che la differenza in sede di reclutamento tra IGM 2012 e personale proveniente da GAE risale ad una scelta di discrezionalità del legislatore, come tale non sindacabile.
Inoltre, la Suprema Corte ha considerato la legittimità o meno della posizione attribuita dalla contrattazione collettiva per la mobilità (a domanda) 2016/2017 agli IGM 2012 assunti in fase B e C nel 2015/2016 rispetto ai docenti delle medesime fasi assunti da GAE, ma ciò ha fatto per escludere che ‘il complessivo sistema intercetti una violazione di norme, né vi sono ingiustificate disparità di trattamento, in quanto l’assetto differenziale è derivato dal distinguo operato tra varie categorie di docenti, in ragione delle diverse regole (e preferenze) che li hanno interessati in sede di reclutamento; neppure emergono tratti di manifesta irragionevolezza nella disciplina del complesso fenomeno che doveva essere regolato e tutto ciò esclude, altresì, che abbiano rilievo situazioni di occasionale
sfavore per l’uno o l’altro docente ammesso alla mobilità. Va aggiunto, infine, per completezza, che appartiene parimenti alle scelte di merito quella, con forte connotato tecnico, di procedere per fasi e con l’inserimento in ciascuna di queste fasi solo di talune tipologie di candidati alla mobilità’. La legittimità di tale sistema, quindi, pur se derivante anche da un CCNI e da una successiva Ordinanza Ministeriale attuativa, è stata analizzata dalla Suprema Corte non al fine di scegliere una fra le possibili interpretazioni alternative del CCNI e dell’Ordinanza, ma per verificare se una data lettura dello stesso, da parte del giudice di appello, contravvenisse ai principi costituzionali o a norme imperative di legge, realizzasse ingiustificate disparità di trattamento o risultasse manifestamente irragionevole, alla luce, però, pur sempre, di un impianto complessivo costruito dalla legge e dalla contrattazione collettiva nazionale.
Ad identiche conclusioni deve giungersi con riguardo alla sentenza della Cass., Sez. L, n. 7354 del 19 marzo 2024, la quale ha affermato il principio di diritto per il quale, nelle procedure di mobilità del personale docente di fascia C per l’anno scolastico 2016-2017, l’assegnazione delle cattedre avviene, ex art. 6 del CCNI dell’8 aprile 2016 e del relativo Allegato 1, in considerazione delle preferenze espresse dai candidati, senza che sussista alcuna violazione del criterio meritocratico di cui all’art. 97 Cost., essendosi in una fase successiva a quella del reclutamento: ne consegue che all’assegnazione non si procede seguendo una graduatoria unitaria riferita a ciascun ambito territoriale, articolata tenendo conto del punteggio conseguito da ogni insegnante, ma sulla scorta di distinte graduatorie, elaborate sulla base dell’ordine di preferenze espresso dal richiedente in relazione ai vari ambiti territoriali, strutturate al loro interno in considerazione del punteggio conseguito’.
In questa vicenda, concernente sempre la stessa mobilità, alla Suprema Corte non è stato chiesto di optare fra più possibili interpretazioni alternative del CCNI e del suo Allegato 1. Essa ha, piuttosto, chiarito che ‘l’opzione operata in sede collettiva di attribuire rilievo ai fini dell’assegnazione delle cattedre ad un criterio distinto da quello meritocratico basato sul punteggio conseguito non contravviene ai principi costituzionali che, nel subordinare l’accesso all’impiego pubblico alla procedura del concorso pubblico, pongono a fondamento quel
criterio selettivo, non essendo la procedura in questione finalizzata al reclutamento del personale, per essere attinente all’attribuzione di una sede provvisoria in vista della successiva procedura di mobilità prevista dalla l. n. 107/2015, ben potendo dunque quella disciplina così interpretata, non inficiata dal contrasto con norme imperative, ben essere considerata legittima e presiedere all’espletamento della procedura secondo le stabilite modalità’.
Pure in questo caso, quindi, una specifica interpretazione della contrattazione integrativa non è stata sostituita con un’altra, ma, in quanto ritenuta non implausibile, è stata messa a confronto con i precetti costituzionali e la normativa imperativa, assunti come parametri esterni della sua legittimità.
Al contrario, nei precedenti sopramenzionati di questa Sezione Cass., n. 2476 del 2 febbraio 2025, n. 6199 dell’8 marzo 2025 e n. 8051 e n. 8053 del 26 marzo 2025, è stata proprio la richiesta al giudice della legittimità di porre a raffronto differenti possibili interpretazioni del CCNI de quo , affinché ne scegliesse una diversa da quella fatta propria dal giudice del merito, a condurre, in ragione della non corretta formulazione della censura, a condurre alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
D’altronde, la giurisprudenza è giunta da molti anni ad affermare che è ben possibile denunciare direttamente in cassazione il contrasto fra la contrattazione integrativa e le disposizioni di legge imperative o la contrattazione collettiva nazionale di riferimento (Cass., Sez. L , n. 21316 del 6 luglio 2022; Cass., Sez. L, n. 21236 del 20 ottobre 2015; Cass., Sez. L, n. 14530 del 26 giugno 2014).
Al contrario, con riguardo ai contratti collettivi di lavoro relativi al pubblico impiego privatizzato, la regola posta dall’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del detto d.lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione (Cass., Sez. L, n. 14449 del 9 giugno 2017).
Ne deriva che saranno inammissibili i ricorsi che censurino in via diretta l’interpretazione della contrattazione integrativa (Cass., Sez. L, n. 27062 del 3 dicembre 2013), non riportino il contenuto della normativa collettiva integrativa della quale critichino l’illogica o contraddittoria interpretazione (Cass., Sez. L, n. 8231 dell’11 aprile 2011), non indichino in maniera specifica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 ss. c.c. violati o chiedano alla Suprema Corte di sostituire all’interpretazione della corte territoriale un’altra possibile interpretazione dello stesso testo (Cass., Sez. L, n. 18214 del 3 luglio 2024).
4) Il ricorso è dichiarato inammissibile, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, è consentito denunciare direttamente in sede di legittimità non la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi integrativi, ma solo il contrasto fra tali contratti ed accordi e le disposizioni di legge imperative o la contrattazione collettiva nazionale di riferimento; inoltre, è possibile chiedere, nella medesima sede e in ordine agli stessi contratti e accordi integrativi, la verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione indicati dagli artt. 1362 ss. c.c. e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione minima ex art. 111 Cost. Ne deriva che sono inammissibili i ricorsi per cassazione che, senza lamentare il mancato rispetto di norme imperative o della contrattazione collettiva nazionale, censurino in via diretta l’interpretazione della contrattazione integrativa del giudice di merito, non riportino il contenuto della normativa collettiva integrativa della quale critichino l’illogica o contraddittoria interpretazione, non indichino in maniera specifica i criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 ss. c.c. violati o domandino alla Suprema Corte di sostituire all’interpretazione della corte territoriale un’altra possibile interpretazione dell’identico testo’.
Nulla deve essere disposto in ordine alle spese, attesa la condotta difensiva della P.A.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 4