Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25220 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25220 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 966-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME, NOMECOGNOME tutti nella qualità di eredi di NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE – ISTITUTO NAZIONALE DELLA RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE;
– intimati – avverso la sentenza n. 2551/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/06/2019 R.G.N. 3619/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Spese in giudizio di rinvio -compensazione e 132 c.p.c.
R.G.N. 966/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 13/05/2025
CC
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Roma, pronunciando in sede di giudizio di rinvio dalla cassazione della sentenza di secondo grado confermativa del rigetto disposto dal Tribunale della domanda originariamente proposta da COGNOME Franco per la condanna della società datrice di lavoro e dell’INPS, in via alternativa o solidale, al risarcimento del danno derivante dall’erroneo calcolo del periodo contributivo utile a conseguire la pensione di anzianità respinta, in via amministrativa, per non aver perfezionato il requisito dei diciotto mesi di mobilità; confidando nella esattezza dei dati risultanti dall’estratto contributivo del 13/4/1999, il lavoratore aveva sottoscritto un atto transattivo con rinuncia ad impugnare il licenziamento intimatogli, e poi, respinta la domanda di pensione, aveva provveduto a versare una contribuzione volontaria per la propria copertura assicurativa.
Nei gradi di merito era rimasto accertato l’errore di calcolo riportato nell’estratto contributivo, ma non era stato possibile risalire all’impiegato che aveva fornito le erronee informazioni e non era stato ritenuto possibile applicare la normativa sulla cd. mobilità lunga ex art. 7 L.233/91 non richiesta in atto introduttivo.
Nel primo giudizio di cassazione è stato ritenuto che in tema di erronea comunicazione al lavoratore da parte di INPS circa la posizione contributiva utile al pensionamento l’Istituto risponde del danno derivatone da inadempimento contrattuale salvo che si a provata l’estraneità dell’errore alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo, e sussistendo la tutela
dell’affidamento dell’assicurato a fronte del valore certificativo della comunicazione fornita dall’ente.
Nel giudizio di rinvio, la Corte di merito ha escluso la sussistenza di corresponsabilità del destinatario della comunicazione poiché l’errore non era agevolmente riconoscibile ed ha determinato il danno subito dall’assicurato in complessivi € 37.656,00 di cui € 8.954,38 per somme versate a titolo di contribuzione volontaria, ed € 28.701,68 per retribuzioni non percepite per il periodo dalla fine di indennità di mobilità al primo rateo di pensione. In punto di riparto delle spese, la Corte d’appello ne ha affermato il carico ad INPS in tutti i gradi e fasi di giudizio poiché soccombente, aggiungendo che ‘sussistono tuttavia i motivi di legge, dati dal ravvisato concorso di colpa, per compensare tali spese per un terzo’. Riguardo ai rapporti con la ditta datrice, nulla ha statuito sui primi due gradi di merito, perché le pronunce tra le parti erano passate in giudicato, ha compensato le spese del grado di legittimità per uniformità con le decisioni pregresse e la complessità della questione, e nulla ha disposto per il giudizio di rinvio stante la contumacia della ditta. Quindi ha condannato INPS a pagare le spese di lite, liquidate in € 2.400,00 per compensi per il primo grado, € 3.000,00 per il secondo grado, € 2.700,00 per il giudizio di cassazione, ed € 3.40 0,00 per il grado di rinvio.
Avverso tale pronuncia propongono ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo, i sig.ri NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME in proprio e quali eredi legittimi di COGNOME NOME deceduto il 6/4/2012. Entrambi i resistenti, raggiunti da regolare notifica, sono rimasti intimati.
La controversia è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 13 maggio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’art. 360 co.1 n.3, n.4, n.5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte d’appello, con palese contraddittorietà e illogicità del capo di sentenza relativo alle spese, affermato la compensazione per un terzo per il ‘ravvisato concorso di colpa’ laddove, nella parte motiva inerente alla disamina della eventuale corresponsabilità del ri corrente, aveva concluso asserendo che ‘valutate tutte le circostanze del caso, è da ritenere che tale corresponsabilità non sussiste’. Era cioè escluso qualsiasi contributo di COGNOME NOME nella causazione/aggravamento del danno. La motivazione era erronea illogica e carente a fronte di un giudizio che aveva visto il ricorrente totalmente vittorioso, e la statuizione sulle spese aveva violato il principio di soccombenza; se fosse stato seguito quanto motivato in sentenza, stante l’inesistenza della co rresponsabilità, non si sarebbe decurtato di un terzo l’intero ammontare delle spese liquidabili, e quindi sarebbe dovuta ancora una maggiorazione di € 1.200 per il primo grado, € 1.500,00 per il secondo grado, € 1.350,00 per il giudizio di cassazione, ed € 1.700,00 per il giudizio di rinvio.
Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione è causa di nullità della sentenza quando il provvedimento risulti inidoneo a consentire l’individuazione del concreto comando giudiziale e,
conseguentemente, del diritto o bene riconosciuto (Cass. n.16014/2017), ricorrendo nelle altre ipotesi un mero errore materiale (Cass. n.26074/2018). In particolare, presupposto indefettibile della prospettata nullità della sentenza è l’insanabilità del contrasto tra dispositivo e motivazione, in quanto rechino affermazioni del tutto antitetiche tra loro; la prospettata insanabilità non sussiste quando la motivazione sia invece coerente rispetto al dispositivo, limitandosi a ridurne o ad ampliarne il contenuto decisorio, ovvero quando la divergenza coinvolga il dispositivo da un punto di vista quantitativo ma la motivazione sia ancorata ad un elemento obiettivo, acquisito al processo, che inequivocamente la sostenga (sì da poter escludere un ripensamento del giudice, come rammenta ord. 10305/2011, nel qual caso è configurabile l’ipotesi legale del mero errore materiale e non è precluso il raggiungimento dello scopo).
3.1 – Inoltre, nell’ordinario giudizio di cognizione, come ha recentemente osservato Cass. ord. n.17275/25, l’esatto contenuto della sentenza deve essere individuato, non già alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice: con la conseguenza della prevalenza della parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del dictum giudiziale (Cass. 10/10/2015, n. 17910); sicché, ove manchi un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, deve ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una delle due parti del provvedimento, da interpretare secondo l’unica statuizione in esso contenuta (Cass. 11/07/2007, n.15585; Cass. 17/07/2015, n. 15088; Cass. 21/06/2016, n. 12841). E sempre che il principio dell’interpretazione del dispositivo mediante la
motivazione non si estenda fino all’integrazione del contenuto precettivo del primo con la statuizione desunta dalla seconda, attesa la prevalenza da attribuirsi al dispositivo (Cass. 12/02/2020, n. 3469; Cass. 9/12/2021, n. 39050). Nel rito del lavoro, poi, solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo.
Ciò posto, deve evidenziarsi come l’impugnata pronuncia contenga contraddizioni inconciliabili già nel corpo della motivazione: la Corte territoriale, al punto n.5 afferma che ‘ valutate tutte le circostanze del caso, è da ritenere che tale corresponsabilità non esiste ‘, di poi al punto n.6 afferma che ‘ sussistono tuttavia i motivi di legge, dati dal ravvisato concorso di colpa, per compensare tali spese per un terzo ‘. Invero, nella parte motiva sulla disamina della eventuale corresponsabilità dell’assicu rato è stata specificata la ragione di eventuali cause generative dei dubbi sulla esattezza e definitività dei dati esposti nell’estratto contributivo, e sono state anche in dettaglio riportate le ragioni della incomprensione ictu oculi dell’errore, sia per le diciture riportate, sia per la non coincidenza dei dati non chiariti nelle note, sia per la qualifica del lavoratore. Non è comprensibile, dunque, in forza di quale ulteriore o alternativo ragionamento logico o fondamento argomentativo su circostanze fattuali illustrate in atti possa essere stato ‘ravvisato’ il concorso di colpa, posto alla base della giustificazione sulla compensazione parziale delle spese, nella misura di un terzo.
4.1 – Nel dispositivo, poi, i compensi liquidati sono stati determinati senza ulteriore specificazione, sicché manca una logica coerenza con la motivazione espressa sul capo delle
spese, e resiste il dubbio nella individuazione della statuizione prevalente permanendo il contrasto con la motivazione, tale da rendere incomprensibile la “ratio” della decisione.
Sussiste, quindi, un insanabile contrasto sia tra motivazione e dispositivo sia tra singole parti della motivazione.
Le altre questioni denunciate restano assorbite nell’accertato contrasto rilevante ex art. 132 c.p.c. sulla ragione giustificativa della compensazione parziale delle spese di lite che, indipendentemente dalla natura di ‘norma elastica’ assegnata all’art. 92 co.2 c.p.c. nella parte in cui permette la compensazione -a mente della sentenza n.77/2018 della Corte Costituzionale- allorché concorrano “altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, specificate dal giudice del merito, richiede comunque una verifica sul giudizio espresso, censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche correttamente applicate e interpretate.
6. In conclusione, il ricorso va accolto e, previa cassazione della impugnata sentenza, la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma, in altra composizione, per il rinnovato scrutinio ai sensi