LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contrasto di giudicati: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6340/2024, ha escluso la sussistenza di un contrasto di giudicati tra un decreto di ammissione al passivo fallimentare di un credito professionale e il successivo decreto che ne liquidava l’importo in misura inferiore. La Corte ha stabilito che l’ammissione al passivo ha natura ‘endofallimentare’, con effetti limitati alla procedura, e, nel caso di specie, era condizionata alla successiva liquidazione. Pertanto, i due provvedimenti non sono in conflitto, ma rappresentano fasi distinte e complementari dello stesso processo di accertamento del credito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Contrasto di giudicati: quando due decisioni non sono in conflitto

L’ordinanza n. 6340 del 8 marzo 2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul concetto di contrasto di giudicati, specialmente nell’ambito delle procedure concorsuali. La Corte ha stabilito che non sussiste conflitto tra un decreto di ammissione al passivo, per sua natura condizionato, e il successivo provvedimento che liquida definitivamente il credito. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne la portata.

I fatti di causa

Un professionista, nominato commissario giudiziale in una procedura di amministrazione straordinaria di una società, otteneva un decreto di ammissione al passivo del successivo fallimento per il suo compenso. Il credito veniva ammesso in prededuzione per un importo massimo di circa 210.000 euro. Successivamente, il Tribunale competente, in un diverso giudizio, liquidava il compenso definitivo dello stesso professionista nella minor somma di 30.000 euro.
Ritenendo che il secondo provvedimento fosse in palese contraddizione con il primo, che a suo dire aveva acquisito efficacia di giudicato, il professionista agiva in giudizio chiedendo la revocazione del decreto di liquidazione per contrasto di giudicati, ai sensi dell’art. 395, n. 5, c.p.c. La sua richiesta veniva però rigettata dal Tribunale di Udine, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La questione giuridica: il presunto contrasto di giudicati

Il nucleo della controversia risiede nel determinare se l’ammissione allo stato passivo di un credito, seppur con l’indicazione di un importo, possa essere considerata una decisione definitiva e vincolante al punto da entrare in conflitto con un’altra decisione che ne determina l’effettivo ammontare. Il ricorrente sosteneva che il primo decreto avesse accertato in modo irrevocabile il suo diritto, rendendo illegittima la successiva liquidazione per un importo inferiore. La Cassazione, tuttavia, ha seguito un ragionamento diverso, analizzando la natura e la funzione dei due atti giudiziari.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato, sulla base di due ragioni principali.

1. La natura del giudicato endofallimentare

In primo luogo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’ammissione di un credito allo stato passivo produce un cosiddetto “giudicato endofallimentare”. Questo significa che la decisione ha efficacia vincolante solo all’interno della procedura fallimentare stessa. Non costituisce un accertamento definitivo del credito valido erga omnes, ovvero al di fuori di tale contesto. Di conseguenza, non poteva vincolare il Tribunale che, in sede ordinaria, era chiamato a liquidare in via definitiva il compenso. Non si può quindi configurare un contrasto di giudicati perché uno dei due provvedimenti ha un’efficacia limitata e non esterna.

2. L’ammissione condizionata del credito

La seconda e decisiva ragione risiede nella natura condizionata dell’ammissione al passivo. La stessa ammissione, come risultava dagli atti, era stata disposta per un importo massimo e in via provvisoria, in attesa della determinazione definitiva da parte del giudice competente, come previsto dalla normativa sull’amministrazione straordinaria. L’esigibilità del credito era quindi subordinata a un “evento futuro ed incerto”, cioè la liquidazione giudiziale del compenso. L’ammissione al passivo e il decreto di liquidazione non sono, pertanto, due provvedimenti tra loro incompatibili, ma rappresentano due momenti distinti e complementari di un unico iter: il primo accerta in via provvisoria l’esistenza del diritto, il secondo ne determina in via definitiva il quantum.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza la distinzione tra provvedimenti provvisori o condizionati e decisioni definitive. Per aversi un contrasto di giudicati, è necessario che due decisioni, entrambe passate in giudicato, si pronuncino in modo inconciliabile sulla stessa questione. Nel caso di specie, mancava questo presupposto fondamentale, poiché il primo atto era per sua natura interlocutorio e subordinato al secondo. Questa pronuncia è di grande rilevanza pratica per tutti i professionisti che operano nell’ambito delle procedure concorsuali, chiarendo che l’ammissione con riserva al passivo non cristallizza il diritto in modo irrevocabile, ma costituisce solo un passaggio necessario in attesa della sua definitiva quantificazione.

Che cos’è un “giudicato endofallimentare”?
Secondo la Corte, si tratta di una decisione, come l’ammissione di un credito al passivo, i cui effetti vincolanti sono limitati esclusivamente all’interno della procedura fallimentare. Non costituisce un accertamento definitivo del diritto che può essere fatto valere al di fuori di tale procedura.

Può esserci un contrasto di giudicati tra un’ammissione al passivo “con riserva” e un successivo decreto di liquidazione del credito?
No. La Corte ha chiarito che non vi è alcun contrasto perché i due atti non sono incompatibili. L’ammissione con riserva è un atto provvisorio e condizionato, mentre il decreto di liquidazione è l’atto definitivo che avvera quella condizione, determinando l’importo esatto del credito.

Perché la Corte ha respinto il ricorso del professionista?
Il ricorso è stato respinto perché non sussistevano i presupposti per la revocazione. Mancava un reale contrasto tra giudicati, in quanto i due provvedimenti avevano natura diversa: il primo era provvisorio e con efficacia limitata alla procedura (endofallimentare), mentre il secondo era l’atto definitivo di quantificazione del compenso previsto dalla legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati