Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24208 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24208 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23501-2022 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME RAGIONE_SOCIALE in proprio e anche quale accomandataria della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 467/2022 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/08/2022 R.G.N. 777/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Fatti di causa
Oggetto
Risarcimento danni rapporto privato
R.G.N. 23501/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 25/06/2025
CC
NOME COGNOME premesso di essere stata assunto, come impiegata amministrativa, il 21.8.1980 dalla Ditta individuale NOME COGNOME, poi passata a partire dal 1988 alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE (nell’ambito della quale NOME COGNOME era socio accomandante e NOME COGNOME sua moglie, socia accomandataria) e, in seguito della RAGIONE_SOCIALE fino al 15.2.2017, quando il rapporto lavorativo era cessato per licenziamento, ha chiesto al Tribunale di Venezia che fosse accertata e dichiarata la successione ex art. 2112 cod. civ. tra le varie ditte nonché la unicità del rapporto nonostante le dimissioni presentate con decorrenza 31.12.2009 cui era seguita la rias sunzione l’8.2.2010, oltre al pagamento di tutti gli arretrati di retribuzione, indennità di preavviso, differenze di TFR e mancato godimento delle ferie.
L’adito Tribunale, nel contraddittorio tra le parti, ha accolto la domanda riguardante la sussistenza di un unitario rapporto di lavoro intercorso anche nei periodi non asseritamente regolarizzati; ha condannato, poi, NOME COGNOME, quale titolare della cessata omonima impresa individuale, NOME COGNOME, quale socia accomandataria della cessata RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a corrispondere a NOME COGNOME, in solido tra loro, l’importo di euro 39.398,65 per retribuzione ed euro 3.069,59 per TFR, oltre accessori, NOME COGNOME quale socia accomandataria e RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in solido tra loro, dell’importo di euro 109.060,74 per retribuzione ed euro 8.360,84 per TFR, oltre accessori; la RAGIONE_SOCIALE a corrispondere l’ulteri ore importo di euro 23.053,38 per retribuzione ed euro 1.817,52 per TFR, oltre sempre accessori.
La Corte di appello di Venezia, con la sentenza n. 467/2022, in riforma della pronuncia di primo grado, ha invece rigettato
tutte le originarie domanda proposte dalla COGNOME evidenziando che la lavoratrice non aveva dimostrato che le dimissioni del 31.12.2009, a seguito delle quali aveva avuto accesso al trattamento pensionistico, fossero simulate e che quello del febbraio 2010 non fosse un nuovo rapporto, con la conseguenza che le differenze retr ibutive per l’asserito lavoro ‘in nero’ anteriore al 31.12.2009, erano da ritenersi prescritte e, forse, neanche fondate atteso il tenore contenutistico della lettera di dimissioni, mentre, per il periodo successivo, non era ravvisabile alcun contrasto tra il ‘dare’ e ‘l’avere’ tra le par ti.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui hanno resistito, con un unico controricorso, i tre intimati.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Ragioni della decisione
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 2094 cod. civ., per avere la Corte distrettuale ritenuto non proseguito il rapporto di lavoro subordinato tra i l 31.12.2009 e l’8.2.2010 nonostante il riscontro di fatti ‘gravi, precisi e concordanti’ circa la prosecuzione del rapporto e la simulazione delle dimissioni rappresentati da: a) la formalizzazione della prosecuzione dopo meno di 40 gg. dal dies a quo di efficacia delle dimissioni; b) dalla attività svolta da essa ricorrente con NOME COGNOME durante il periodo di affiancamento della stessa che doveva presumersi sinallagmatico ed avente le stesse
caratteristiche del rapporto apparentemente concluso il 31.12.2009; c) il capo non riformato dalla sentenza di secondo grado che, riscontrata la dissimulazione dell’orario full time prestato dal 2010 al 2017, aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle differenze retributive per tale periodo.
Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, si eccepisce la violazione dell’art. 2948 cod. civ. alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 63/1966, per avere la Corte territoriale ritenuto prescritto ogni credito retributivo maturato in corso di rapporto prima delle asserite dimissioni del 31.12.2009, senza avere considerato sospeso il decorso della prescrizione dalla ripresa del rapporto di lavoro avvenuto l’8.2.2010.
Con il terzo motivo si censura la violazione dell’art. 36 Cost., in relazione all’art. 2112 cod. civ., per il mancato riconoscimento degli scatti di anzianità maturato nell’ambito dell’unico rapporto di lavoro, come sostenuto in sede di appello incidentale proposto da essa COGNOME.
Il primo motivo non è fondato.
Con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 2729 cod. civ., deve osservarsi che, secondo una consolidata giurisprudenza di questa Corte, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi, tuttavia, rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da
quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 29781/2017 cit., Cass. 27/10/2010 n. 21961; Cass. 02/04/2009 n. 8023; Cass. 21/10/2003 n. 15737); è stato ulteriormente puntualizzato che non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, cioè che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. 18/7/2007 n. 16993; Cass. 23/2/2010 n. 4306; Cass. 31/10/2011 n. 22656; Cass. 8/10/2013 n. 22898 del 2013), visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass. n. 13/3/2014 n. 5787); nel caso di specie l’inferenza tratta dal giudice di appello sulla base degli elementi indicati nella motivazione della gravata sentenza, non evidenzia alcun elemento di illogicità ed implausibilità della ricostruzione fattuale al quale la Corte distrettuale è pervenuta in punto della ritenuta non continuazione di fatto del rapporto di lavoro intercorrente tra la data di efficacia delle dimissioni (31.12.2009) della lavoratrice e la data di formale riassunzione (8.2.2010).
Il giudice del gravame si è attenuto, quindi, a tali principi nel conferire, attraverso un esame delle affermazioni, sostanzialmente concordi rese dai testimoni e dall’esame dei documenti prodotti, che la COGNOME, maturati i requisiti per l’accesso a tratt amento pensionistico, avesse voluto effettivamente dimettersi per percepire il trattamento medesimo e solo in un secondo tempo avesse chiesto all’ex datore di lavoro di riprendere l’attività lavorativa e che, a quel punto, sia stato stipulato un nuovo contratto di lavoro.
Si tratta di un accertamento di merito, adeguatamente motivato attraverso una valutazione degli elementi probatori e, in quanto tale, insindacabile in sede di legittimità.
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Il principio di diritto, invocato dalla ricorrente, secondo cui, ove nel corso del rapporto di lavoro non dotato di stabilità siano maturati crediti retributivi non prescritti, pur cessando la sospensione della prescrizione in caso di cessazione del rapporto, una successiva instaurazione di rapporto dipendente instabile con il medesimo datore di lavoro determinerebbe una nuova sospensione della prescrizione dei crediti retributivi anche relativi al precedente rapporto, non è, a parere di questo Collegio, condivisibile.
Invero, da un lato, deve evidenziarsi che le cause di sospensione della prescrizione, in ambito civile, sono tassative e, quindi, insuscettibili di applicazione analogica o di interpretazione estensiva (Cass. n. 11004/2018) in quanto il legislatore regola inderogabilmente le cause di sospensione, limitandole a quelle che consistono in veri e propri impedimenti di ordine giuridico, con esclusione degli impedimenti di mero fatto: la ipotesi su indicata non è espressamente prevista dalla legge. Dall’altro, va osservato
che, nella fattispecie, per quanto accertato dalla Corte territoriale (cfr. ricostruzione dei fatti scrutinata con il primo motivo), non è ravvisabile neanche l’ipotesi di cui all’art. 2941 n. 8 cod. civ. perché il debitore non ha attuato un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare al creditore l’esistenza della obbligazione.
Infine, anche il terzo motivo non merita accoglimento.
Una volta accertata l’effettività delle dimissioni al 31.12.2009, nonché l’ulteriore circostanza sottolineata dalla Corte territoriale secondo cui, nella lettera di dimissioni del 2009, la COGNOME non aveva rivendicato nulla, anzi ringraziava per l’opportunità che le era stata offerta, e che era senza dubbio significativo che, nei sette/otto anni successivi alla nuova assunzione, non avesse nulla rivendicato in merito al pregresso rapporto di lavoro, va rilevato che la ritenuta prescrizione di tutti gli eventuali pregressi crediti ovvero la loro infondatezza è la logica conseguenza delle rationes decidendi (prescrizione dei diritti e non contestazione della lavoratrice) dei giudici di seconde cure limitatamente a tutte le vicende del rapporto lavorativo ex art. 2112 cod. civ. fino al 31.12.2009.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 giugno 2025