Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12461 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12461 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 9150-2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, alla INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, alla INDIRIZZO in persona del procuratore speciale Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 4741/2020, della CORTE DI APPELLO di ROMA, pubblicata il giorno 07/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 24/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in nome e per conto della Cassa di Risparmio di Rieti, chiese ed ottenne dal Tribunale di Roma il decreto ingiuntivo n. 22836/2014, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per la complessiva somma di € 79.353,80, oltre interessi e spese de lla procedura monitoria, a titolo di saldo negativo di conto corrente bancario n. 3031027 aperto da quest’ultima il 13 aprile 1980 e chiuso il 25 ottobre 2012.
1.1. L’opposizione promossa dall’ingiunta ex art. 645 cod. proc. civ. fu accolta, per quanto di ragione, dal medesimo t ribunale, con sentenza dell’8 settembre 2017, n. 16785, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE nella indicata qualità, che così dispose: « In parziale accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 22836/2014 del 7 -8/10/2014 del Tribunale di Roma ; condanna peraltro l’opponente RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’opposta RAGIONE_SOCIALE nella qualità di procuratore della Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a. e a titolo di saldo debitore risultante del conto corrente n. 3031027 per cui è causa, della complessiva somma di 49.830,80 euro alla data di giugno 2012, oltre – come richiesto ed indicato nel ricorso monitorio – ai successivi interessi al tasso convenzionale (nei limiti del tasso soglia) fino al saldo effettivo; ».
Il gravame promosso dalla RAGIONE_SOCIALE avverso tale decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Roma, con sentenza del 7 ottobre 2020, n. 4741, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE in nome e per conto di RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria di Intesa Sanpaolo s.p.a., già incorporante Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a.
2.1. Per quanto qui di interesse, quella corte, descritti i proposti motivi di impugnazione e procedendo al loro scrutinio unitario, osservò, innanzitutto, che, « in sostanza, parte oggi appellante chiede che la propria originaria
opposizione -formulata avverso il decreto ingiuntivo sulla base delle scarne notizie da questo desumibili in ordine al periodo temporale in discussione ed alle clausole applicate anche in tema di interessi ed utilizzando una consulenza di parte -deve essere interpretata come diretta a negare l’esistenza di qualsivoglia credito in capo alla banca con riferimento al conto corrente ed all’affidamento, anche se rivendicato sugli interessi contrattualmente stipulati perché in violazione dell’art. 117 TUB. Dedu ce, quindi, l’appellante che il Tribunale avrebbe omesso questa corretta qualificazione della propria domanda e che, di conseguenza, ha errato nel ritenere sussistente comunque un credito in capo alla banca per ‘non contestazione’ ex art. 115 c.p.c. in quanto -alla luce della detta ampiezza dell’opposizione detto credito non poteva essere accertato neppure sotto tale profilo ».
Considerò, tuttavia, questa tesi « destituita di fondamento », rimarcando che: i ) « La questione relativa al tasso convenzionale -con rinvio agli usi su piazza -oltre che non essere stata mai allegata nell’atto di opposizione in maniera specifica, non è stata neppure rappresentata in sede di precisazione della domanda ex art. 183, comma 6, c.p.c., cioè nel primo momento utile per contrastare la documentazione contrattuale che la banca -costituitasi in giudizio -ha prodotto, ivi compresa la previsione circa la determinazione/determinabilità del tasso convenzionale. E tale comportamento processuale -in aperto contrasto con la volontà di porre in discussione il rapporto contrattuale al di là delle questioni di anatocismo e commissioni -è proseguito anche in sede di emissione dell’ordinanza ex art. 186 -bis c.p.c., avverso la quale parte opponente non ha mai proposta richiesta di revoca o modifica. Ancora, non risulta dai verbali relativi alla fase di primo grado né negli atti difensivi (antecedenti alla comparsa conclusionale) alcuna precisazione di parte opponente con riferimento al detto tasso convenzionale, tanto è vero che neppure i quesiti posti al c.t.u. (dai quali è assolutamente estranea detta questione) sono stati oggetto di contestazione. Ed allora, la qualificazione/interpretazione della domanda che oggi viene richiesta a questa Corte non risulta ammissibile in quanto i rilievi
in questo gravame evidenziati (e che al Tribunale erano stati sottoposti solo con la comparsa conclusionale) non erano stati affatto inseriti nell’impianto di allegazioni già delineato, sicché effettivamente le precisazioni rese nella detta comparsa conclu sionale (quindi già oltre i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c.) risultano non di mero chiarimento della portata e dei termini dei fatti addotti (v. Cass. n. 7115/13) »; ii ) utilizzando i criteri interpretativi di cui alla richiamata Cass., SU, n. 12310 del 2015 « al fine di valutare la denunciata erroneità della sentenza impugnata, è evidente che la totale assenza di ogni riferimento -sia nell’atto di opposizione, sia nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., sia negli atti difensivi successivi alla ordinanza ex art. 186 -bis c.p.c. ad eccezione della comparsa conclusionale -alle clausole negoziali sui criteri di determinazione convenzionale della misura degli interessi conduce a qualificare l’allegazione di tale questione come nuova, perché si aggiunge (e non è alternativa) rispetto a quella relativa ad usura, anatocismo ed alle commissioni. Questi erano i profili anche affrontati dalla consulenza di parte offerta dalla RAGIONE_SOCIALE ed in questo ambito vanno lette le allegazioni a fondamento dell’opposizione per contra stare il credito portato dal decreto ingiuntivo. I profili, dunque, relativi ai criteri di determinazione convenzionale degli interessi non erano stati mai sollevati, neppure nel primo atto difensivo utile successivo al deposito dei contratti da parte della banca. La disponibilità di tali documenti, infatti, è intervenuta sin dalla costituzione in giudizio della società opposta sicché nessun onere di ‘indulgenza’ oggi invocata da parte appellante -gravava sul Tribunale, al quale erano stati devoluti solo alcuni profili di contestazione del credito, negato -sì -dalla Tekmea ma in ragione di una consulenza di parte che indicava le anomalie (e solo quelle) e di una linea difensiva che non ha mai rappresentato, neppure lì ove avrebbe potuto tempestivamente adempiere, la questione dei criteri di determinazione dei tassi negoziali. Ne consegue che il Tribunale -implicitamente -ha respinto la nuova prospettazione svolta da parte opponente nella comparsa conclusionale, non essendo all’uopo sufficiente un mero rilievo del CTU durante le operazioni peritali atteso che al Tribunale, si ripete, non era stata devoluta detta questione ed, anzi, era stata
espressamente dichiarata con l’ordinanza ex art. 186 -bis c.p.c. (mai contestata) l’esistenza dei presupposti ex art. 115 c.p.c. per una parte del credito azionato, che è stato poi quello accertato in sentenza ».
Per la cassazione di questa sentenza, RAGIONE_SOCIALE ha promosso ricorso affidato, sostanzialmente, ad un motivo articolato in plurimi profili, illustrato anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, RAGIONE_SOCIALE tramite la propria rappresentante RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va rapidamente disattesa l’eccezione, sollevata dalla controricorrente, di inammissibilità del ricorso per asserita ‘ violazione delle norme relative alla notificazione del ricorso a mezzo pec ‘, atteso che l’avvenuta sua tempestiva costituzione li avrebbe comunque sanati.
1.1. Neppure sussiste alcun vizio della procura alle liti rilasciata dalla ricorrente al proprio difensore, rinvenendosene in atti la copia analogica recante la sottoscrizione del proprio legale rappresentante autenticata dall’ivi nominato legale.
Fermo quanto precede, il ricorso è strutturato nei seguenti cinque paragrafi:
La presunta non contestazione, parziale, della somma , in cui si censurano le affermazioni con cui la corte distrettuale, nel valutare la doglianza della presunta non contestazione del credito, oltre la somma stornata dal giudice di prime cure, ha ritenuto non essere vero che la domanda dell’opponente conten esse la contestazione del tasso convenzionale, in quanto la corrispondente specifica allegazione era stata compiuta solo precisando le conclusioni.
Sulla richiesta nullità , in cui, richiamandosi i rilievi del paragrafo precedente, si deduce che gli stessi permettevano di individuare una contestazione del credito per nullità dell’ingiunzione, e, quindi, di ciò su cui esso si fondava.
Nullità di protezione rilevabili d’ufficio , in cui si rappresenta che « Posti i rilievi di cui sopra, che permettono di ritenere contestato tutto il credito per
cui si procede e di rilevare implicitamente ogni tipo di nullità riscontrabile, si deve evidenziare una palese omissione in tutti i gradi di giudizio, sulla riscontrabilità d’ufficio della nullità delle clausole di rinvio agli usi. Se la relativa nullità è stata oggetto di specifica discussione già in sede istruttoria, nella comparsa conclusionale (in primo grado) si è dato atto della sua rilevabilità d’ufficio, così come sempre più insistentemente nel corso degli atti e dei verbali del giudizio di gravame ».
Indeterminabilità del credito , in cui, muovendo dall’assunto « che la sentenza di primo grado, nel precludere la rilevabilità della nullità del rimando agli usi e nel giustificare con ciò l’accoglimento parziale del credito ha gravemente errato », si deduce che « la stessa decisione esplicitamente afferma che la mancanza della documentazione fino al 2005 rende impossibile determinare la formazione del credito secondo le variazioni intervenute a seguito delle correzioni sul CMS, cui si deve necessariamente aggiungere la nullità del rimando agli usi con applicazione del 117 TUB, generando maggiore indeterminatezza. Il riconoscimento del credito parziale è infatti avvenuto sulla scorta di una presunta non opposizione sul punto da parte di Tekmea, esito fuori da ogni canone di logicità come esposto nel primo paragrafo. Ne consegue che, ammessa la nullità ex artt. 117 e 127 TUB, il credito vantato dall’Italfondiario, risulta indeterminato e, per la mancanza della documentazione, mai depositata, indeterminabile ».
Violazione ex art. 360, comma 1, n. 3-4, c.p.c. , in cui si sostiene che « Quanto premesso configura delle violazioni che costituiscono altrettanti motivi di ricorso, più precisamente e richiamando sinteticamente le ragioni: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. a conferma dell’ordinanza ex art. 186 -bis c.p.c. nonostante ci fosse stata opposizione all’istanza (già dalla prima udienza) e ci fosse una richiesta di revoca totale dell’ingiunzione, già dall’atto introduttivo; violazione e falsa applicazione degli artt. 117 e 127 TUB, riguardo la clausola univocamente identificata come usi su piazza dalla CTU e oggetto di osservazione e risposta nella perizia; violazione degli artt. 1346, 1418 e 1421 c.c. in riferimento al tasso convenzionale ex art. 1284 c.c.; nullità della decisione di secondo grado in quanto fondata su una
motivazione apparente, comunque non idonea a supportarla, ossia la condanna al pagamento di un credito sulla base di un eccezione rilevabile d’ufficio ».
In definitiva, RAGIONE_SOCIALE si duole del fatto che il tribunale, prima, e la corte di appello, poi, non avevano correttamente interpretato e valutato la sua domanda che, a suo dire, era stata volta a contestare l’intero credito azionato dalla banca ricorrente in monitorio (RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE in nome e per conto della Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a.) e non solo una parte dello stesso, e che, ancora, entrambi i giudici di merito non avevano tenuto conto del fatto che la parte creditrice non aveva as solto l’onere probatorio sulla medesima gravante quale attrice sostanziale. In sostanza, si afferma che la contestazione aveva riguardato l’intero credito a motivo di tre diverse doglianze: l’anatocismo, l’illegittimità delle commissioni di massimo scopert o e la contestazione delle pattuizioni degli interessi tramite rinvio alla clausola ‘ uso piazza ‘.
La descritta, articolata doglianza della ricorrente si rivela complessivamente inammissibile alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
3.1. Lo è, innanzitutto, laddove, nel descritto paragrafo 1, si duole della non contestazione solo parziale del credito come ritenuta dalla corte distrettuale.
Invero, premesso che costituisce ‘ elemento valutativo riservato al giudice del merito ‘, apprezzare, ‘ nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte ‘ (così Cass. n. 3680 del 2019, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 15058 del 2024), sicché tale ‘ apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione ‘ ( cfr . Cass. n. 13217 del 2014), va rilevato che, come condivisibilmente opinato dalla
menzionata Cass. n. 15058 del 2024, anche la censura di falsa applicazione del principio di non contestazione, e dunque dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., soggiace alla necessità dell’osservanza dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. Difatti, allorché sia denunciata una non corretta applicazione del principio di ‘ non contestazione ‘ -e ciò a prescindere dal contenuto della doglianza formulata, e dunque tanto nell’ipotesi in cui si lamenti che il giudice abbia ritenuto operante il principio in assenza dei suoi presupposti, quanto nel caso in cui ci si dolga, al contrario, dell’erronea esclusione della sua operatività -la parte ricorrente è tenuta non solo ad ‘ indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese ‘, inserendo nel ricorso ‘ la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi ‘ e ciò mercé ‘ la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria ‘ a tale scopo ( cfr . Cass. n. 16655 del 2016), ma anche ad indicare specificamente il contenuto del proprio atto introduttivo, della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi ( cfr . Cass. n. 12840 del 2017), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ.
Nella specie, tale onere non risulta essere stato ritualmente adempiuto, atteso che il già ricordato paragrafo 1 del ricorso non riporta, per quanto di specifica rilevanza in questa sede, il contenuto degli atti introduttivi di primo grado di entrambe le parti, né delle successive memorie ex art. 183 cod. proc. civ., se e da chi depositate, donde l’inammissibilità, in parte qua, della censura.
3.2. Quanto, poi, al lamentato mancato rilievo, anche ufficioso, della nullità della pattuizione degli interessi convenzionali mediante la clausola di rinvio agli ‘ usi su piazza ‘, è opportuno premettere che, come agevolmente si evince dai passaggi motivazionali della sentenza impugnata già riportati nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘ (da intendersi qui richiamati per intuibili ragioni di sintesi), la corte ha reputato che la contestazione dell’importo riconducibile alla clausola di rinvio agli usi era stata tardivamente sollevata solo in sede di precisazione delle conclusioni e, poi, nella comparsa conclusionale di primo
grado e ha aggiunto che nella consulenza di parte prodotta dall’odierna ricorrente con l’opposizione al decreto ingiuntivo non vi era menzione della clausola di rinvio agli usi. In sostanza, quindi, la ratio decidendi della pronuncia sul punto deve intendersi nel senso che è il fatto della clausola di rinvio agli usi ad essere stato dedotto tardivamente con la comparsa conclusionale di primo grado.
Fermo quanto precede, rileva il Collegio che è innegabile che la giurisprudenza di legittimità affermi che, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo ( cfr . Cass., SU, n. 26242 del 2012, i cui assunti sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista -per così dire -quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già tempestivamente allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già (giova ripeterlo) tempestivamente allegati ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 5478 del 2024; Cass. n. 8668 del 2025).
Nell’odierna vicenda, in ragione di quanto si è già riportato circa la individuazione della effettiva ratio decidendi della pronuncia impugnata sul punto (il fatto della clausola di rinvio agli usi era stato dedotto tardivamente in sede di precisazione delle conclusioni e poi con la comparsa conclusionale di primo grado), ne consegue la RAGIONE_SOCIALE non aveva tempestivamente allegato (al più tardi con la prima memoria di cui all’art. 183, comma 6, cod.
proc. civ., -nel testo, applicabile ratione temporis , anteriore alla modifica apportatagli dal d.lgs. n. 149 del 2022 -già innanzi al tribunale), il fatto costitutivo funzionale a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa di quella stessa nullità dalla stessa oggi invocata pur non essendo stata documentata una tempestiva domanda formulata in tal senso. In altri termini, la quaestio nullitatis come da lei sollevata in appello, pur astrattamente proponibile al di là delle preclusioni ormai maturatesi, avrebbe, sì, obbligato il giudice a rilevarne l’eventuale fondatezza, o meno (con conseguente applicazione del disposto dell’art. 101, comma 2, co d. proc. civ.), ma sempre che, ed a condizione che, il fatto costitutivo del vizio negoziale fosse stato già tempestivamente allegato (ma tanto non risulta dal ricorso, anzi, emergendo, al contrario, la tardività di una tale allegazione), onde legittimare una decisione fondata su quello stesso fatto e soltanto su quello, non essendo più consentito al giudice di appello alcun accertamento fattuale se non in violazione del principio del contraddittorio.
3.3. Resta solo da dire, infine, con specifico riguardo al contenuto del già descritto paragrafo 5 (‘ Indeterminabilità del credito ‘) del ricorso, che lo stesso, per come concretamente argomentato, si rivela chiaramente diretto contro la sentenza di primo grado, mentre, come è noto, l’impugnazione per cassazione investe esclusivamente la decisione di secondo grado.
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, stante il principio di soccombenza, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, atteso il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la
debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE e la condanna pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile