Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13103 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13103 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26781/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME, domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
– Ricorrenti –
contro
COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’ appello Roma n. 5894/2021 depositata il 10/09/2021.
Comunione
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 6 febbraio 2025.
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che la Corte accolga il ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per parte ricorrente.
Udito l’avvocato NOME COGNOME per parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2217/2016 pubblicata, il Tribunale di Latina, decidendo sulla domanda di rivendicazione proposta da NOME COGNOME e COGNOME NOME nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME rispettivamente madre e figlia, con riferimento ai beni immobili siti in Terracina, INDIRIZZO, distinti al foglio 110, p.lla 579 sub. 1-8-9 del catasto del predetto Comune, e sulla domanda di scioglimento e di divisione dei beni comuni (portico e cortile esterno) occupati dalle convenute in violazione dell’art. 1102 c.c., respinta , perché tardiva, l’eccezione di usucapione degli stessi beni sollevata da queste ultime, accolse la domanda di revindica e dispose la divisione delle aree comuni in proprietà esclusiva ai quattro comproprietari degli appartamenti ubicati al primo e secondo piano dell’unico fabbricato, nelle rispettive quote come determinate dal c.t.u.
Condannò, inoltre, NOME COGNOME e NOME COGNOME a corrispondere a COGNOME Angeli e COGNOME NOME una somma pari a euro 18.040, a titolo di conguaglio per il diverso valore economico-commerciale delle quote attribuite in proprietà esclusiva alle parti del presente giudizio, così come risultanti dalla consulenza d’ufficio .
Sull’impugnazione spiegata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME la Corte d’appello di Roma, nel contraddittorio di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ha respinto l’appello, con condanna delle appellanti alle spese del grado, e ha corretto l’errore materiale del
Tribunale sostituendo, in dispositivo, al conguaglio di euro 18.040 quello di euro 28.600.
Questi, in breve, i punti chiave della decisione: (i) l’omesso deposito telematico della c.t.u. non ha determinato la nullità della sentenza posto che non vi è stata alcuna violazione del contraddittorio e le convenute hanno depositato note critiche alle quali il consulente d’ufficio ha replicato; (ii) è inammissibile l’ecce zione nuova, proposta in violazione dell’art. 345 c.p.c., delle appellanti che lamentano la mancanza di congruità del valore delle quote stimato dal c.t.u.; (iii) la tesi di parte appellante secondo cui il portico e il cortile esterno al fabbricato non sarebbero parti comuni è smentita dai titoli di provenienza e dalla sentenza del Tribunale di Latina n. 839/2005, nella causa promossa da NOME COGNOME contro le appellanti NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME che ha accertato, con efficacia di giudicato, che l’attrice era comproprietaria in ragione del 25% (appunto) del portico e delle altre parti comuni; (iv) le appellanti, coll’installazione, all’ingresso del portico, di un cancello in ferro, hanno violato l’art. 1102 c.c. sull’uso della cosa comune da parte dei partecipanti alla comunione; (v) la domanda di scioglimento della comunione, fondata sulla comproprietà dei beni comuni, trova ulteriore conferma nell’eccezione di usucapione tardivamente sollevata dalle convenute, eccezione che postula il riconoscimento, da parte delle appellanti, dell’altrui diritto di comproprietà; (vi) è corretta la statuizione del Tribunale che, senza attendere il giudicato sulla domanda di rivendicazione, ha condannato le convenute al rilascio del portico e dei beni comuni, poiché queste ultime, col cancello posizionato all’ingresso del portico, hanno impedito alle attrici il godimento del bene comune; (vii) come eccepito dalle appellate in comparsa di costituzione, la sentenza è viziata da un errore materiale lì dove,
prima, ha determinato il conguaglio in denaro riferito alle due quote delle convenute in euro 57.200, mentre, nel dispositivo, ha determinato la quota pro capite del conguaglio in euro 18.040, anziché in euro 28.600.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che il ricorso venga accolto.
In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia , ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione degli artt. 102, 784 c.p.c.
Si eccepisce il difetto di integrità del contraddittorio in relazione alla domanda di scioglimento della comunione che vede come parti necessarie del giudizio (anche) NOME COGNOME e NOME COGNOME figli ed eredi di NOME COGNOME, partecipante alla comunione per avere acquistato, con rogito del 04/09/1981, unitamente alla moglie NOME COGNOME l’appartamento situato al primo piano del fabbricato oggetto di causa e il 50% del portico.
Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 345 c.p.c.
La sentenza avrebbe erroneamente dichiarato inammissibile, per novità della questione, il motivo di appello con il quale veniva contestato il progetto di divisione elaborato dal c onsulente d’ufficio , trascurando che i rilievi critici all’ attività processuale del l’ausiliare del giudice (relativa alla stima del valore dei beni della massa) costituiscono una mera difesa che non incontra alcuna preclusione processuale.
Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c.
La sentenza avrebbe disposto la correzione d ell’ errore materiale della decisione di primo grado senza considerare che, in realtà, non si era in presenza di un errore percettivo del giudice, in quanto tale emendabile ex art. 287 c.p.c., perché il Tribunale aveva recepito il primo progetto di divisione del c.t.u. (pag. 13 dell’elabo rato peritale) e il relativo conguaglio in denaro, a carico delle appellanti, mentre non aveva recepito il secondo progetto di divisione che prevedeva il maggiore conguaglio rettificato di euro 28.600.
Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 726, 727, 728 e 1116 c.c.
In subordine, nell’ipotesi di rigetto del secondo e del terzo motivo, si censura il capo della sentenza che ha corretto la pronuncia di primo grado poiché, ad avviso delle ricorrenti, il conguaglio in denaro non è determinato dalla differenza di valore tra le quote assegnate in natura -quota COGNOME
COGNOME: euro 298.320; quota COGNOME
COGNOME: euro 355.520 -ma dalla differenza tra il valore delle quote assegnate in natura ed il valore delle quote di diritto. Sicché, si sostiene, occorre prima stimare il valore della massa lorda, pari alla somma delle quote in natura, che nel caso di specie è di euro 653.840 (euro 298.320 + euro 355.520), poi occorre calcolare il valore delle due quote di diritto, pari a euro 326.920, ciascuna (euro 653.840 : 2), e, da ultimo, quantificare, il conguaglio, dato dalla differenza di valore tra le quote in natura e le quote di diritto (euro 355.520 – euro 326.920 = + 28.600 per COGNOME
COGNOME; euro 298.320 – euro 326.920 = 28.600,00 per COGNOME
COGNOME), sicché il conguaglio va determinato nella somma complessiva di euro 28.600.
Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n n. 3 e 4 c.p.c., violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. -nullità della
sentenza per mancanza di motivazione in relazione alla contestata condanna solidale delle appellanti al pagamento del conguaglio.
Nella diversa ipotesi di accoglimento del terzo motivo e, quindi, di annullamento del capo della sentenza che ha accolto l’istanza di correzione avanzata da parte appellata, si censura la stessa statuizione per aver dichiarato inammissibile il quarto motivo di appello senza esaminare la parte del motivo in cui si contestava la decisione di primo grado per avere ‘ condannato entrambe le appellanti per l’intero importo, mentre andava quantificato il conguaglio per ciascuna di esse in base al valore delle rispettive quote ‘ .
6. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n n. 3 e 4 c.p.c., violazione dell’art. 16 bis d.l. n. 179 del 2012 -nullità della perizia e conseguente nullità della sentenza di primo grado, nonché violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.: nullità della sentenza per irriducibile contrasto logico della motivazione.
Per un verso, si reitera il rilievo articolato nel secondo motivo di appello, in base al quale la sentenza di primo grado sarebbe nulla per mancato deposito telematico della c.t.u., come prescritto dall’art. 16 bis del d.l. 179 del 2012, disposizione, questa, che, per le cause iniziate prima del 30/06/2014, si applicava dal 31/12/2014, a norma del primo comma dell’art. 44 del d.l. n. 90 del 2014, e dunque anche alla consulenza d’ufficio depositata in formato cartaceo in data 26/01/2016, la cui nullità incideva direttamente sulla sentenza di primo grado che aveva individuato la quota spettante agli attori, con il relativo conguaglio in denaro a carico delle convenute, esclusivamente fondandosi sulla detta consulenza.
Per altro verso, si censura la motivazione contraddittoria della sentenza, che sostiene che il difensore delle convenute aveva avuto piena conoscenza della consulenza d’ufficio , avendo formulato le note
critiche del 13/01/2016, allegate alla c.t.u., trascurando che essendo tali note critiche anteriori al deposito della perizia, la loro esistenza non provava la conoscenza, da parte della difesa delle convenute, della relazione peritale successivamente depositata.
7. Il settimo motivo denuncia ‘ Nullità della sentenza per mancata valutazione di documenti decisivi per la controversia ai sensi del medesimo articolo 360 c.p.c., n. 5 Travisamento della prova -insussistenza del diritto di proprietà di COGNOME NOME della quota del 25% del portico – Diritto di proprietà di COGNOME NOME e COGNOME NOME della quota del 75% del portico e di COGNOME NOME del restante 25% ‘.
La sentenza sarebbe viziata lì dove, travisando le risultanze processuali, e in particolare i titoli di acquisto e la sentenza del Tribunale di Latina n. 839 del 2005, afferma che i beni oggetto di divisione sono di proprietà comune degli appellati (COGNOME), nella misura del 25% a favore di ciascuno di essi.
Si obietta che, invece, dalla sentenza n. 839 del 2005 si evince che: NOME COGNOME non è comproprietario del 25% del portico e della annessa corte esterna, per avere rettificato, con atto per notaio COGNOME rep. 26.006 del 13/07/1989, il precedente atto di acquisto per notaio COGNOME rep. 56229 del 30/06/1984; NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME sono proprietari del 50%, come da atto di acquisto notaio COGNOME del 04/09/1981, rep. 49900; COGNOME NOME è proprietaria del 25%, come da rogito notaio COGNOME del 27/07/1988, rep. 19270, e NOME COGNOME è proprietaria dell’altro 25%, come da sentenza n. 839/2005 del Tribunale di Latina.
Tali informazioni probatorie, concludono le ricorrenti, se correttamente acquisite dalla Corte d’appello , avrebbero comportato la rinnovazione del progetto divisionale, il rigetto della domanda di NOME COGNOME di assegnazione del portico e la partecipazione delle
stesse ricorrenti e di NOME COGNOME alla divisione, rispettivamente, nella misura del 75% e del 25%.
L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’ art. 948 c.c.
La sentenza sarebbe viziata nella parte in cui conferma la condanna delle attrici al rilascio della quota del 25% del locale deposito distinto al foglio 100 part. 579 sub. 8 per 107 mq, con annessa corte di 248 mq , in violazione dell’art. 948 c.c. perché emessa nei confronti degli stessi soggetti assegnatari, e in violazione del principio per il quale soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza di divisione e con la concretizzazione materiale della quota il rivendicante può procedere al rilascio del bene assegnato.
Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 132 comma 2 n. 4 c.p.c.
La sentenza sarebbe nulla, per difetto di motivazione, nella parte in cui ha rigettato, senza motivare sul punto, il motivo di appello che censurava la decisione di primo grado, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione del fatto che, mentre in citazione gli attori avevano chiesto di procedere alla divisione degli immobili con attribuzione in proprietà esclusiva di porzioni materiali dei cespiti secondo le rispettive quote del 25% ciascuno, il Tribunale aveva assegnato ai richiedenti pro indiviso il locale deposito di 107 mq e la corte per mq 166 distinta al fg. 110 part. 579 sub. 9, pari al 50% della massa comune, e alle convenute l’altro 50% pro indiviso , formando due nuove comunioni in assenza di una corrispondente domanda.
Il primo motivo è infondato.
Il difetto di integrità del contraddittorio, non costituendo un ‘ eccezione in senso proprio, può essere dedotto per la prima volta anche nel giudizio di legittimità, sebbene a condizione che la prova di esso emerga univocamente dagli atti, che lascino chiaramente
intendere che il giudizio di merito non si è svolto nei confronti di tutte le parti e che, pertanto, la sentenza impugnata è ‘ inutiliter data ‘ (Sez. 2, Sentenza n. 27521 del 19/12/2011, Rv. 620250 -01).
I n base all’interpretazione di questa Corte, i l vizio processuale derivante dall ‘ omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche in sede di legittimità, alla duplice condizione che gli elementi che rivelano la necessità del contraddittorio emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (senza la necessità di svolgimento di ulteriori attività istruttorie) e che sulla questione non si sia formato il giudicato; ciò in quanto le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ai sensi dell ‘ art. 372 c.p.c., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell ‘ atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullità originate da vizi del processo (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3024 del 28/02/2012, Rv. 621484 -01; Sez. 5, Ordinanza n. 21256 del 13/09/2017, Rv. 645460 – 01).
È stato anche chiarito (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24048 del 12/10/2017, Rv. 646795 – 01) che nel giudizio di cassazione non è ammissibile la produzione di nuovi documenti al fine di dimostrare la necessità di integrazione del contraddittorio nei precedenti gradi del processo, essendo le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ex art. 372 c.p.c., tale produzione limitate a quelle derivanti da vizi propri dell ‘ atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma e non estendendosi, pertanto, a quelle originate, in via riflessa o mediata, da vizi del procedimento, quantunque idonei, in astratto, a spiegare effetti invalidanti sulla sentenza.
Ciò premesso sul piano dei principi, tornando all ‘esame del motivo, incombeva sulle ricorrenti l’onere di provare sia l’esistenza
degli eredi di NOME COGNOME (nel ricorso si fa riferimento ai due figli NOME e NOME COGNOME), sia i presupposti di fatto che imporrebbero la loro partecipazione a questo giudizio.
A tal fine non sono sufficienti gli atti e i documenti acquisiti nei gradi di merito poiché né la sentenza n. 839/2005 del Tribunale di Latina, passata in giudicato, né gli atti di acquisto a titolo derivativo su cui poggiano le domande oggetto di questo giudizio, attestano univocamente che gli eredi di NOME COGNOME sono comproprietari dei beni comuni (portico e cortile) di cui è chiesta la divisione.
Del resto, come evidenzia il Pubblico ministero nella memoria (pagg. 2 e 3) da ultimo depositata, l’allegazione, da parte delle ricorrenti, della qualità di eredi di NOME e NOME COGNOME collide con la condotta processuale dalle stesse tenuta nel giudizio conclusosi, in primo grado, con la sentenza del Tribunale di Latina n. 2393/2018 (e non ‘3852’), che ha respinto la domanda di usucapione ex art. 1158 c.c. del portico e del cortile proposta da NOME COGNOME e da NOME COGNOME esclusivamente nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e non anche nei confronti degli altri eredi di NOME COGNOME
Il secondo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del terzo, quarto e quinto motivo.
La statuizione della Corte d’appello, che ha dichiarato inammissibile, per novità della questione, il motivo di gravame con il quale veniva contestata la congruità economica del valore delle quote stimate dal c onsulente d’ufficio, è in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte -che il Collegio condivide e intende riaffermare -secondo cui, nel giudizio di divisione, le contestazioni alla stima del valore del bene da dividere formulate per la prima volta in grado di appello non integrano domande o eccezioni nuove, precluse ex art. 345 c.p.c., atteso che la contestazione mira
semplicemente a verificare la legittimità dello svolgimento delle operazioni divisionali, e precisamente l’esattezza della stima del bene comune, ma sempre in vista del perseguimento del risultato cui mirava la proposizione della domanda originaria (Sez. 2, Sentenza n. 8194 del 27/04/2020 (Rv. 657641 – 01). Infatti, spiega la S.C., anche laddove la parte, nel corso del giudizio di primo grado, non abbia mosso specifiche contestazioni in ordine ai criteri seguiti dal giudice per addivenire alla stima del bene, anche in relazione all ‘ incidenza di diritti vantati da alcuni dei condividenti, non le è preclusa la possibilità di svolgere le critiche alla stima stessa mediante la formulazione di uno specifico mezzo di gravame, senza che ciò implichi la proposizione di una domanda nuova ovvero di un ‘ eccezione preclusa in appello ex art. 345 c.p.c.
Il sesto motivo, che contiene due distinte censure, è manifestamente infondato.
Il decreto-legge del 18/10/2012 n. 179, conv. con modif. dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221, all’art. 16 -bis comma 1, nella versione applicabile ratione temporis , prevede che « a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria» .
Così delineata la norma di riferimento, nel caso in esame, anzitutto, la sentenza non è viziata da aporìe logiche e, pertanto, non è nulla per vizio di motivazione nella parte in cui afferma che il
deposito della consulenza in formato cartaceo, anziché in modalità telematiche, non ha determinato alcuna violazione del contraddittorio avendo le appellanti depositato note critiche alla consulenza (o, meglio, alla bozza della consulenza d’ufficio).
In secondo luogo, si deve escludere, da un lato, che ricorra la prospettata violazione del secondo comma dell’art. 156 c.p.c. poiché lo scopo dell’atto istruttorio è stato raggiunto, avendo l’ausiliare risposto ai quesiti del giudice , dall’altro, la dedotta violazione del contraddittorio, non avendo le ricorrenti nemmeno allegato che le conclusioni della ‘c.t.u. definitiva’ (depositata in formato cartaceo) differivano da quelle della bozza dell’elaborato peritale, in relazione alla quale le convenute fecero pervenire al consulente note critiche con email del 13/01/2016.
13. Il settimo motivo è inammissibile per le ragioni appresso indicate.
La censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio di cui al n. 5 dell’art. 360 comma 1 c.p.c., è inammissibile perché si è in presenza della cd. doppia conforme, ossia di due decisioni omogenee dei giudici di merito fondate sui medesimi aspetti fattuali sottesi alle domande di rivendicazione e di divisione dei beni comuni (portico e cortile).
Quanto all’asserita erronea esegesi, da parte del giudice di merito, dei titoli di acquisto dei beni di cui è chiesta la divisione, è utile ricordare che l ‘ attività di interpretazione è diretta alla ricerca e alla individuazione della comune volontà dei contraenti e costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ovvero, ancora, ai sensi dell ‘ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti
dall’art. 1362 e ss. c.c. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai princìpi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 13242 del 31/05/2010, Rv. 613151 -01; in termini, Cass. 24/06/022, n. 20434; Cass. 22/07/2022, n. 22980).
In adesione a tali principi, rileva la Corte che, nella fattispecie concreta, le ricorrenti, dolendosi della violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale (art. 1362 e seguenti c.c.), hanno omesso di indicare le regole legali di interpretazione, mediante specifica menzione delle norme asseritamente violate e doveva precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si fosse discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li avesse applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non potendo, invece, la censura risolversi (come in effetti è accaduto nel caso di specie) nella mera contrapposizione della loro interpretazione dei contratti rispetto a quella accolta nella sentenza impugnata (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017).
Sotto altro profilo, è il caso di richiamare il consueto indirizzo di questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 18641 del 27/07/2017, Rv. 645076 -01), secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e
logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l ‘ autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.
Nel caso in esame, invero, non risulta attinta da specifica censura l ‘autonoma ratio decidendi (vedi pag. 10 della sentenza) secondo cui la comproprietà dei beni è confermata dall ‘esplicita eccezione di usucapione tardivamente sollevata dalle convenute, eccezione che, prosegue il giudice d’appello, postula il riconoscimento dell’altrui diritto di comproprietà sulla cosa comune.
14. L’ottavo motivo è manifestamente infondato.
L ‘argomento delle ricorrenti che la loro condanna al rilascio dei beni in comproprietà, disposta dal Tribunale e confermata dalla Corte d’appello, s arebbe incompatibile con il giudizio di rivendicazione non è corretto.
Infatti, gli attori hanno svolto due autonome e distinte domande: una di rivendicazione dei beni in comunione, l’altra volta ad ottenere la divisione dei beni.
Il Tribunale di Roma ha dichiarato la contitolarità dei beni in comunione da parte dei rivendicanti e ha disposto la divisione degli stessi beni secondo quanto previsto dal progetto divisionale elaborato da l consulente d’ufficio.
La condanna delle convenute al rilascio delle aree attribuite agli attori costituisce il naturale effetto della concretizzazione delle quote astratte che questi ultimi hanno fondatamente rivendicato in porzioni determinate conseguenti alla divisione dei beni in comunione.
Il nono motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Le ricorrenti -le quali non hanno aderito alla domanda di scioglimento della comunione e di divisione dei beni in comproprietà –
non hanno interesse a dolersi né della mancata ripartizione della porzione del 50% ad esse complessivamente riconosciuta, né, per quanto è di rilievo nel presente giudizio , data l’equivalenza aritmetica del risultato che ne è conseguito, del fatto che agli attori sia stata attribuita una porzione del 50% dei beni comuni, anziché due parti, ciascuna delle quali pari al 25% dei beni da dividere.
16. In conclusione, accolto il secondo motivo, assorbiti il terzo, il quarto e il quinto motivo, rigettati il primo, il sesto e l’ottavo motivo, dichiarati inammissibili il settimo e il nono motivo, la sentenza è cassata in relazione al secondo motivo, con rinvio al giudice a quo anche per le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, assorbiti il terzo, il quarto e il quinto motivo, rigetta il primo, il sesto e l’ottavo motivo, dichiara inammissibili il settimo e il nono motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del