Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18842 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
Oggetto: contratti bancari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3020/2024 R.G. proposto da COGNOME Adriano e COGNOME rappresentati e difesi dagli avv. NOME
COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
Intesa Sanpaolo s.p.a.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 1378/2023, depositata il 25 settembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME anche quale ex socio della RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona, depositata il 25 settembre
2023, di reiezione del l’ appello dai medesimi interposto unitamente alla predetta RAGIONE_SOCIALE per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le domande di accertamento della illegittimità di annotazioni a debito effettuate nel contratto di conto corrente acceso dalla società con la Banca Popolare di Ancona s.p.a., poi incorporata dalla UBI Banca s.p.a. e in seguito dalla Intesa Sanpaolo s.p.a., e nel connesso conto anticipi, della nullità del contratto di mutuo concluso dalla società medesima con la banca e della nullità delle fideiussioni prestate dagli altri attori a garanzie delle esposizioni debitorie e di condanna della banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite a tali titoli e al risarcimento dei danni; – la Corte di appello ha disatteso il gravame evidenziando che la domanda introduttiva del giudizio era formulata in modo generico ed era priva di sostegno probatorio, non circostanziando gli addebiti contestati e le relative ragioni, e che la parte non aveva neanche depositato il contratto contenente le clausole contrattuali invalide o
erroneamente applicate;
ha, poi, escluso sia la nullità della clausola relativa all’applicazione degli interessi passivi, ritenendo rispettate le prescrizioni della delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, sia la allegata applicazione di interessi usurari in ragione della irrilevanza della cd. usura sopravvenuta e della insussistenza della cd. usura soggettiva, sia la dedotta indeterminabilità della commissione di massimo scoperto;
ha, altresì, escluso la nullità del mutuo, prospettata in relazione alla destinazione del relativo importo al ripianamento dell’esposizione debitoria, alla difformità tra l’I.S.C. indicato in contratto e quello praticato, alla mancata considerazione di alcuni costi nella rilevazione del T.A.E.G. e alla indeterminatezza del tasso di interesse in ragione dell’applicazione del criterio dell’ammortamento alla francese;
ha, infine, ritenuto indimostrata la violazione da parte della banca del principio di buona fede nelle trattative e nell’esecuzione de contratto,
posto dagli attori a fondamento della domanda risarcitoria;
il ricorso è affidato a nove motivi;
resiste con controricorso la Intesa Sanpaolo s.p.a.;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e/o l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio, nella parte in cui ha affermato che la parte attrice non assolto all’onere di documentare l’andamento del rapporto benché la stessa aveva prodotto tutti gli estratti del conto corrente e del conto anticipi, unitamente a una analitica consulenza tecnica contabile, con la memoria di cui all’art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., e conseguentemente non ammesso la sollecitata consulenza tecnica d’ufficio ;
con il secondo motivo deducono la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per non aver la Corte territoriale adeguatamente motivato la mancata ammissione della consulenza tecnica di ufficio;
con il terzo motivo si dolgono della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1322, 1325, n. 2, 1344, 1418 e 2697 cod. civ., per aver la decisione impugnata ritenuto valido il contratto di mutuo benché viziato per difetto della causa in concreto e, comunque, stipulato in frode alla legge in quanto la somma mutuata dalla banca era stata utilizzata per ripianare un’esposizione solamente in apparenza debitoria , atteso che il saldo era comprendeva addebiti non dovuti;
con il quarto motivo lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1284, 1346 e 1815 cod. civ., 117 e 120 t.u.b. e 6 delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, in relazione al ritenuto mancato superamento del tasso soglia relativo al contratto di mutuo pur in presenza della sussistenza della clausola cd. floor ;
con il quinto motivo criticano la sentenza impugnata per violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 1815 cod. civ., per aver ritenuto che pur tenendo conto dei costi assicurativi il predetto tasso soglia non fosse stato superato;
con il sesto motivo deducono la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 821, 1283, 1284, 1325, nn. 1 e 3, 1418, 1419, 1346 e 1427 cod. civ., 117 e 120 t.u.b. e 6 delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, per aver la Corte territoriale omesso di compiere atti istruttori finalizzati ad accertare che il piano di ammortamento cd. alla francese, implicando una capitalizzazione composta degli interessi, determina un tasso di interesse più alto rispetto a quello pattuito e presenta profili di indeterminatezza del tasso medesimo;
con il settimo motivo censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 644, terzo comma, cod. pen., e 1815, secondo comma, cod. civ., per aver negato che ricorresse una ipotesi di usura soggettiva escludendo, a tali fini, la rilevanza dei tassi di mora e ignorando che lo stato di difficoltà economico-finanziaria della mutuataria era determinato dalla condotta posta in essere dalla banca; -con l’ottavo motivo allegano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione alla mancata attività istruttoria -in particolare, l’esame dei documenti prodotti e l’ammissione della prova testimoniale articolata -preordinata ad accertare i lamentati danni patrimoniali e non patrimoniali, peraltro adeguatamente dimostrati;
-con l’ultimo motivo prospettano analoga censura in relazione al diverso paradigma costituito dall’art. 2697 cod. civ.;
i primi due motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
le doglianze non aggrediscono puntualmente la ratio decidendi che ha respinto la domanda di accertamento del saldo dei rapporti bancari dedotti in giudizio in ragione non tanto della incompleta produzione della documentazione relativa a tali rapporti, quanto della formulazione della domanda medesima « in modo del tutto generico … senza
minimamente circostanziare gli importi asseriti come indebiti e senza la precisa indicazione né delle singole ragioni di asseriti ingiusti pagamenti eseguiti dal correntista, né delle specifiche illegittimità addebitabili alla banca, non essendo in corso di causa seguita alcuna precisazione della domande nei termini ex art. 183 c.p.c. concessi dal giudice, pur avendone l’attore avuto la possibilità all’esito della costituzione da parte della banca, che sua sponte (in assenza di una previa richiesta ex art. 119 TUB e/o ex art. 210 c.p.c.) ha provveduto al deposito del contratto di apertura di credito e di tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto fino alla chiusura del conto: tuttavia, da tale deposito documentale la società istante non ha tratto giovamento neppure in sede di redazione della consulenza contabile depositata in allegato alla propria memoria istruttoria ex art. 183 c.p.c. secondo termine, quindi parecchi mesi dopo il suddetto deposito da parte della banca, se si consideri che il CTP da essa incaricato afferma di aver potuto utilizzare solo gli estratti conto successivi al 30.06.2005, anzi, in modo parziale per quanto riguarda il biennio 2009/2010 e di non aver potuto visionare la documentazione contrattuale poiché del tutto mancante … »;
da ciò si desume che la reiezione dei motivi di appello proposti sul punto è dipesa non già dalla mancata produzione dei relativi documenti contrattuali e/o contabili, quanto dalla insufficiente indicazione dei fatti astrattamente idonei fondare la domanda, riverberantesi nella insussistenza dei fatti costitutivi;
può, comunque, osservarsi che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere;
-la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura, invece, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni;
un tale errore non è dedotto dai ricorrenti;
si osserva, altresì, che il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione non è censurabile per cassazione per violazione di legge (cfr. Cass. 4 luglio 2024, n. 18299; Cass. 25 agosto 2023, n. 25281; Cass. 13 gennaio 2020, n. 326);
infine, si evidenzia, in relazione alla prospettata violazione del paradigma di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che nel caso in esame ricorre una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., per cui il ricorrente è gravato del l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
anche tale onere non risulta essere stato rispettato;
il terzo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
il contratto di mutuo solutorio, che si perfeziona, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, è posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, è valido, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente
destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale (così, Cass., Sez. Un., 5 marzo 2025, n. 5841); – nella parte in cui la censura assume che l’esposizione debitoria ripianata con l’importo della somma mutuata era «gonfiata» in quanto frutto dell’annotazione a debito di voci non dovute, la stessa non si confronta con la sentenza impugnata la quale ha escluso l’addebito di somme non dovute;
il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
la Corte di appello, condividendo la valutazione espressa dal giudice di primo grado in proposito, ha ritenuto che anche tenendo conto della commissione relativa all’opzione cd. floor e del costo per assicurazione ai fini della determinazione del T.A.E.G. il tasso soglia applicabile al contratto di mutuo non fosse superato;
un siffatto accertamento è riservato al giudice di merito, costituendo un apprezzamento di fatto, e, in quanto tale, non può essere sindacato in questa sede per violazione o falsa applicazione della legge;
il sesto motivo è infondato;
con rifermento ai contratti di mutuo a tasso fisso con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento cd. alla francese, questa Corte ha affermato che la mancata esplicitazione nel contratto del maggior costo del prestito come effetto del sistema «composto» di capitalizzazione degli interessi non evidenzia un problema di determinatezza o indeterminatezza dell’oggetto del contratto (cfr. Cass., sez. Un., 29 maggio 2024, n. 15130);
ha, inoltre, osservato che il maggior carico di interessi del prestito non dipende, di regola, da un fenomeno di produzione di «interessi su interessi», ma dal fatto che nel piano concordato tra le parti la restituzione del capitale è ritardata per la necessità di assicurare la rata costante in equilibrio finanziario, il che comporta la debenza di più
interessi corrispettivi da parte del mutuatario a favore del mutuante per il differimento del termine per la restituzione dell’equivalente del capitale ricevuto;
è stato, quindi, ritenuto che tali principi trovano applicazione anche nel caso -rilevante nella specie -in cui il tasso convenuto nel piano di ammortamento standardizzato non sia fisso ma variabile, ancorato ovviamente ad un indice predeterminato, osservando, quanto al profilo del divieto di anatocismo, che, laddove la quota di interessi dovuta per ciascuna rata sia calcolata applicando il tasso convenuto solo sul capitale residuo, è perciò stesso esclusa la capitalizzazione degli stessi, e ciò che cambia è solo la quantificazione degli interessi dovuti (così, Cass. 19 marzo 2025, n. 7382);
-l’adesione ai riferiti principi conduce a ritenere prive di pregio l a censura attinente alla indeterminatezza dei tassi di interesse;
può, in proposito, aggiungersi che, come sottolineato nella richiamata sentenza delle Sezioni Unite, la maggiore onerosità e, quindi, sulla minore convenienza del (regime finanziario del) prestito per il mutuatario rispetto ad altri possibili piani di ammortamento non concordati dalle parti è questione estranea rispetto a quella della indeterminatezza dell’oggetto del contratto;
il settimo motivo è inammissibile;
la Corte territoriale ha osservato che cd. usura soggettiva, di cui al secondo periodo del terzo comma dell’art. 644 cod. pen. , richiede che l ‘accertamento della sproporzione degli interessi pattuiti debba essere condotta non solo avendo riguardo al tasso di interessi applicato, ma anche alle condizioni di difficoltà economico-finanziaria del mutuatario e al correlativo vantaggio conseguito dal mutuante;
ha, quindi, ritenuto che nel caso in esame, non vi era prova di elementi sufficienti a sostegno dell’assunto degli appellanti;
la doglianza contesta tale valutazione, la quale, tuttavia, investendo un apprezzamento di fatto, è riservata al giudice di merito e non
sindacabile in questa sede per violazione o falsa applicazione della legge;
-l’ottavo e il nono motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
sul punto della responsabilità della banca per l’asserita condotta illecita dei funzionari della banca che si sarebbe concretizzata in ritardi o disguidi occorsi nell’incasso delle somme versate dal cliente e, conseguentemente, foriera dei pretesi danni subiti in termini di chiusura dei cantieri ad essa commissionati e perdita delle commesse, la Corte di appello ha condiviso quanto affermato dal Tribunale in ordine alla assenza di elementi di responsabilità della banca, «intravedendo piuttosto nel comportamento della società appellante la causa dei lamentati ritardi e/omissioni, come emergenti dal materiale istruttorio in atti, in relazione ai quali non risulta neppure provato il danno»;
-i ricorrenti lamentano la ritenuta insussistenza degli allegati comportamenti illeciti, richiamando le prove documentali offerte e la prova testimoniale articolata;
tuttavia, le censure non soddisfano gli oneri di allegazione richiesti per la deduzione della violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. 2697 cod. civ., così come indicati in occasione dell’esame dei primi due motivi;
può, inoltre, aggiungersi che nella parte in cui critica la valutazione (o l’omessa valutazione) dei documenti prodotti la doglianza si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie che è rimessa al giudice di merito;
nella parte, infine, in cui censura la mancata ammissione della prova testimoniale articolata in primo grado, il ricorrente non ha dimostrato di aver ribadito la richiesta istruttoria disattesa in primo grado nel giudizio di appello, non assolvendo all’onere sullo stesso gravante a pena di inammissibilità (cfr., in tema, Cass. 13 settembre 2019, n.
22883; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5741);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 8.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’11 giugno 2025.