Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22226 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22226 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17262-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 288/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 22/04/2021 R.G.N. 579/2020;
Oggetto
Licenziamento
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, nell’ambito di un procedimento ex lege n. 92 del 2012, in riforma della pronuncia di primo grado, ha annullato il licenziamento disciplinare intimato il 2 novembre 2018 a NOME COGNOME dalla Banca Patavina Credito Cooperativo di Sant’Elena e Piove di Sacco soc. coop. e condannato quest’ultima a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagare una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal recesso alla effettiva reintegra, entro il limite di dodici mensilità, oltre al versamento dei contributi previden ziali e assistenziali, con detrazione dell’importo già corrisposto a titolo di indennità sostitutiva del preavviso;
la Corte, in estrema sintesi, esaminata la contestazione disciplinare, ha ritenuto che l’addebito riguardasse ‘l’assenza ingiustificata durante il pomeriggio del 15.10.2018 della NOME, la quale ha lasciato lo sportello’ ban cario cui era assegnata; in particolare ha rilevato ‘che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Banca, nella lettera di addebito disciplinare non è stata contestata l’insubordinazione, che costituisce un quid pluris rispetto al mero inadempimento di un ordine/divieto impartito dal datore di lavoro’;
il Collegio, quindi, ha ritenuto sussistere ‘la contestata assenza ingiustificata’ e, viceversa, ‘non compiutamente provato l’addebito relativo all’aver lasciato ‘;
ne ha tratto la conseguenza che ‘l’addebito disciplinare, nei limiti in cui è stato ritenuto sussistente (assenza ingiustificata di due ore) non giustifica l’intimato licenziamento, in quanto è punito dal codice disciplinare aziendale con la sanzione del biasimo, che contempla la ‘;
pertanto, la Corte, considerando che il fatto addebitato, nei limiti di quanto provato, ‘rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni del codice disciplinare applicabile’, ha applicato la tutela reintegratoria stabilita dal comma 4 dell’art. 18 St. lav. novellato;
per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con quattro motivi; ha resistito l’intimata con controricorso;
parte ricorrente ha comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
CONSIDERATO CHE
i motivi di ricorso possono essere sintetizzati come di seguito; 1.1. con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 7. L. n. 300/70) per non avere la sentenza impugnata ‘neppure preso in considerazione la fattispecie (prevista, fra l’altro, nel Regolamento di Disciplina come ragione di licenziamento per giusta causa) della insubordinazione, e ciò per asserita mancata contestazione di quest’ultima, nonostante tutti i fatti fossero stati compiutamente contestati’;
1.2. col secondo motivo si denunciala violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., nonché ancora dell’art. 2119 c.c., perché la
Corte territoriale avrebbe ‘violato le regole di interpretazione negoziale con riguardo alla nozione di insubordinazione, per la quale è stato indebitamente richiesto il requisito della pluralità e continuità dei comportamenti di insubordinazione del lavor atore’;
1.3. il terzo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione fra le parti, che sarebbe costituito dalla lettera di giustificazioni della COGNOME, nella quale la stessa aveva rivendicato la propria ‘ribellione’ nei con fronti dei superiori (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.);
1.4. con il quarto motivo, in via subordinata, si critica la sentenza impugnata per non avere almeno riqualificato il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, con diritto al solo preavviso; in via ulteriormente subordinata, per non avere la sentenza applicato semmai il regime indennitario di cui al comma 5 dell’art. 18 St. lav., stante la riconosciuta sussistenza del fatto e la sua rilevanza disciplinare, con violazione degli articoli 3, l. n. 604/1966 e 18, commi 4 e 5 l. n. 300/70;
il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per reciproca connessione, non può trovare accoglimento;
2.1. la Corte territoriale ha interpretato la nota di contestazione disciplinare rivolta alla RAGIONE_SOCIALE nel senso che la stessa non contenesse l’addebito di insubordinazione;
si tratta dell’interpretazione di un atto unilaterale riservata al giudice del merito (cfr. Cass. n. 13667 del 2018), rispetto alla quale la parte ricorrente si limita a prospettare un mero dissenso esegetico, con una inammissibile lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata, ritenendo che nella
comunicazione vi fosse ciò che invece i giudici d’appello non hanno ravvisato esserci;
tuttavia, l’accertamento di una volontà costituisce una quaestio facti riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni sono soggette a ben noti limiti di sindacato da parte di questa Corte (da ultimo, v. Cass. n. 18214 del 2024, cui si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.);
2.2. quindi, esclusa una rituale contestazione dell’insubordinazione, il contenuto della successiva lettera di giustificazione della lavoratrice non può assumere in alcun modo la valenza di fatto decisivo omesso tale da determinare la cassazione della sentenza impugnata secondo gli enunciati espressi dalle Sezioni unite di questa Corte con le decisioni nn. 8053 e 8054 del 2014;
in particolare, tali decisioni hanno chiarito che il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia;
il che non può certo predicarsi per il contenuto della lettera di giustificazione della lavoratrice che, in quanto comportamento successivo della parte destinataria di un atto unilaterale, non può assurgere a fatto che, nell’ambito dell’interpretazione complessiva della contestazione dell’addebito, ove esaminato, avrebbe condotto ad un esito diverso della lite con prognosi di certezza e non di mera possibilità;
2.3. una volta sussunto l’illecito disciplinare, nei limiti residui di quanto ritenuto provato, nell’ambito di una previsione del codice
disciplinare applicabile che punisce detto illecito con sanzione conservativa, correttamente e conseguenzialmente la Corte ha applicato la tutela prevista dal comma 4 dell’art. 18 S.d.L. (cfr. Cass. n. 11665 del 2022; Cass. n. 20780 del 2022; Cass. n. 13064 del 2022; Cass. n. 13065 del 2022), sicché le censure subordinatamente prospettate nell’ultimo motivo di ricorso risultano prive di fondamento;
pertanto, il ricorso deve essere respinto nel suo complesso, con liquidazione delle spese secondo soccombenza come da dispositivo, da distrarsi in favore degli avvocati COGNOME e COGNOME
che si sono dichiarati antistatari;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi accessori secondo legge e rimborso spese generali nella misura del 15%, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 18 e del 25