Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13743 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13743 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 2640-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO FRANCIA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 866/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/12/2022 R.G.N. 175/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2025 dal Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME
Oggetto
R.G.N.2640/2023
COGNOME
Rep.
Ud.27/02/2025
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza n. 73/2022 del 17.2.2022 il Tribunale di Modena, sez. lav., rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME con il quale chiedeva accertarsi l’illegittimità del licenziamento intimatogli dalla RAGIONE_SOCIALE l’8.8.2019 per difetto di giusta causa e di giustificatezza del medesimo e condannarsi la società a corrispondere al ricorrente la somma netta di € 70.111,73 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso e relativo TFR, nonché € 151.294,36, a titolo di indennità supplementare delle spettanze contrattuali di fine lavoro di cui all’art. 19 del CCNL di categoria nella misura massima di 24 mensilità il tutto oltre a rivalutazione monetaria e interessi legali. A sostegno del ricorso il COGNOME deduceva di essere stato assunto dalla RAGIONE_SOCIALE in data 21.2.2002, con contratto di lavoro a tempo indeterminato per disimpegno di mansioni di dirigente commerciale Italia ed estero; di avere svolto tali mansioni a favore sia della resistente che di RAGIONE_SOCIALE, entrambe facenti parte del gruppo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che in data 19.7.2019 partecipava ad un pranzo di lavoro e che nel corso di tale evento veniva discussa la decisione aziendale, già nota, di incrementare la capacità produttiva delle aziende del Gruppo, con particolare riferimento per RAGIONE_SOCIALE in data 1.8.2019 riceveva una contestazione disciplinare per l’avvenuta divulgazione alla forza lavoro del contenuto di una mail ricevuta in data 16.7.2019, avente ad oggetto l’intento societario di incrementare la produttività con particolare riferimento ai prodotti industriali anziché ai prodotti dell’edilizia. Tutto ciò premesso il COGNOME contestava la legittimità del licenziamento lamentando sia la genericità dell’addebito che l’insussistenza della causale posta a fondamento.
Con sentenza n. 866/2022 del 22.12.2022 la Corte d’appello di Bologna accoglieva l’appello proposto dal lavoratore e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’assenza di giusta causa del licenziamento e condannava la RAGIONE_SOCIALE a corrispondere al COGNOME la somma lorda di €
90.449,06 a titolo di indennità sostitutiva di preavviso e relativo TFR e la somma lorda di € 232.046,56 a titolo di indennità supplementare, oltre interessi e rivalutazione, nonché alla refusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. La Corte d’appello bolognese, in particolare, riteneva la contestazione dell’addebito affetta da genericità stante ‘ l’assoluta e insanabile carenza, già nel testo della contestazione, (…) di indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari e specificamente quando, dove, come e con chi o a chi il dirigente abbia divulgato il contenuto della mail sopra riportata e contenente informazioni riservate ‘ ed affermava che tale genericità aveva menomato la possibilità defensionale del COGNOME il quale, infatti, con la missiva di giustificazioni del 3.8.2019 ‘ non prende alcuna specifica posizione sulle ipotetiche divulgazioni, mostrando di non comprendere l’addebito e difendendosi genericamente sul contenuto della mail riservata escludendone una sua diffusione ‘. La Corte territoriale riteneva, altresì, insussistente il fatto contestato.
Avverso la decisione di secondo grado propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidato a quattro motivi.
Replica con controricorso il COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE lamenta, ex art. 360 comma 1 n. 5, l’omesso esame di fatti e documenti decisivi, oggetto di discussione nel corso del giudizio, non esaminati dalla Corte di Appello e che se esaminati avrebbero portato ad una decisione di senso diverso ed opposto a quella emessa. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma, nell’ambito della valutazione della genericità della contestazione disciplinare, che ‘solo in occasione della costituzione della RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di 1° grado
il COGNOME sarebbe stato messo in grado di sapere che si parlava della violazione di una mail riservata avvenuta nel corso del pranzo del 19/07/2019′, omettendo di considerare il diverso tenore dei documenti (la contestazione disciplinare; le missive inviate dal COGNOME in risposta alla incolpazione; infine, il ricorso del COGNOME di primo grado) prodotti in atti che smentiscono oggettivamente la tesi della ‘non conoscenza’ del COGNOME dei dati di fatto, luogo e tempo della contestazione disciplinare.
Con il secondo motivo di ricorso ex art. 360 comma 1 n. 3, in relazione all’art. 7 della L. n. 300/1970 per avere la Corte d’appello ritenuto generica la contestazione sul solo dato formale che la missiva non indicherebbe dove e quando si sarebbe svolta l’attività contestata senza considerare che la contestazione disciplinare era chiara nel suo assunto relativo alla indebita rivelazione delle notizie riservate contenute in una mail ed era individuato l’oggetto della contestazione. Lamenta la violazione dell’art. 7 l. n. 300/70 anche nella parte in cui la Corte d’appello avrebbe omesso di accertare se la asserita genericità della contestazione disciplinare avesse concretamente portato ad un impedimento del diritto di difesa del COGNOME.
Con il terzo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE, lamenta, ex art. 360 n. 5 c.p.c., in relazione alla asserita inesistenza del fatto contestato, ‘l’omesso e decisivo esame della documentazione che ha inciso sulla ricostruzione del fatto con totale obliterazione dei suoi elementi decisivi. Elementi che, al contrario di quanto indicato dalla Corte di appello, dimostrano che il fatto contestato disciplinarmente sia stato proprio la rivelazione della decisione aziendale di aumentare la produzione del ramo industriale a scapito di quello edilizio e quindi a scapito degli agenti plurimandatari che vendono solo la produzione del lato edilizio e non ‘soltanto una delle plurime ed analitiche indicazioni operative contenuta nella mail’.’
Con il quarto motivo la ricorrente, sempre in relazione alla affermata insussistenza del fatto contestato, deduce violazione art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. per motivazione obiettivamente perplessa ed apparente con obiettiva inefficienza del procedimento logico della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di Appello ‘scambia la causa per l’effetto e quindi ritiene che per dimostrare l’esistenza del fatto (ovvero violazione di notizie riservate) si dovesse provare che ‘Siano state mandate in fumo anni di positive relazioni interpersonali e menomando anche i progetti strategici aziendali con intempestive e non concordate rivelazioni’, e nella parte in cui ‘la Corte prima nega l’esistenza del fatto contestato (rivelazione della notizia di riservare alla industria e non alla edilizia gli aumenti produttivi), poi ammette che i testi hanno confermato che il fatto riservato era stato rivelato a terzi non destinatari della notizia e con inconciliabile salto logico afferma ‘nessuno dei testi summenzionati riferisce che al pranzo in questione il ricorrente abbia rivelato il contenuto della mail’.
Il ricorso è inammissibile essendo inammissibili i motivi con esso svolti.
Quanto ai motivi primo, terzo e quarto, occorre premettere che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). È stato da questa Corte precisato che il motivo di ricorso di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. deve riguardare un fatto storico, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni giuridiche decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque
apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove risulti comunque un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 17005/2024, Rv. 671706-01; Cass., n. 10525/2022; Cass. n. 17761/2016; Cass. n. 5795/2017), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 22397/2019, Rv. 655413-01). Questa Corte ha già avuto modo di affermare che non rientrano nella nozione di ‘fatto decisivo’ il cui esame è stato omesso gli elementi meramente interpretativi ma solo quelli fattuali (Cass. n. 20718/2018).
6.1. Nella specie, la ricorrente, in primo luogo, non individua affatto uno o più specifici fatti il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice del reclamo limitandosi a lamentare, quanto al primo motivo, l’omessa considerazione di documenti dai quali emergerebbe la non genericità della contestazione disciplinare e la perfetta comprensione da parte del lavoratore degli addebiti svolti a suo carico; quanto al terzo motivo l’omesso esame di documentazione dalla quale emergerebbe che il ‘fatto contestato’ non era la rivelazione del contenuto della mail del 16 luglio 2019, bensì la rivelazione della politica aziendale di aumentare la produzione del ramo industriale a scapito di quello edilizio.
6.2. In secondo luogo, dalla lettura della sentenza emerge che tutti i documenti, il cui omesso esame il ricorrente lamenta, sono stati fatti oggetto di approfondita valutazione nell’ambito del complessivo apprezzamento delle risultanze istruttorie. In particolare, a pag. 7 della sentenza risulta che la Corte d’appello ha esaminato il contenuto ed il tenore della lettera di contestazione, riportata testualmente, la missiva di risposta del COGNOME, il contenuto degli atti introduttivi delle parti e che in base a tutti i suddetti elementi ha, da un lato, concluso nel senso della genericità della
contestazione degli addebiti e, dall’altro, per l’insussistenza del fatto con essa (genericamente) addebitato.
6.3. In relazione al terzo motivo, occorre, altresì, considerare che, posto che la ricostruzione del contenuto della lettera di contestazione è il risultato di un procedimento interpretativo della medesima, per scalfire le conclusioni attinte dal giudice di merito circa la riferibilità dell’addebito alla rivelazione del contenuto della mail del 16 luglio 2019, occorreva la deduzione di violazione dei criteri legali di interpretazione ex art. 1362 e ss., applicabili anche agli atti unilaterali ove compatibili, deduzione neppure formalmente prospettata dall’odierno ricorrente.
6.4. In relazione al quarto motivo di ricorso, va precisato che l’obbligo di motivazione è violato soltanto nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (di recente, cfr. Cass. n. 13170/2021). Come è noto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno già da tempo chiarito che ‘La riformulazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Cass., Sez. Un. n. 8053 e 9032 del 2014; principio costantemente applicato dalla giurisprudenza successiva: cfr. Cass., Sez. Un. n. 24282/2014; Cass., Sez. Un. n. 21216/2015; Cass., Sez. Un. n. 21973/2021; Cass. n. 10525/2022; Cass. n. 7523/2022). Nella specie la Corte d’appello con motivazione adeguata e congrua, priva di contraddizioni, dopo una approfondita disamina del contenuto delle singole dichiarazioni testimoniali, ha affermato che dall’istruttoria testimoniale non risultava provato il fatto addebitato, sicché le doglianze nel loro complesso si appalesano dirette a sollecitare una mera nuova valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dalla Corte di merito sollecitando una radicale rivalutazione del materiale istruttorio e della quaestio facti in termini del tutto estranei al paradigma censorio di cui all’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..
7. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile alla luce del rilievo che, nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.RAGIONE_SOCIALE. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (tra le più recenti si veda Cass. n. 20870/2024, Rv. 671836 – 01),
e non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. Un. n. 23745/2020, Rv. 659448 – 01). Nel caso di specie la ricorrente si limita ad indicare in maniera assolutamente generica le norme violate (si fa riferimento all’art. 7 st. lav., contenente disposizioni sull’intero procedimento disciplinare).
7.1. Il motivo è, inoltre, inammissibile perché l’apprezzamento del requisito della specificità della contestazione – da condurre secondo i canoni ermeneutici applicabili agli atti unilaterali – costituisce oggetto di un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata (in tal senso cfr. tra le tante Cass. Sez. L, n. 13667/2018, Rv. 648786-01, Cass. n. 10154/2017, Cass. n. 1562/2003). Questa Corte ha già avuto modo di affermare, secondo i principi enunciati rispetto ai contratti ma applicabili anche con riguardo all’interpretazione degli atti unilaterali, che la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una interpretazione alternativa della dichiarazione unilaterale, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione dell’atto è riservata (cfr. Cass., n. 15471/2017).
7.2. Nel caso di specie la Corte territoriale ha interpretato la nota di contestazione disciplinare rivolta al COGNOME nel senso che la stessa non contenesse adeguati ‘ riferimenti di tempo, di luogo, di persone e modalità ‘ in ordine all’addebito e che tali carenze non solo rendevano inintellegibile la contestazione ma avevano altresì menomato la possibilità defensionale del COGNOME il quale ‘ con missiva datata 3.8.2019 non prende nessuna specifica
posizione sulle ipotetiche divulgazioni, mostrando di non comprendere l’addebito e difendendosi genericamente sul contenuto della mail riservata escludendone una sua diffusione ‘. Si tratta, come evidenziato, dell’interpretazione di un atto unilaterale riservata al giudice del merito, rispetto alla quale la parte ricorrente si limita a prospettare un mero dissenso esegetico, con una inammissibile lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata, ritenendo che nella comunicazione vi fosse ciò che invece i giudici d’appello non hanno ravvisato esserci; tuttavia, l’accertamento di una volontà costituisce una quaestio facti riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni sono soggette a ben noti limiti di sindacato da parte di questa Corte (da ultimo, Cass. Sez. L, n. 22226 del 2024 v. Cass. n. 18214 del 2024).
Il ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile.
La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese processuali in favore del controricorrente liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso
condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del controricorrente NOME COGNOME delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta