Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10817 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10817 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4874/2022 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
ricorrente
contro
COGNOME NOME , elett. dom.to in INDIRIZZO Roma, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 5786/2021 pubblicata in data 09/12/2021, n.r.g. 2346/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 26/02/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.Dall’01/07/1979 NOME COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE con mansioni di esattore (livello C del CCNL per il personale dipendente da società e consorzi concessionari di autostrade e trafori) fino al 09/02/2017, quando era stato licenziato per giusta causa sulla base della
OGGETTO: interpretazione della contestazione disciplinare criteri -sindacabilità in sede di legittimità – limiti
contestazione disciplinare (del 05/12/2016) di una serie di mancanze, rappresentate da violazioni di ordini di servizio, di istruzioni di servizio, di regolamento e procedure interne, ivi compreso il mancato uso della divisa.
Adìva il Tribunale di Napoli Nord per ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento per insussistenza della giusta causa, in subordine per la previsione di una sanzione soltanto conservativa, con la conseguente tutela reintegratoria di cui al l’art. 18 L. n. 300/1970.
2.- Costituitosi il contraddittorio, il Tribunale -all’esito della fase c.d. sommaria e di quella a cognizione piena introdotte dalla legge n. 92/2012 -dichiarava illegittimo il licenziamento per sproporzione rispetto alla condotta contestata e, negata la tipizzazione in alcuna delle previsioni di sanzioni conservative previste dal CCNL, accordava la tutela solo indennitaria di cui all’art. 18, co. 5, L. n. 300/1970, liquidata nella misura di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fat to.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame principale interposto dal lavoratore, rigettava quello incidentale proposto dalla società, condannava quest’ultima a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro e a pagargl i l’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto di euro 2.7621,19 mensili per dodici mensilità, nonché al versamento dei corrispondenti contributi previdenziali ed assistenziali, ai sensi dell’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
i fatti oggetto di contestazione disciplinare sono acclarati nella loro materialità e il lavoratore fonda l’unica censura sulla diversa linea di confine tra sanzione conservativa e sanzione espulsiva;
rispetto a quei fatti il discrimen sanzionatorio è sì rappresentato dall’elemento psicologico, ma non nel senso ritenuto dal Tribunale secondo cui il dolo giustificherebbe la sanzione espulsiva e la colpa quella conservativa -bensì nel senso per cui in presenza di dolo generico o di colpa si applica la sanzione conservativa della sospensione, ai sensi del n. 7 del codice disciplinare, mentre ai fini della sanzione espulsiva è necessario il dolo specifico rappresentato dal fine di trarre vantaggio per sé o per l’azienda stessa;
tale distinzione ricalca quella prevista dall’art. 36 CCNL applicato;
occorre allora verificare se la società datrice di lavoro abbia provato, come era suo onere, la sussistenza di una finalizzazione delle condotte a vantaggio del lavoratore oppure dell’azienda medesima;
in via preliminare la società assume che sarebbero state punite anche condotte ulteriori (l’allontanamento dalla sede autostradale durante l’orario di lavoro per recarsi al bar e l’aver mentito alla superiore gerarchica dott.ssa COGNOME) rispetto a quelle punite con sanzione conservativa;
in senso contrario, queste condotte non sono state oggetto di contestazione disciplinare perché, nell’economia della contestazione, sono soltanto integrative della sequenza spazio-temporale dei fatti (altri) oggettivamente contestati; infatti lo star fuori dalle pertinenze autostradali è elemento riportato unicamente per dar conto del contesto spaziale in cui avveniva l’incontro con la dott.ssa COGNOME e il fatto che alla stessa fosse stata riferita un’informazione non vera è richiamato come mero antefatto delle violazioni poi effettivamente contestate, integranti una scorretta attività di esazione e di trasporto del denaro; g) quanto al dolo specifico, la società pretende di desumerne prova dalle dichiarazioni rese dal lavoratore in sede di libero interrogatorio, in cui vi sono stati riferimenti a ‘motivi personali’, ‘mole di lavoro’, tempi prolungati di ‘contazione’, inidoneità della struttura per le operazioni di versamento;
in senso contrario, la stessa contestazione sollevata al riguardo alla società -che ha bollato quelle circostanze come meramente ‘asserite’ dal dipendente -dimostra che quelle dichiarazioni restano prive di effettività e quindi non idonee a dimostrare il dolo specifico;
neppure può ritenersi che il dipendente abbia agito al fine di trarre profitto rappresentato dall’avere la disponibilità di danaro, ritardando i versamenti, poiché si tratterebbe di un rilievo d’ufficio, neppure dedotto dalla società;
comunque il ritardo nel versamento del danaro non dimostra che il dipendente abbia agito con quella specifica finalità;
anzi, la brevità del tempo di ritardo e l’assenza di qualunque tentativo di usare tali somme fanno propendere per la prova contraria, ossia per una mera sommarietà o superficialità nell’esecuzione della prestazione lavorativa, peraltro molto diffusa in azienda, come riferito dal teste COGNOME, superiore gerarchico del COGNOME;
sulla misura dell’ultima retribuzione globale di fatto non vi è censura; m) quanto alla recidiva, a differenza di quanto ritenuto dal Tribunale, è stata contestata come elemento costitutivo della fattispecie e non solo come elemento valutativo ai fini della gravità del fatto, tanto che nella contestazione si fa riferimento alla pregressa sanzione -risalente ad appena cinque mesi prima -di sospensione di dieci giorni dal servizio e dalla retribuzione irrogata in data 15/09/2016 e tuttavia annullata dal Tribunale con sentenza n. 1245/2019 e ancora sub iudice ;
tuttavia il reclamo incidentale non ha investito anche l’esclusione della recidiva, da parte del Tribunale, come elemento costitutivo, ma solo il giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto alle condotte contestate;
in ogni caso il precedente disciplinare fondante la recidiva allo stato è inesistente, perché annullato in sede giurisdizionale.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- NOME NOME ha resistito con controricorso.
6.- La società ricorrente ha depositato memoria.
7.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.- Con il primo motivo, pro posto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1362 ss. c.c. e 7 L. n. 300/1970, per avere la Corte territoriale male interpretato la lettera di contestazione disciplinare del 05/12/2016 e per avere di conseguenza escluso dalle condotte contestate quelle di essersi allontanato dalla sede autostradale durante l’orario di lavoro per recarsi al bar e di aver mentito alla superiore gerarchica dott.ssa COGNOME.
In particolare, addebita ai giudici del reclamo di aver trascurato il dato letterale dell’ incipit della lettera di contestazione (‘ ai sensi e per gli effetti
dell’art. 7, Legge 300/1970, delle norme contrattuali e aziendali e del codice etico, Le contestiamo quanto segue …’), dal quale si evince chiaramente che tutte le condotte descritte dopo questo incipit dovevano ritenersi oggetto di contestazione disciplinare.
Il motivo è infondato.
L’opzione ermeneutica della Corte territoriale che ha ritenuto che lo star fuori dalle pertinenze autostradali fosse elemento riportato unicamente per dar conto del contesto spaziale in cui era avvenuto l’incontro con la dott.ssa COGNOME e che le risp oste date alle domande di quest’ultima circa i versamenti effettuati assumessero il ruolo di mero antefatto rispetto ai successivi accertamenti -si fonda sul tenore letterale e complessivo della contestazione disciplinare.
Infatti, nella parte finale (riportata dal controricorrente: v. controricorso, p. 21), la società ricorrente dichiarava: ‘… Dalle verifiche effettuate risulta quindi e tanto Le viene contestato, che, contravvenendo alle norme aziendali nonché ai doveri di diligenza, lealtà, correttezza e buona fede, Ella: …’. Segue quindi l’indicazione di una pluralità di condotte tutte in termini di violazione di disposizioni e ordini di servizio, senza alcun cenno né alla presenza al bar durante l’orario di lavoro, né all a falsità delle risposte date alla superiore gerarchica dott.ssa COGNOME quali circostanze riferite soltanto nella prima parte della contestazione disciplinare. A queste ultime, dunque, in modo del tutto plausibile e adeguatamente motivato la Corte territoriale ha riservato il significato di meri antefatti, indicati dalla datrice di lavoro soltanto per descrivere il contesto spazio-temporale e relazionale che aveva preceduto gli accertamenti, dai quali erano emerse le condotte poi contestate in via disciplinare.
Dunque nessuno dei canoni di ermeneutica negoziale risulta violato.
La diversa ricostruzione ermeneutica prospettata dalla ricorrente finisce, quindi, per essere inammissibile, perché meramente contrappositiva rispetto a quella fatta propria dalla Corte territoriale e adeguatamente motivata.
Va ricordato in proposito che il controllo di legittimità sugli atti di autonomia negoziale individuale non può scadere nel controllo di merito ed anteporre a quella prescelta dai giudici d’appello una differente interpretazione solo perché reputata più plausibile ad opera della parte ricorrente. Anche
l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto ( ex multis Cass. n. 9070/2013; Cass. n. 12360/2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (Cass. n. 17067/2007; Cass. n. 11756/2006). Ne consegue che le valutazioni del giudice di merito soggiacciono sì, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato circa la verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, ma la denuncia della violazione delle regole che presiedono all’interpretazione dei c ontratti non può certo risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata (tra le innumerevoli: Cass. n. 18375/2006; Cass. n. 12468/2004; Cass. n. 22979/2004, Cass. n. 7740/2003; Cass. n. 12366/2002; Cass. n. 11053/2000).
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1362 ss. c.c., 18, co. 4, L. n. 300/1970 e 36 CCNL per avere la Corte territoriale riportato le condotte ritenute oggetto di contestazione disciplinare alla previsione di sanzioni conservative contenute nell’ar t. 36 cit.. In particolare, addebita ai giudici del reclamo di avere male interpretato quella parte dell’art. 36, che prevede la sanzione conservativa de lla sospensione per il lavoratore che ‘ non applichi, nell’espletamento della propria attività, le prescrizioni impartite dall’Azienda attraverso direttive e disposizioni interne’; la sanzione espulsiva in relazione alla ‘ mancata applicazione volontaria delle disposizioni impartite dall’Azienda al fine di trarre vantaggio per sé o per l’Azienda stessa’.
Il motivo è inammissibile, perché meramente contrappositivo di una propria interpretazione a quella della Corte territoriale, ampiamente motivata e fondata su specifici elementi letterali e logico-sistematici, dai quali ha dedotto che nella fattispecie punita con sanzione espulsiva rileva la specifica finalità avuta di mira dal dipendente, quindi il dolo specifico. Ne deriva che risulta ampiamente plausibile l’opzione ermeneutica dei giudici del reclamo di riconoscere, de residuo , la pari rilevanza del dolo generico e della colpa nell’altra fattispecie, punita con sanzione conservativa.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, co. 2, n. 4), e 111 Cost. per avere la Corte territoriale apparentemente motivato circa la mancata prova del dolo specifico, invece
sussistente ed evincibile dalle stesse dichiarazioni rese dal dipendente in sede di libero interrogatorio.
Il motivo è infondato, poiché la motivazione sussiste ed è ampia, articolata e comprensibile circa l’iter logico -giuridico che ha condotto i giudici del reclamo alla formazione di quel determinato convincimento circa l’irrilevanza di quelle dichiarazioni del lavoratore.
4.- Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge, con attribuzione al difensore del controricorrente.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in data