Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2021 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2021 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6578-2023 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato presso gli indirizzi PEC degli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 48/2023 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/01/2023 R.G.N. 363/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Licenziamento disciplinare
R.G.N. 6578/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 17/12/2024
CC
Fatti di causa
1.- La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza in atti, ha accolto il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Padova che, in riforma dell’ordinanza emessa da altro giudice dello stesso ufficio, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato dalla società in data 2/1/2018 al proprio dipendente COGNOME Maurizio, quadro di primo livello, già dimissionario con preavviso scadente al 14/2/2018, e condannava la società a corrispondergli le retribuzioni mancanti e il trattamento di fine rapporto.
La Corte d’appello in riforma della sentenza impugnata ha rigettato le domande del Putigna e lo ha condannato a rifondere le spese del giudizio del doppio grado.
2.- A fondamento della pronuncia la Corte d’appello ha ritenuto sussistenti i requisiti di specificità e tempestività della contestazione disciplinare ritenuti carenti dal primo giudice; e nel merito ha affermato la fondatezza dell’addebito di cui al punto 2 della lettera 19/12/2017 per essere stato il Putigna partecipe, insieme alla collega COGNOME parimenti licenziata, del meccanismo escogitato, funzionale ad ingenerare indebite provvigioni in favore dell’agente COGNOME (attraverso la risoluzione anticipata dei contratti di noleggio dei clienti senza stralcio provvigioni e con liquidazione di nuove provvigioni sul rinnovo).
3.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME con due motivi di ricorso ai quali ha resistito RAGIONE_SOCIALE con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria prima dell’udienza. Il collegio ha riservato la mo tivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo si sostiene la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360, n. 3 c.p.c. dell’articolo 7, legge n. 300/1970, nonché degli articoli 1175, 1375 e 2119 c.c. in relazione alla tardività della contestazione disciplinare, con conseguente lesione del diritto di difesa e del legittimo affidamento del lavoratore; in particolare, perché nel caso di specie l’accertamento e la valutazione dei fatti non era così complessa da incidere sull’elemento temporale.
1.1. La stessa Corte di appello, secondo il ricorrente, aveva affermato contraddittoriamente che tutte le informazioni necessarie fossero già di pronta consultazione e conseguentemente di facile estrapolazione, nonché di facile comprensione, trattandosi dei dati relativi alla liquidazione delle provvigioni riconosciute agli agenti, già presenti nel gestionale della società e la società era correttamente organizzata attraverso l’accesso alla procedura per la certificazione di qualità e del controllo di gestione, che consentiva di verificare costantemente il corretto operare rispetto agli obiettivi aziendali prefissati, alla gestione e all’utilizzo delle risorse, come confermato dalla teste NOME
1.2. Altro errore era relativo all’argomento della fiducia, non essendo dato comprendere quale fosse il filo conduttore che legasse il concetto di fiducia con la tempestività della contestazione disciplinare, alla luce del fatto che gli addebiti rilevati risalissero perfino al 2012. Se è vero che il datore di lavoro non ha l’obbligo di controllare assiduamente l’operato del dipendente, ciò non lo solleva da una fisiologica verifica in merito al corretto svolgimento dell’attività da parte dei propri dipendenti.
2.Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 210 c.p.c., degli artt. 2697 e 2119 c.c. per l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e precisamente delle operazioni di controllo di gestione all’interno di una società nonché delle procedure di verifica annuali per la predisposizione approvazione dei bilanci societari. 2.1. La Corte d’appello aveva omesso di valutare un fatto decisivo nel momento in cui non aveva considerato la reale cronologia degli eventi come espressamente enunciati dal commercialista aziendale; aveva fornito un’interpretazione sganciata dalla cronologia dei fatti commettendo un lapalissiano errore ed aveva omesso di considerare le operazioni di controllo annuali per la predisposizione e l’approvazione dei bilanci societari.
3.- I due motivi di ricorso, concernenti la tempestività della contestazione disciplinare rivolta al ricorrente, possono essere esaminati unitariamente per la connessione logica e giuridica che li correla.
Essi sono inammissibili perché attengono alla ricostruzione dei fatti accertati e valutati motivatamente dal giudice di merito in relazione alla presenza del medesimo requisito della tempestività, attraverso la quale la Corte, all’esito di un ‘articolata disamina (da pag. 7 a pag. 12 della sentenza), ha escluso la presenza di ‘ elementi probatori per ritenere che la società fosse a conoscenza dei fatti contestati sin dai primi mesi del 2017 ‘.
E tale accertamento appare del tutto conforme ai principi reiteratamente affermati da questa Corte, secondo cui l’immediatezza della contestazione deve essere rapportata al tempo necessario per l’accertamento dei fatti o alla complessità della struttura organizzativa dell’impresa, con valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di
legittimità, se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici come nel caso di specie (Cass. 14726 del 27/05/2024). Che la valutazione della tempestività della contestazione costituisca giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato, rappresenta invero un indirizzo assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2654/2022, Cass. n. 34532/2019; Cass. n. 1247/2015; Cass. n. 5546/ 2010; Cass. n. 29480/ 2008; Cass. n. 14113/2006).
5.- Non sussiste inoltre il vizio di motivazione denunciato posto che, nell’attuale assetto ordinamentale , esso può essere censurato in Cassazione, ai sensi dell’art. 360 n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., soltanto nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente o manifestamente contraddittoria o incomprensibile (Cass. S. U. n. 22232/2016; Cass. n. 23940/2017; Cass. n. 22598/2018): ipotesi, tutte, non ravvisabili nel ragionamento logico-giuridico presente nella impugnata pronuncia.
6.Deve poi ribadirsi, in consonanza con l’orientamento di questa Corte (v. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), che la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità soltanto qualora il giudice, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e nella valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività (salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza) o non ammetta le prove ed affermi che la domanda non sia provata ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.
7.In modo parallelo, la violazione dell’art. 116 c.p.c. presuppone che il giudice abbia valutato una prova legale
secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale.
8.- Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame, ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova testimoniale, censura consentita solo nei limiti dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (omessa valutazione di un fatto storico decisivo) nel caso di specie non integrato nei requisiti richiesti dal nuovo testo.
9.- In particolare sotto questo ultimo aspetto va qui ribadito che gli accertamenti di fatto non sono sindacabili in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 (con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), di cui la parte ricorrente non tiene alcun conto, pretendendo una rivalutazione delle prove ed una revisione del giudizio di fatto non ammissibile in questa sede.
10.- Costituisce pure ius receptum che sia devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro
complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.
11.Va pure rilevato, infine, che la Corte ha accertato motivatamente la responsabilità disciplinare del ricorrente ai sensi dell’a rt. 2119 c.c., sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni delle parti ex art. 112 c.p.c. e non ha deciso la causa con applicazione della regola di giudizio ex art. 2697 c.c. e che pertanto non è possibile confermare la presenza di alcuna violazione delle stesse norme, pur indicate nei motivi di impugnazione.
12.- Per le ragioni esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
13.- Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.
– Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002 per il pagamento del raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente principale.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 4.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai se nsi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a nor ma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 17.12.2024
Il presidente
Dott. NOME COGNOME