Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7356 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7356 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1277 R.G. anno 2021 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME domiciliati presso l’avvocato NOME COGNOME
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME presso cui è domiciliata, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
avverso la sentenza n. 427/2020 depositata il 22 ottobre 2020 della Corte di appello di Messina.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio, avanti al Tribunale di Mistretta, Banco di Sicilia s.p.a., allegando che il primo aveva intrattenuto con detta banca un rapporto di conto corrente garantito da fideiussione rilasciata dagli altri attori: tale rapporto -hanno dedotto gli istanti aveva visto l’illegittimo addebito al correntista di interessi capitalizzati, tassi usurari, commissioni di massimo scoperto e «giorni valuta».
Al giudizio così introdotto è stato riunito altro procedimento avente ad oggetto l’opposizione proposta dai nominati COGNOME e COGNOME avverso il decreto ingiuntivo pronunciato per l’importo di euro 49.113,74, quale saldo debitore del conto corrente di cui si è detto.
Il Tribunale, con sentenza non definitiva, ha riconosciuto il credito di Banco di Sicilia e ha revocato il decreto ingiuntivo opposto; quindi, con sentenza definitiva resa a seguito dell’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio , ha condannato gli attori dei due giudizi al pagamento, in favore del Banco di Sicilia, della somma di euro 55.856,19, oltre interessi.
2 . ─ Le due sentenze sono state impugnate e con pronuncia del 22 ottobre 2020 la Corte di appello di Messina, nella resistenza di Unicredit s.p.a., succeduta all’istituto di credito convenuto nel giudizio di primo grado, ha respinto i proposti gravami.
Ricorrono per cassazione, con cinque motivi, NOME, NOME e NOME COGNOME oltre che NOME COGNOME Resiste con controricorso Unicredit. I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1321, 1323, 1362, 1366, 1367, 1372 c.c. e 117 t.u.b..
La censura investe la ritenuta validità, sotto il profilo della determinazione dell’oggetto, della previsione contrattuale in base alla
quale il tasso debitore (per il cliente del rapporto di conto corrente) era stato fissato nella misura del prime rate ABI maggiorato del 2,875%.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la convenzione relativa agli interessi ultralegali soddisfa la condizione posta dall’art. 1284, comma 3, c.c. allorché, pur non recando l’indicazione in cifra del tasso di interesse, contenga il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso stesso (Cass. 30 marzo 2018, n. 8028; Cass. 23 febbraio 2016, n. 3480; Cass. 27 novembre 2014, n. 25205; Cass. 29 gennaio 2013, n. 2072; Cass. 19 maggio 2010, n. 12276); la stessa regola è poi operante nella vigenza dell’art. 117, comma 4, t.u.b. (Cass. 13 giugno 2024, n. 16456; Cass. 17 ottobre 2023, n. 28824; Cass. 26 giugno 2019, n. 17110). Il riferimento al prime rate ABI integra evidentemente dette condizioni, come del resto già riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 4 gennaio 2022, n. 96, la quale ha evidenziato la necessità che la convenzione relativa agli interessi abbia un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse, essendo idoneo alla precisa individuazione del tasso il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari).
Col secondo motivo si denuncia l’ error in procedendo in relazione agli artt. 112 e 345 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 214, 183, comma 6, 345 c.p.c. e 2719 c.c.
I ricorrenti deducono, in sintesi, che la Corte di merito non avrebbe potuto rilevare , in assenza dell’eccezione di controparte, la tardività e inammissibilità del disconoscimento del documento contrattuale recante l’indicazion e del tasso di interesse ultralegale; oppongono, altresì, che lo scritto in questione, prodotto in sede monitoria, era stato espressamente disconosciuto con la citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Il motivo è fondato.
La Corte di merito ha prima negato che le «domande» relative alla mancata sottoscrizione dell’allegato al contratto di conto corrente recante la firma del correntista e al disconoscimento della sottoscrizione fossero state proposte nel giudizio di primo grado nel termine di cui all’art. 215, comma 2, c.p.c., e poi affermato che il disconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione , anche nei riguardi della scrittura prodotta in fotocopia, deve rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza, dovendosi concretizzare in una impugnazione specifica e determinata, non potendosi risolvere in una mera espressione di stile: a quest’ultimo riguardo ha richiamato giurisprudenza riferita alla contestazione della conformità della copia rispetto all’originale del documento prodotto in giudizio.
La sentenza impugnata reca più argomentazioni, non coerenti tra loro, con riferimento al tema del disconoscimento della richiamata scrittura privata; è tuttavia incontestabile che l’unico dato processuale che la Corte di appello ha riferito alla vicenda giudiziale che interessa è il seguente: il disconoscimento della paternità del documento non è stato operato tempestivamente. Tale assunto è chiaramente sconfessato dal contenuto della deduzione svolta, al riguardo, nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, trascritta a pag. 11 del ricorso per cassazione. Tanto basta a dar ragione dell’accoglimento della censura in esame.
-Col terzo mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., 1956, 1957 e 2697 c.c..
Il motivo è inammissibile in ogni sua parte.
I ricorrenti sostengono, anzitutto, che la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione il comportamento della banca, la quale aveva riconosciuto in giudizio la difficoltà economica e finanziaria in cui versava NOME COGNOME
La Corte territoriale ha rilevato, con riguardo all’eccezione di cui
all’art. 1956 c.c., sollevata dai fid eiussori, che gli stessi erano tenuti a provare che la banca avesse fatto credito al debitore nella consapevolezza dell’intervenuto peggioramento delle condizioni economiche di questo e che un tale mutamento non poteva consistere nel mero aumento dell’esposizione debitoria.
La doglianza dei ricorrenti si fonda su di un passaggio della comparsa di risposta: atto questo, che non si deduce recare la sottoscrizione del soggetto costituitosi in giudizio per la banca. Ebbene, le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem , costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento, mentre esse possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l’atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute (Cass. 28 settembre 2018, n. 23634; Cass. 1 dicembre 2016, n. 24539). Quanto al valore meramente indiziario che potrebbe rivestire la dichiarazione del difensore di contenuto ammissivo, è sufficiente osservare che, per un verso, l’esame e la valutazione dei documenti di causa, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito (per tutte: Cass. 31 luglio 2017, n. 19011; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056) e che, per altro verso, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti,
abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016).
E’ parimenti inammissibile, in quanto estranea alla ratio decidendi , la censura, sempre svolta all’interno del terzo motivo, con cui si deduce che la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione di cui all’art. 1956 c.c. sarebbe nulla ; la Corte di merito non ha affatto ritenuto valido un tale atto abdicativo: come si è visto, ha anzi accertato che non ricorrevano le condizioni per la liberazione dei garanti contemplata dalla norma sopra indicata, con ciò privando di rilievo alcuna ipotetica preventiva rinuncia dei fideiussori ad avvalersi dell’eccezione .
Pure inammissibile è la deduzione difensiva dei ricorrenti basata sulla decadenza di cui all’art. 1957 c.c.. Ove, come nel caso in esame, con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 1 luglio 2024, n. 18018; Cass. 9 agosto 2018, n. 20694).
4. ─ Col quarto motivo si oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., 1956 e 1957 c.c. e della l. n. 287/1990.
Il motivo è incentrato sulla asserita nullità delle prestate fideiussioni in quanto attuative di intesa restrittiva della concorrenza, vietata dall’art. 2 l. n. 287 del 1990.
Il mezzo è inammissibile.
Sulla dedotta questione, estranea alla decisione impugnata, vale quanto si è appena osservato trattando della decadenza di cui all’art. 1957 c.c. Né varrebbe opporre che la nullità in parola è rilevabile d’ufficio, giacché l’accertamento della nullità implica accertamenti di fatto quanto alla corrispondenza delle clausole contrattuali che si assumono nulle alle previsioni dell’intesa che la Banca d’Italia ha riconosciuto essere anticoncorrenziale col provvedimento n. 55 del 2005 di cui è menzione nel motivo: va qui rammentato che nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 30 gennaio 2020, n. 2193; Cass. 6 giugno 2018, n. 14477).
5. ─ Il quinto mezzo denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c., 88, 101, 112, 189 e 190 c.p.c..
I ricorrenti si dolgono della decisione con cui la Corte di merito ha ritenuto tardivi i rilievi alla consulenza tecnica d’ufficio, stante la mancata formulazione di rilievi critici alla bozza dell’elaborato predisposta dall’ausiliario.
Il motivo è fondato.
Come esposto dagli istanti, questi avevano contestato, con note a verbale successive al deposito della relazione tecnica, che fosse legittima alcuna capitalizzazione (anche infrannuale) degli interessi passivi e, con la propria comparsa conclusionale, avevano inoltre affermato la necessità di azzerare il saldo inziale del primo degli estratti conto prodotti, in assenza della documentazione delle movimentazioni inziali del rapporto.
Ora, secondo le Sezioni Unite di questa Corte, le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni
difensive, sebbene di carattere non tecnico-giuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio (Cass. Sez. U. 21 febbraio 2022, n. 5624). Il Collegio condivide tale principio, il quale sconfessa l’opposta tesi, fatta propria dalla sentenza impugnata, per cui le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituirebbero eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sarebbero soggette al termine di preclusione di cui al comma 2 dell’art. 157 c. p. c., dovendo, pertanto, dedursi, a pena di decadenza, nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito (così si era espressa Cass. 3 agosto 2017, n. 19427). La fondatezza del motivo si apprezza in modo ancor più evidente ove si consideri che nel caso in esame le questioni che la Corte di appello si è rifiutata di esaminare sono, a ben vedere, vere e proprie questioni giuridiche, peraltro già scrutinate dalla giurisprudenza della Corte di legittimità (quanto alla prima, cfr. Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418; quanto alla seconda, Cass. 26 luglio 2023, n. 22585).
6. ─ In accoglimento del secondo e del quinto motivo la sentenza è dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Messina, che giudicherà in diversa composizione e statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo e il quinto motivo, rigetta il primo, dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Messina che giudicherà in diversa composizione e statuirà sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione