Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7353 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7353 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33931/2018 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
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RICORRENTE- contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-CONTRORICORRENTI- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO GENOVA n. 631/2018, depositata il 13/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 631/2018, la Corte d’appello di Genova , in parziale accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, ha revocato il
decreto ingiuntivo emesso a favore dell’avv. COGNOME per l’importo di €. 215.015,54 quali compensi per il patrocinio in taluni giudizi civili. L’avv. COGNOME aveva asserito che l’ing. COGNOME aveva costituito un trust nel quale aveva conferito tutti i beni immobili assegnatigli con sentenza del Tribunale di Firenze di scioglimento di una comunione ereditaria. Il COGNOME era stato nominato co-trustee con l’ atto istitutivo del trust, che prevedeva che ciascun componente avesse diritto di essere compensato per le prestazioni professionali svolte quale avvocato o dottore commercialista in applicazione delle tariffe professionali, ed aveva patrocinato in talune cause concluse con la dichiarazione di nullità del trust, agendo successivamente per il pagamento dei compensi.
La Corte di merito, escluso un abusivo frazionamento del credito, ha negato che le parti avessero concordato il compenso e ha respinto l’eccezion e di prescrizione presuntiva, avendo le opponenti contestato il credito, affermando che nessuna responsabilità era attribuibile al difensore per i vizi dell’atto istitutivo, dichiarato nullo, e per l’ e sito dell’azione di impugnativa del trust, conclusasi sfavorevolmente, reputando infine carente di prova l’effettuazione di pagamenti ulteriori rispetto a quelli già detratti dall’importo finale. Ha rideterminato i compensi per ciascuna causa in base ai risultati ottenuti, applicando i valori tariffari minimi.
La cassazione della sentenza è chiesta dall’avv. NOME COGNOME sulla base di dieci motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto controricorso. In prossimità dell’adunanza camerale le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’avv. COGNOME deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c. per l’omessa dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo di appello, contenente una pluralità di critiche alla sentenza di primo che, a
suo parere, l’appellante avrebbe dovuto articolare in motivi separati.
Il motivo è infondato.
Non sono in discussione l’intellegibilità, la pertinenza e la formula -zione di censure adeguatamente argomentate alla sentenza di primo grado, ma la tecnica di redazione del ricorso che, secondo il ricorrente, avrebbe richiesto l’elaborazione di critiche raggruppate in motivi separati in rapporto ai diversi aspetti della controversia.
La nuova formulazione dell’art. 342 c.p.c., inizialmente interpretato nel senso di imporre una più rigorosa strutturazione dell’atto di appello, richiede tuttavia solo che l’impugnazione contenga una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati e una parte argomentativa volta a confutare le ragioni della sentenza, senza l’utilizzo di particolari forme sacramentali o di una particolare tecnica di redazione del gravame (Cass. SU 27199/2017), non occorrendo osservare uno schema espositivo predeterminato.
Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 100, 112, 329, comma II, 342 c.p.c. e 2909 c.c., asserendo che la sentenza di primo grado era passata in giudicato nella parte in cui il tribunale aveva ritenuto vincolante l’art. 27 dell’atto istitutivo del trust a norma del quale ciascun componente dell’ ufficio aveva diritto di essere compensato per le prestazioni professionali che egli avesse reso quale avvocato o dottore commercialista in base alle note ritenute conformi alle tariffe professionali ed approvate dall’altro co -trustee, statuizione contro la quale nessuna censura era stata mossa con il gravame.
Il motivo è infondato.
Dal l’esame della pronuncia di primo grado non si evince alcuna enunciazione del carattere vincolante della clausola dell’atto istitutivo del trust, nel senso che l’approvazione delle parcelle professionali fosse riservata al co-trustee in modo che, se ritenute
conformi alle tariffe professionali, non sarebbe stato possibile neppure al giudice una diversa quantificazione; l’art. 27 è richiamato alle pagg. 4 e 8 della sentenza di primo grado solo per evidenziare che la clausola rinviava alle tariffe professionali, cui erano conformi le note depositate dal difensore, secondo quanto prescritto dall’atto istitutivo del trust.
Il rigetto dell’ opposizione appare, dunque, effetto della ritenuta infondatezza delle plurime eccezioni sollevate dagli opponenti riguardo al l’abusivo frazionamento del credito, all’intervenuta prescrizione, al pagamento di acconti e ai profili di responsabilità professionale del difensore, non avendo il Tribunale proceduto ad ulteriori accertamenti o valutazioni.
La prima decisione non si basa, quindi, su una ratio decidendi che le appellanti avrebbero dovuto impugnare, né la sentenza era passata in giudicato nel capo concernente la liquidazione del quantum debeatur , avendo gli appellanti chiesto di applicare i minimi tariffari.
Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362, comma primo, n. 3 c.p.c.. Il giudice di merito, riducendo l’entità dei compensi ai minimi tariffari, avrebbe violato il criterio letterale nell’interpretazione dell’art. 27, lett. B, dell’atto istitutivo del trust , clausola che affidava all’altro co-trustee il compito di controllare le notule e, in caso di esito positivo della verifica, di approvarle, non consentendo alcun ulteriore sindacato sulla congruità della liquidazione.
Con il quarto motivo di ricorso l’avv. COGNOME deduce la violazione dell’art. 1362, comma 2, c.c., lamentando la mancata valutazione del comportamento complessivo delle parti, ai fini della corretta individuazione del contenuto dell’atto istitutivo del trust , sostenendo che in nessuna delle occasioni di incontro e di confronto con l’assistito erano state mosse obiezioni circa la spettanza delle
somme liquidate dal co-trustee , avendo il COGNOME anche effettuato pagamenti parziali.
Con il quinto motivo di ricorso si contesta la violazione dell’art. 1363 c.c., lamentando che il giudice distrettuale non abbia proceduto ad un’interpretazione complessiva delle clausole negoziali contenute nell’atto istitutivo del trust , specie nella parte in cui era stabilito l’onere di comunicare all’assistito l’avvenuto completamento dell’iter di approvazione delle notule e del conseguente prelievo, senza conferirgli un concorrente potere di approvazione delle parcelle.
I tre motivi sono inammissibili.
Si è evidenziato che già nella sentenza di merito non è stata discussa ed esaminata la valenza della clausola dell’atto istitutivo del trust, né è affermato che l’approvazion e delle notule da parte del co-trustee rendesse non più contestabile l’import o liquidato.
Nessun profilo interpretativo dell’accordo riguardo al carattere vincolante di detta approvazione risulta vagliato dal giudice d’app ello, né il ricorso spiega se e in che fase la questione, nei suddetti termini, sia stata proposta in appello, essendo l’ interpretazione del negozio questione in fatto affidata al giudice di merito.
Le censure sono perciò inammissibili poiché il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.
Se una questione giuridica non risulta trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente, per non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per
cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di effettuare i dovuti riscontri (Cass. 32804/2019; Cass. 20694/2018; Cass. 15430/2018).
Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 115, 167, 654 c.p.c. e 2697 c.c., per aver la sentenza rideterminato i compensi richiesti con il ricorso monitorio, pur in assenza di una contestazione specifica da parte degli ingiunti.
Il motivo è infondato.
Non era necessaria una più analitica contestazione delle singole prestazioni elencate nelle note: in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento di diritti ed onorari di avvocato o procuratore, la contestazione mossa dell’opponente circa la pretesa fatta valere sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell’Ordine può essere anche generica, risultando comunque idonea ad investire il giudice del potere – dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far gravare sul professionista l’onere di dimostrare l’attività svolta e la corretta applicazione della tariffa (Cass. 357/2023; Cass. 11790/2019; Cass. 230/2016; Cass. 942/1995; Cass. 10150/2003; Cass. 14556/2005). D’altronde, affinché un fatto possa dirsi non contestato dal convenuto, occorre o che sia stato esplicitamente ammesso, o che il convenuto abbia improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni incompatibili con la sua negazione. La non contestazione è esclusa allorquando, in presenza di una domanda fondata sullo svolgimento di una complessa prestazione giudiziale di avvocato, il cliente abbia comunque definito incongruo l’importo richiesto (cfr. Cass. 23816/2010; Cass. 18399/2009; Cass. 12231/2007).
Nessun vincolo poteva determinare la parcella, che resta una dichiarazione unilaterale del professionista (Cass. 230/2016; Cass. 14556/2004; Cass. 10150/2003). Se sottoscritta e corredata del
parere della competente associazione professionale, mantiene, anche dopo l’abrogazione del sistema delle tariffe professionali l’efficacia vincolante prevista dall’art. 636 c.p.c. nella fase monitoria del procedimento per ingiunzione, mentre nel giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c. il giudice è libero di discostarsene, salvo l’obbligo di fornire congrua motivazione.
5. Con il settimo motivo di ricorso si censura la nullità della sentenza per violazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., per aver la Corte di Appello ritenuto ammissibili le contestazioni, proposte solo in appello, in merito alla congruità dei compensi liquidati dal tribunale, in violazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., che preclude la formulazione in appello di nuove eccezioni non rilevabili di ufficio.
Il motivo è infondato.
Nel ricorso è chiarito che gli appellanti avevano contestato la congruità delle somme liquidate dal tribunale, chiedendo l’applicazione dei minimi : le contestazioni del quantum sostanziano una negazione dei fatti costitutivi della domanda ed integrano mere difese o eccezioni in senso lato, ove fondate su fatti estintivi o modificativi, rilevabili e deducibili anche in appello, scrutinabili sulla base del materiale probatorio disponibile.
Le eccezioni in senso stretto sono solo quelle in cui la manifestazione della volontà della parte di volerle proporre è strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito (Cass. SU 1099/1998), al pari delle mere contestazioni del fatto costitutivo della domanda (Cass. SU 2951/2016).
L ‘ottavo motivo di ricorso censura l’omesso esame dei plurimi riconoscimenti del debito da parte di NOME COGNOME in presenza dei quali era onere dei debitori dimostrare l’effettivo ammontare del debito.
Con il nono motivo di ricorso si lamenta la violazione del combinato disposto degli artt. 1988 e 2697 c.c., per aver la Corte di appello disposto la riduzione dei compensi professionali nonostante il riconoscimento di un debito di € 1.000.000,00 da parte dell’ing. COGNOME in presenza del quale era onere delle appellanti dimostrare l’effettivo ammontare del debito, prova che non era stata fornita, essendosi le resistenti limitate a contestare la congruità dei compensi indicati nelle notule.
I due motivi sono infondati.
Nel quantificare i compensi ritenuti congrui la sentenza non ha impiegato il criterio formale dell’onere della prova, ma ha determinato – sulla base degli atti disponibili l’importo dovuto al difensore, mettendo in evidenza che era stato proprio il ricorrente a far ricorso alle tariffe, prescindendo dal suddetto riconoscimento.
Mancava, inoltre, la stessa deduzione di un previo accordo vincolante sul compenso, redatto in forma scritta, per un importo pari alla somma di cui il COGNOME si era dichiarato debitore, né la ricognizione di debito poteva costituire un’autonoma fonte di obbligazione per il pagamento di quel dato importo, potendo determinare solo un’inversione dell’onere della prova senza tuttavia impedire al giudice di tener conto degli esiti dell’istruttoria e degli elementi di apprezzamento della prestazione emergenti dagli atti.
L’omessa valutazione dell’esistenza di atti ricognitivi non era decisiva, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., non potendo condurre ad una diversa soluzione della causa.
7.Il decimo motivo denuncia la violazione degli artt. 132 c.p.c., 111, comma 6, Cost., per motivazione meramente apparente in ordine alle ragioni per le quali l’applicazione del criterio del risultato
dell’opera abbia condotto alla liquidazione conforme ai minimi tariffari, specie una volta escluso ogni profilo di negligente esecuzione della prestazione professionale.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha valorizzato, quale parametro di riduzione dei compensi, il risultato ottenuto dalle difese svolte dal ricorrente, evidenziando che la resistenza in giudizio era risultata infruttuosa, essendosi conclusa con la declaratoria di nullità del trust e con il rigetto delle altre ragioni difensive proposte dal ricorrente.
Tali argomentazioni, sinteticamente illustrate dal giudice distrettuale, soddisfano l’obbligo di motivazione, rendendo evidente il percorso logico della pronuncia, non occorrendo ulteriori puntualizzazioni. Si configura la motivazione apparente se le argomentazioni adottate non siano verificabile nel loro inter logico, siano disancorate dal quadro probatorio e suscettibili di essere applicate, la loro genericità e l’assenza di riferimenti al caso concreto, ad un numero indefinibile di fattispecie. In sostanza, la motivazione, benché graficamente esistente, deve esser tale da non rendere percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. s.u. 2767/2023; Cass. 22232/2016; Cass. S.u. 16599/2016).
In conclusione il ricorso è respinto, con aggravio delle spese di legittimità.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 7700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda