Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15340 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15340 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5605/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
Pec:
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentat a e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
pec:
-controricorrente-
nonchè contro
CAP
RAGIONE_SOCIALE
SPA,
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 2125/2020 depositata il 20/08/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) proprietaria di alcuni capannoni industriali, uno dei quali locato alla società RAGIONE_SOCIALE sito in Busnago ed altri due pure ceduti in un successivo momento alla stessa COGNOME, propose opposizione davanti al Tribunale di Milano ad un decreto ingiuntivo con cui la società RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE) le aveva ingiunto il pagamento della somma di € 47.140,37 corrispondente a fatture emesse per la fornitura di acqua potabile e servizi idrici connessi (fognatura, depurazione, etc.); l’opposta si costituì in giudizio chiedendo l’integrale rigetto della domanda e chiese ed ottenne la chiamata in causa della società RAGIONE_SOCIALE per essere garantita e manlevata per quanto dalla stessa eventualmente dovuto all’opposta;
il Tribunale di Milano, disposta una CTU che concluse nel senso dell ‘ impossibilità di stabilire con certezza i consumi della società RAGIONE_SOCIALE, accolse parzialmente l’opposizione ritenendo dovuto l’importo di € 1.760,00 e, in accoglimento della domanda di manleva, condannò la RAGIONE_SOCIALE a tenere indenne l’opponente dal pagamento della predetta somma;
avverso la sentenza proposero appello sia la società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con costituzione in giudizio ed appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, sia la società RAGIONE_SOCIALE (gia RAGIONE_SOCIALE) per sentir rigettare l’opposizione radicata dalla RAGIONE_SOCIALE ;
la Corte d’Appello di Milano, pronunciando sui giudizi riuniti, con sentenza n. 2125 pubblicata in data 20/8/2020, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato il credito di RAGIONE_SOCIALE in € 26.029,77, modificando per un pari importo anche l’accoglimento della domanda di manleva della società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; per quanto ancora di interesse la Corte d’Appello ha accertato che le fatture di cui all’ingiunzione di pagamento erano tutte relative ai consumi del periodo 31/7/2005- 25/10/2011 dell’utenza del capannone locato alla società RAGIONE_SOCIALE (INDIRIZZO), ad eccezione di una fattura emessa in data 27/12/2011 con riferimento al INDIRIZZO pure ceduto a RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE nell’ottobre 2011 ; che era incontestato il subentro della RAGIONE_SOCIALE nel contratto di somministrazione dedotto in giudizio e lo svolgimento da parte della medesima, nel INDIRIZZO, di attività industriale necessitante il consumo di acqua; che gli accertamenti svolti dal consulente tecnico non erano utilizzabili al fine della quantificazione dei consumi, non avendo il perito univocamente affermato la sussistenza di un guasto al contatore ma solo ipotizzato che il contatore potesse essersi guastato per alcune ipotetiche cause; che le fatture in linea di massima potevano considerarsi idonee a dimostrare l’enti tà dei consumi, in assenza di contestazioni specifiche, e che quelle formulate da RAGIONE_SOCIALE non potevano considerarsi tali avendo la stessa dedotto solo l’ eccessività delle fatture e non avendo la stessa formulato la contestazione secondo quanto previsto dal contratto e dalla Carta del Servizio Idrico; in ordine al preteso guasto del contatore, COGNOME avrebbe dovuto chiedere la verifica metrica da
effettuarsi da società terza abilitata, così permettendo il relativo controllo; che, in ogni caso, ai fini della quantificazione del credito, occorreva tener conto in detrazione degli importi relativi ai servizi di fognatura e depurazione delle acque per € 21.110,60 trattandosi di servizi non usufruiti per effetto di una perdita d’acqua verificatasi in proprietà RAGIONE_SOCIALE nel 2008 all’altezza del civi co 17;
avverso la sentenza la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;
resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
MOTIVI DELLA DECISIONE
con il primo motivo -erroneità della sentenza per violazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. con riferimento all’art. 2697 c.c. e 115 c.p.c.- la ricorrente si duole del fatto che la Corte di Appello di Milano abbia ritenuto ‘provato il credito prospettato dal soggetto somministrante il servizio di fornitura dell’acqua esclusivamente sulla base delle fatture dallo stesso prodotte nella fase monitoria senza che, a fronte della successiva fase di merito e delle tempestive e puntuali contestazioni avanzate avverso tale documentazione dalle opponenti, sia stata fornita alcuna ulteriore prova della sussistenza del credito azionato’ . La corte di merito avrebbe omesso di considerare che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, le fatture, essendo di provenienza unilaterale, costituiscono prova idonea unicamente nella fase monitoria e, qualora contestate come nel caso di specie nel giudizio a cognizione piena da parte della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE , devono essere supportate, ai sensi dell’art. 2697 c.c., dalla verifica dell’avvenuta dimostrazione da parte del somministrante del regolare funzionamento del contatore, a fronte della corrispondente
contestazione del fruitore rivolta a negare l’esattezza del conteggio posto a fondamento del credito azionato in giudizio;
il motivo è infondato;
la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso di ritenere che, in materia di somministrazione di acqua o di altri servizi ad essa assimilabili, l’attendibilità del contatore per il calcolo dei consumi costituisca una presunzione semplice di veridicità che può essere smentita con ogni mezzo di prova (Cass., n. 23699 del 2016), sicché, a fronte dei consumi riportati dalle fatture, l’utente conserva il potere di contestazione e controllo a prova libera atta a smentire il valore probatorio delle ril evazioni effettuate dall’ente; quanto al riparto degli oneri probatori, e sempre che il somministrato contesti il valore delle fatture allegando un difetto del contatore, a fronte cioè di contestazioni specifiche e circostanziate, è onere del somministrante per il principio di vicinanza della prova, controllare il corretto funzionamento del contatore, mentre solo all’esito di tale accertamento, grava sul somministrato la dimostrazione che l’eccessività dei consumi è imputabile a terzi e, altresì, che l’impiego abusivo non è stato agevolato da sue condotte negligenti nell’adozione di misure di controllo idonee ad impedire altrui condotte illecite (Cass., 6-3, n. 30290 del 15/12/2017; Cass., 3, n. 19154 del 19/7/2018; Cass., 6-3 n. 297 del 9/1/2020; Cass., 3, n. 15771 del 17/5/2022);
a questi principi la sentenza si è sostanzialmente conformata perché, rilevando che il CTU non aveva accertato il malfunzionamento del contatore, ha valorizzato il valore presuntivo delle fatture emesse ritenendo che le stesse neppure fossero state contestate in modo idoneo dal somministrato;
ha rilevato che, a fronte di un accertamento tecnico che non consentiva di raggiungere la prova del malfunzionamento del
contatore, e in presenza in ogni caso della dimostrata disponibilità della somministrante di detrarre dall’importo delle fatture quanto dovuto per una perdita d’acqua che aveva sostanzialmente impedito alla somministrata di fruire dei servizi di fognatura, non vi erano state circostanziate contestazioni della somministrata la quale aveva pure offerto la disponibilità alla rateizzazione delle fatture;
dunque non può ritenersi che la pronuncia abbia violato l’art. 2697 c.c. in quanto emerge dalla complessiva motivazione della sentenza l’aver valorizzato i numerosi elementi che propendevano per una conclusione di rigetto del motivo di appello atto a contestare la violazione degli oneri probatori; indizi che, a fronte di una accertamento tecnico secondo cui il contatore non risultava malfunzionante, consentivano di valorizzare la presunzione di veridicità dei consumi quali riportati dalle fatture, neppure vinta da alcun contrario elemento di prova;
con il secondo motivo – erroneità della sentenza per violazione dell’art. 360 co. 1 nn. 3 e 4 c.p.c. con riferimento all’art. 115 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c.- la ricorrente lamenta che la corte territoriale ha escluso dal proprio procedimento decisorio le risultanze della CTU le quali avevano condotto il giudice di primo grado a svolgere la ricostruzione effettiva dei consumi; la motivazione con la quale il giudice ha ritenuto di discostarsi dalla CTU sarebbe meramente apparente perché la corte del merito si sarebbe limitata a rilevare che la CTU, quanto alla quantificazione dei consumi, non era attendibile perché pur escludendo il malfunzionamento del contatore non aveva neppure escluso che medio-tempore esso potesse non aver funzionato;
il motivo è inammissibile perché affetto da violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.: la ricorrente nell’invocare gli esiti della consulenza tecnica omette del tutto di indicare quali siano i passi dell’elaborato peritale
che sarebbero stati immotivatamente disattesi dalla Corte d’Appello di Milano così non consentendo a questa Corte di poter scrutinare nel merito cassatorio la relativa censura;
con il terzo motivo -erroneità della sentenza per violazione dell’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. con riferimento agli artt. 115, 116 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c.- la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello ha errato nel porre a fondamento della propria decisione il fatto che la RAGIONE_SOCIALE conducesse in locazione tre immobili (siti rispettivamente in INDIRIZZO) e che per lo svolgimento della propria attività necessitasse di un elevato consumo di acqua, senza invece considerare le risultanze della CTU e le ulteriori prove dedotte in giudizio dalle parti;
il motivo è inammissibile. La Corte d’Appello no n ha infatti affermato che RAGIONE_SOCIALE conducesse in locazione tre distinti capannoni ma che l’utenza oggetto di esame fosse destinata a servire un capannone industriale locato a RAGIONE_SOCIALE e altri due capannoni di proprietà RAGIONE_SOCIALE, pure ceduti alla stessa RAGIONE_SOCIALE nell’ottobre del 2011; ne consegue che non vi è stata alcuna omessa pronuncia su un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, quale la pertinenza delle forniture ad attività comunque svolte dalla RAGIONE_SOCIALE sRAGIONE_SOCIALE; per quanto riguarda la pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. la stessa è inammissibile in quanto non rispetta le condizioni poste dalla giurisprudenza di questa Corte per la loro prospettazione;
alle suesposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro
4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione