Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 5219 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 5219 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27917/2022 R.G. proposto da:
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE COGNOME, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, EMAIL
-ricorrente-
contro
E DISTRIBUZIONE RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo procuratore, COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore Legale ed Affari Societari,
NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (SGRNTN74D01B180A) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOMEEMAIL
o.pecavvocati.it;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1730/2022, depositata il 13/09/2022 e notificata in pari data. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società agricola RAGIONE_SOCIALE Scalone citava dinanzi al Tribunale di Ragusa la RAGIONE_SOCIALE perché: a) in via principale, fosse accertata l’inesistenza del credito di euro 46.385,66 preteso a titolo di conguaglio per il periodo dicembre 2008 – giugno 2013, a seguito della verifica sul contatore effettuata da tecnici di Enel Distribuzione s.p.a., nel corso della quale era stato riscontrato un allacciamento abusivo diretto a monte del misuratore, con conseguente divergenza tra consumo registrato e consumo effettivo; b) in subordine, fosse ordinato alla convenuta un ricalcolo del conguaglio richiesto, sulla scorta di parametri oggettivi, proporzionati anche alla consistenza dell’azienda.
RAGIONE_SOCIALE non solo resisteva alle domande, ma chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al pagamento di euro 47.389,28 e la chiamata in giudizio di Enel RAGIONE_SOCIALE per sentirla condannare, in caso di accoglimento della domanda attorea, alla restituzione degli oneri di vettoriamento.
Con sentenza n. 612/18, il tribunale, in parziale accoglimento della domanda attorea e della riconvenzionale spiegata dalla convenuta, condannava la società agricola RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di Sorgenia S.p.A., della complessiva somma
di euro 6.734,83, oltre agli interessi di mora ex d.lgs. n. 231/2002 dalle scadenze delle fatture al saldo.
La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1730/2022, depositata il 13/09/2022 e notificata in pari data , all’esito del giudizio di appello promosso da RAGIONE_SOCIALE ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Ragusa, respingendo la domanda di accertamento negativo del credito avanzata dall’odierna ricorrente ed accogliendo la domanda riconvenzionale di RAGIONE_SOCIALE
Per quanto ancora rileva, il giudice a quo ha ritenuto: a) coperto da giudicato l’accertamento dell’allacciamento abusivo in favore della somministrata; b) applicabile quanto statuito con la pronuncia n. 13605/2019 di questa Corte che, in un caso in cui, attesa l’inattendibilità della contabilizzazione dei consumi causata dalla manomissione del contatore, ha affermato che <>, da quantificare anche in base ad elementi presuntivi <>; c) gli importi fatturati a conguaglio ricostruiti presuntivamente da Enel Distribuzione <>.
La societ RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE resistono con separati controricorsi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia <>, per avere il giudice a quo ritenuto provati per presunzioni i consumi pretesi da RAGIONE_SOCIALE
La corte territoriale non avrebbe considerato che, a seguito di contestazione della fattura, era onere della somministrante <>; in sostanza, la ricorrente ritiene che <>; nella specie, invece, i consumi erano stati contestati e vi erano <> non considerati dalla corte d’appello; ha aggiunto che <>.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta <>.
La corte d’appello, trattandosi di una richiesta risarcitoria, avrebbe dovuto procedere ad una valutazione equitativa del danno che <>; al contrario, secondo la prospettazione della ricorrente, il giudice a quo avrebbe <>.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
In primo luogo, va rilevato che la corte territoriale non ha mai messo in dubbio che la società agricola ricorrente avesse contestato la quantificazione dei consumi, ma ha ritenuto, sulla scorta di un ragionamento sorretto da precisi riferimenti di natura
indiziaria, la cui gravità, precisione e concordanza non è stata confutata dalla ricorrente, che RAGIONE_SOCIALE avesse soddisfatto l’onere di dimostrare il quantum spettantele a titolo risarcitorio del danno consistente nel valore dell’energia consumata e nel mancato utile e che, per contro, la somministrata si fosse limitata a proporre un conteggio alternativo tramite il proprio C.T.P. che anche il tribunale aveva ritenuto inattendibile, senza contestazione alcuna in sede di appello.
In aggiunta, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, il giudice a quo ha correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte che, in caso di manomissione del contatore -provocata oppure no dal somministrato -e quindi accertata l’inattendibilità dei dati registrati dal contatore manomesso, riconosce al somministrante il diritto al risarcimento del danno ove ne provi l’ammontare anche tramite <>.
Ora, il metodo prescelto – quello della potenza tecnicamente prelevabile -applicato più volte in ipotesi analoghe a quelle per cui è causa dalla giurisprudenza di merito e ritenuto da questa Corte non arbitrario (v., ad esempio, Cass. 22/07/2024, n. 20249) -è stato contestato inefficacemente dall’azienda agricola ricorrente:
a) è errata, infatti, la premessa da cui muove e cioè che il ricorso alla prova per presunzioni fosse precluso dalla avvenuta contestazione dei consumi, provata dalla richiesta giudiziale di accertamento negativo del credito di cui alla fattura prodotta in giudizio. L’indirizzo di questa Corte che qui si intende ribadire è nel senso che al ricorso alla prova presuntiva per il ricalcolo dei consumi non è d’ostacolo la domanda di accertamento negativo del credito; chi è convenuto in giudizio, anche per ottenere
l’accertamento negativo del credito, è tenuto a fornire la prova del fatto costitutivo del suo diritto (Cass. 04/10/2012, n. 16917; Cass. 12/12/2014, n. 26158; Cass. 19/07/2018, n. 19154; Cass. 24/06/2021, n. 28984) e detta prova può essere data con ogni mezzo di prova, quindi, anche per presunzioni;
l’incompatibilità del criterio della potenza tecnicamente prelevabile con il fabbisogno dell’azienda è affermata del tutto assertivamente, non risulta, infatti, che questo argomento sia stato speso nel giudizio di appello -spettava alla ricorrente dimostrare che detto criterio era inutilizzabile nel caso di specie -e per di più risulta eccentrico rispetto all’affermazione della corte territoriale secondo cui le contestazioni mosse nel giudizio d’appello al criterio adottato per il calcolo dei consumi erano consistite nella proposizione di un diverso calcolo tramite C.T.P. disattesa, perché ritenuta inattendibile, dallo stesso giudice di prime cure senza contestazioni;
attesa la possibilità di utilizzare la prova per presunzioni allo scopo di dimostrare an e quantum del danno preteso dalla somministrante, la ricorrente avrebbe dovuto contestare il ragionamento presuntivo che ha portato la corte di merito a ritenere dimostrato il credito vantato dal gestore, sulla scorta di elementi indiziari convergenti: l’assenza di specifica critica rivolta al metodo di contabilizzazione del consumo necessariamente presunto (non essendo possibile fornire -una volta accertata la manomissione dello strumento di misurazione consensualmente scelto dai contraenti per la registrazione dei consumi – una distinta prova dell’esatto dato numerico delle unità di energia prelevate dall’utente finale) applicato da Enel Distribuzione S.p.A. per la rettifica del dato inattendibile risultante dal contatore manomesso; la terzietà, rispetto al rapporto contrattuale di somministrazione, di Enel Distribuzione S.p.A. quale soggetto deputato a tale verifica dalla delibera dell’Autorità indipendente di settore; l’impiego del
criterio della potenza tecnicamente prelevabile (Kwh 32,7) che si basa sul dato oggettivo del diametro e quindi della potenza termica del cavo utilizzato per l’allaccio abusivo – fatto noto -e sul dato ipotetico dell’uso di detto cavo per un numero di ore medie (1800 per i clienti BT), come da apposite tabelle redatte sulla scorta dei dati Istat e autorizzate dall’Agenzia delle dogane in conformità alla delibera n. 200 del 28.12.1999 dell’AEEG;
d) avendo il giudice del merito proceduto ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari indicati ed avendone accertato la gravità, la precisione e la concordanza e l’idoneità a fornire una valida prova presuntiva, la ricorrente non avrebbe dovuto limitarsi a proporre un calcolo alternativo dei consumi (¼ di quelli fatturati), né a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori; è pacifico che chi censura un ragionamento presuntivo (o il mancato utilizzo di esso) non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, perché per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo, invece, <> (così Cass. 21/01/2020, n. 1163; Cass. 6/02/2019, n. 3513).
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della <>, mancando una indicazione coerente e logica delle ragioni
<> (il primo riguardava la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 155 c.p.c. e contraddittorietà della sentenza e il secondo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’arte. 115 cod.proc.civ.), essendosi il giudice a quo limitato a rilevare che entrambi erano relativi alla <> e ad applicare <>, osservando che il criterio di calcolo adottato dalla società distributrice, in quanto fondato su un dato oggettivo (ossia la dimensione del diametro del cavo e dunque la sua portata termica), non era stato smentito dalla società agricola/odierna ricorrente e che il tribunale non aveva <>.
Il motivo è infondato.
La ragione che ha indotto la corte territoriale ad un esame congiunto dei primi due motivi di appello è stata chiaramente espressa e risponde a criteri di logica tecnico-giuridica, essendo stati ravvisati fra i motivi di appello, in concreto, elementi di connessione tali da renderne conveniente, per ragioni di economia processuale, l’esame congiunto.
Le ulteriori censure si basano si basano sulle stesse argomentazioni con cui sono stati supportati il primo ed il secondo motivo e ne seguono la sorte.
4) Con il quarto motivo la ricorrente denunzia la <>.
La corte d’appello avrebbe del tutto pretermesso la circostanza che la stessa società di distribuzione aveva dichiarato di non disporre di <> e che <>.
Il motivo, pur essendo stato ricondotto alla violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ., non contiene una denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti.
La censura di violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. è, dunque, inammissibile, perché detta disposizione del codice di rito riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° comma, n. 6, e 369, 2° comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053). Si evidenzia, altresì, che costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. 6/09/2019, n. 22397; Cass.
8/09/2016, n. 17761; Cass., Sez. Un., 23/03/2015, n. 5745; Cass. 4/04/2014, n. 7983; Cass. 5/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui alla richiamata norma del codice di rito le argomentazioni, supposizioni o deduzioni difensive (Cass. 18/10/2018, n. 26305; Cass. 14/06/2017, n. 14802); gli elementi istruttori (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053); una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. 21/10/2015, n. 21439; Cass. 29/10/2018, n. 27415), sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi ultimi profili, come nel caso all’esame (Cass. 31/03/2022, n. 10525 ).
5) Con il quinto motivo la ricorrente assume la <>, per non avere il giudice a quo disposto la compensazione, anche parziale, delle spese di lite, <>.
Il motivo è infondato.
La valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altri giusti motivi rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte. Infatti, il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass . 17/10/2017, n. 24502).
Al rigetto dei motivi consegue l’infondatezza del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 4.700,00, di cui euro 4.500,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge. in favore di ciascuna delle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 10 gennaio 2025 dalla