Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20944 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20944 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16156/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica legale
-ricorrente-
contro
ACOSET RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 68/2024 depositata il 11/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE deducendo di aver ricevuto due fatture per consumi idrici trimestrali da ritenere anomali per eccesso rispetto a un’utenza familiare, per quasi 8 mila euro, e chiedendo l’accertamento della non debenza causata, quindi, da perdita occulta non imputabile al consumatore ovvero, nello specifico caso, a una rottura del galleggiante dovuta, a sua volta, a picchi di pressione dell’acqua addebitabili, invece, all’impresa somministrante;
il Tribunale, davanti al quale resisteva la convenuta, accoglieva la domanda ritenendo dovute solo le somme rapportabili ai pregressi consumi medi dell’utente, laddove la società erogatrice non gli aveva segnalato l’anomalia di quei consumi violando i propri obblighi di buona fede nell’esecuzione del contratto;
la Corte di appello riformava la decisione osservando che:
-non era stato neppure allegato un malfunzionamento del contatore;
-le letture dei consumi reali erano sempre avvenute tempestivamente;
-il contratto prevedeva specificatamente l’esonero da obblighi di avviso in ordine a sproporzionati aumenti dei consumi;
-era risultato, in specie a mezzo dell’accertamento peritale disposto in prime cure, che la misura dei consumi rilevati era dovuta a una rottura del galleggiante posto all’interno del serbatoio dell’utente che non aveva effettuato gli opportuni controlli e la manutenzione dovuta;
-la rottura in parola, infatti, non poteva ritenersi essersi verificata a causa di eccessi di pressione nell’erogazione, riscontrati assenti tra i vicini del luogo;
avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando quattro motivi;
a fronte di rituali notifiche è rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE;
il consigliere delegato dal Presidente ha proposto la definizione anticipata del giudizio a norma dell’art. 380 -bis , cod. proc. civ., osservando che il ricorso non si confrontava con la ratio della decisione impugnata, non poggiata sull’assunto che la prova del corretto funzionamento del contatore incombesse sul somministrato e non sul somministrante, ma piuttosto sul diverso rilievo che la perdita d’acqua, dalla quale era poi derivato un aumento dei consumi, dipendesse da un guasto tecnico interno all’impianto di proprietà del ricorrente, senza che quindi potesse parlarsi di perdita occulta e violazione di obblighi da parte del somministrante;
parte ricorrente si è opposta chiedendo la decisione collegiale.
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1559 e 2697, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe violato i principî afferenti al riparto degli oneri della prova nel contratto di somministrazione, non essendo risultata dimostrazione di un corretto funzionamento del contatore da parte del somministrante;
con il secondo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e la violazione dell’art. 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che, pur ammettendo la corretta rilevazione dei consumi, l’anomalia degli stessi non era stata comunicata per tempo in violazione degli obblighi di buona fede contrattuale;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non potevano imputarsi all’utente mancati controlli e difetto di manutenzione del serbatoio di proprietà, quando il somministrante non aveva
segnalato, in attuazione del principio di buona fede contrattuale, l’anomalia dei consumi;
con il quarto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e la violazione dell’art. 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il serbatoio, acquistato quattro anni prima, era funzionante, e le testimonianze acquisite avevano infatti confermato l’accadimento di picchi di pressione, il cui eccesso doveva pertanto evincersi aver determinato la rottura del galleggiante, imputabile, quindi, all’impresa erogatrice della fornitura.
Considerato che
il primo motivo è inammissibile;
come anche osservato nella proposta di definizione anticipata, la censura non si misura con la ragione decisoria poggiata non sul malfunzionamento del contatore, pacificamente insussistente e per questo attestante erogazioni effettive sebbene anomale, bensì sulla causa di queste ultime, accertata come riferibile al guasto nell’impianto di proprietà dell’utente;
il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono, quali formulati, in parte inammissibili e in parte infondati;
la Corte territoriale ha escluso che potesse discorrersi di violazione degli obblighi di buona fede da parte del somministrante non solo in forza della clausola di esonero dall’avviso dell’utente in ordine ad anomalie, ma anche perché doveva ritenersi dirimente la violazione dell’obbligo di diligenza di quest’ultimo riguardo al controllo e alla manutenzione del proprio serbatorio risultato malfunzionante per rottura del galleggiante;
non vale dunque il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte concernente l’autonoma obbligazione del somministrante di avvisare il somministrato delle anomalie in parola, poiché il principio è stato affermato specificando che resta riservato al
giudice di merito l’accertamento fattuale del rapporto tra inadempimento e danno (Cass., 15/09/2021, n. 24904, pagg. 3-4);
nell’ipotesi in esame il Collegio di seconde cure ha dunque ritenuto dirimente l’omissione, da parte dell’utente, di sussistenti obblighi di controllo e manutenzione periodica, a fronte dell’impossibilità di configurare, in capo all’impresa, l’obbligo di «segnalare ogni aumento dei consumi, per come previsto dall’art. 2 del contratto» (pag. 10);
in altri termini, qualora il somministrato avesse controllato il funzionamento del proprio serbatoio e lo avesse manutenuto, l’eccesso di consumi sarebbe stato plausibilmente evitato, e quest’obbligo doveva comunque ritenersi decisivo rispetto alle speculari obbligazioni riferibili alla società erogante, sia in termini di buona fede che ai sensi dello specifico contratto;
parte ricorrente non ha impugnato specificatamente il profilo della ragione decisoria riferito alla clausola contrattuale di esonero da avvisi, con conseguente giudicato interno;
al contempo, a mente dell’analisi ricostruttiva appena sopra esposta, deve ritenersi che la Corte territoriale, motivando come visto, abbia svolto, in senso opposto rispetto all’esito dell’esame avvenuto in prime cure, un implicito quanto univoco accertamento escludente una rilevante abusività della clausola in parola, officiosamente necessario, a tutela del consumatore e per riflesso del corretto funzionamento del mercato, a mente dei principî indicati dalla giurisprudenza anche sovranazionale (v. Corte di giustizia, 17 maggio 2022, cause riunite C-693/19 e C-831/19, quale recepita anche da Cass., Sez. U., 06/04/2023, n. 9479);
e infatti la Corte di appello:
ha operato un bilanciamento tra l’obbligo di periodico controllo dell’impianto di proprietà dell’utente, come tale ragionevolmente esigibile, e quello imputabile all’azienda erogatrice, che, alla luce della lettura della clausola,
doveva ritenersi escludere quello di segnalare ‘ogni’ aumento dei consumi;
all’esito di questo bilanciamento, ha ritenuto decisiva la condotta omissiva distintamente esigibile dall’utente poiché, come tale, avrebbe in ogni caso evitato il pregiudizio di cui si domandava il ristoro;
tale ultimo assunto, peraltro, risulta confermato, anche nella sua portata fattuale (in ordine al rapporto tra inadempimento e danno, rimarcata come detto da Cass., n. 24904 del 2021, cit.), dalla stessa osservazione del ricorrente in ordine alla testimonianza di un utente vicino, indicato come tempestivamente intervenuto a riparare il galleggiante, su cui si sta per tornare nello scrutinio dell’ultima censura;
in questo senso deve allora intendersi anche il riferimento, presente nella proposta di definizione anticipata del giudizio, al fatto che si era trattato non di una ‘perdita occulta’ (come nel caso di Cass., n. 24904 del 2021, cit.), ma di perdita derivante da un guasto agevolmente verificabile dall’utente su impianto di sua proprietà;
può esplicativamente aggiungersi che, all’opposto, qualora si fosse trattato di dispersione non agevolmente verificabile, avrebbe dovuto ritenersi dirimente l’obbligo di avviso non escluso da una clausola in questa misura conclusivamente abusiva, in quanto volta a un esonero indistintamente riferibile a ogni ipotesi e così anche a quella di assenza di responsabilità ragionevolmente e comparativamente imputabili all’utente;
il quarto motivo è inammissibile;
la censura mira a ottenere un riesame fattuale estraneo alla presente sede di legittimità;
si richiede che la testimonianza di un utente sia ritenuta prevalente, in termini di peso probatorio, rispetto all’accertamento
peritale percipiente, come tale non oggetto di censura, che aveva escluso anomalie di consumi in utenze vicine;
anzi, come anticipato, nell’invocare la deposizione parte ricorrente sottolinea che l’utente escusso aveva evitato eccessi di consumo cagionati dalla rottura del galleggiante per essere tempestivamente intervenuto non omettendo la condotta esigibile da egli invece obliterata;
ad ogni conto, all’escussione di questo singolo teste si aggiunge quella del tecnico di parte deducente di cui, però, ci si limita a riferire assertivamente che aveva valutato, non si sa nello specifico in base a cosa, la riferibilità eziologica della rottura del galleggiante al picco di pressione;
sul punto, per un verso in quest’ultimo caso si omette anche di illustrare e riportare nello specifico la deposizione per farne apprezzare la concludenza, in violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U, 27/12/2019, n. 34469), per altro verso si chiede palesemente una rilettura istruttoria, come detto, e come tale, inammissibile;
va ribadito, al riguardo, il principio per cui sono riservate al giudice del suddetto merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, sicché risulta insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune prove rispetto ad altre, in base al quale il giudice suddetto sia pervenuto a un plausibile giudizio logicamente motivato (v. tra le molte, da Cass., 08/08/2019, n. 21187 a Cass., 23/04/2024, n. 10956);
non deve disporsi sulle spese né altra statuizione in favore della controparte rimasta intimata.
Va disposto la condanna del ricorrenti al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art 96, 4° co., c.p.c., ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art 96, 4° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, al competente ufficio di merito, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16/6/2025