Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20769 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22319/2024 R.G. proposto da:
IMPRESA INDIVIDUALE RISTORANTE EXCLUSIVE DI COGNOME, in persona del titolare COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
–
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 2178/2024, pubblicata in data 27 marzo 2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 luglio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nella qualità di titolare dell’ impresa individuale RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE , proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Roma, con cui RAGIONE_SOCIALE chiedeva il pagamento del complessivo importo di euro 155.377,73, oltre interessi, corrispondente, quanto ad euro 152.597,37, al residuo dovuto in forza di fattura emessa in data 8 giugno 2013 per ‘prelievi irregolari’ e, quanto al resto, all’importo insoluto di ulteriori cinque fatture emesse fino al febbraio 2014; eccepiva l’inesistenza del credito.
Costituitasi la società opposta, il Tribunale adito, respinte le richieste istruttorie formulate dall’opponente, previa revoca del decreto ingiuntivo, condannava l’opponente al pagamento del minor importo di euro 153.096,77, oltre interessi maturati sulla somma di euro 152.597,37 (portata dalla fattura dell’8 giugno 2013) a decorrere dal 28 giugno 2013 e, sul residuo, dal 30 settembre 2013, con anatocismo dalla data della domanda.
Siffatta sentenza, impugnata dal soccombente, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di Roma, che ha dichiarato non dovuti gli interessi anatocistici che il Tribunale aveva condannato a pagare in favore della società somministrante, confermando nel resto la decisione gravata.
I giudici di secondo grado hanno rilevato che l’appellante aveva
lamentato che RAGIONE_SOCIALE aveva illegittimamente ricostruito i consumi sulla base del criterio della ‘potenza tecnicamente prelevabile del cavo’, senza avere rilevato gli effettivi consumi degli apparecchi utilizzati per l’esercizio dell’attività commercial e, ma che dal verbale di verifica -che era stato redatto con la collaborazione dei Carabinieri al momento in cui era stato riscontrato il prelievo irregolare di energia elettrica ed era stato sottoscritto dal titolare dell’utenza, presente in loco -emergeva chiaramente che non era stato possibile ‘rilevare gli apparecchi utilizzati’ all’interno del ristorante, ciò no nostante la presenza del COGNOME che, peraltro, era l’unico ad avere interesse di consentire l’accesso ai locali. Aggiungevano che lo stesso COGNOME, invitato ‘ad esporre eventuali osservazioni’ , si era limitato a sottoscrivere il verbale, ‘senza opporsi per far valere il suo eventuale interesse a che si procedesse al rilevamento presso gli apparecchi utilizzatori ‘. Sotto altro profilo, i giudici territoriali hanno osservato che ‹‹ il criterio di misurazione della quantità di energia sottratta proposto dall’appellante è privo di alcun tipo di riscontro probatorio poiché non è stata offerta alcuna prova né della quantità e della tipologia degli apparecchi presenti, né degli orati di apertura dell’esercizio commerciale, né dei periodi di chiusura per riposo e per il dedotto carattere stag ionale dell’attività che non siano stati già presi in considerazione nel calcolo eseguito da Enel ›› .
NOME COGNOME quale titolare dell ‘impresa individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME Arturo RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con cinque motivi, cui ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
I l Consigliere delegato ha formulato, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., la seguente proposta di definizione accelerata: ‹‹ Sotto la formale invocazione della violazione di legge, i motivi sollecitano a questa Corte un riesame del fatto e della prova, inammissibile in sede
di legittimità ››.
Il difensore della ricorrente, munito di procura speciale, ha richiesto la decisione del ricorso.
È stata fissata la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 360bis .1. cod. proc. civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si censura la decisione impugnata per ‹‹ violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine all’erronea percezione del contenuto del verbale di accertamento eseguito, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. ›› .
Il ricorrente lamenta che il giudice a quo sarebbe incorso in un vero e proprio travisamento della prova, consistito in un errore di percezione intervenuto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della stessa e non quindi sulla valutazione del suo contenuto; rappresenta, al riguardo, che aveva ripetutamente contestato il valore probatorio attribuito al verbale di verifica di presunta sottrazione illecita di energia elettrica, redatto in data 30 maggio 2013 su modulistica prestampata da parte di Enel, e che il giudice d’appello, travisandone il contenuto, aveva dallo stesso desunto che non era stato possibile rilevare gli apparecchi utilizzati all’interno del ristorante, sebbene dallo stesso non fosse ricavabile tale dato, né che il mancato accertamento fosse dipeso da una condotta, anche omissiva, del titolare dell’attività. Pertanto, prosegue il ricorrente, quel verbale era inidoneo sia a riscontrare il reato di allaccio abusivo, sia l’approvvigionamento illecito d i energia elettrica e in ogni caso la firma apposta in calce al verbale non poteva assumere altro significato che quello di far constatare la presenza del titolare dell’impresa all’atto dell’accertamento, ma non quello di
assumersi la paternità delle operazioni connesse al medesimo accertamento.
Evidenzia, quindi, che l’errore imputabile al giudice d’appello è stato decisivo e che l’ammissibilità del rilievo del vizio denunciato trova riscontro nella pronuncia delle Sezioni Unite n. 5792 del 2024.
1.1. La censura è inammissibile.
1.2. Anzitutto, va rilevato che, pur fondandosi la censura sul contenuto del verbale redatto, in data 30 maggio 2013, in occasione della verifica effettuata dai tecnici Enel, dalla quale è scaturito l’addebito di maggiori consumi, essa non è stata formulata nel rispetto delle prescrizioni imposte dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., in quanto il ricorrente omette di riprodurre in ricorso, direttamente o indirettamente, il contenuto del documento, quanto meno nelle parti rilevanti, e si limita a sottolineare che il verbale conteneva l’espressione ‘non è stato possibile rilevare gli apparecchi utilizzatori all’interno del ristorante…’, trascurando peraltro di confrontarsi con l’ulteriore argomentazione che sorregge il decisum , secondo la quale, l’odierno ricorrente, ‘malgrado la presenza’ in loco, non aveva svolto ‘eventuali osservazioni’, pur essendo l’unico soggetto avente interesse a consentire l’accesso ai locali commerciali, ma anzi aveva sottoscritto il verbale, in tal modo confermando l’im possibilità di individuare gli apparecchi collegati alla rete elettrica.
1.3. Inoltre, la censura è inammissibile perché denuncia il ‘travisamento delle risultanze processuali’ al di fuori dei confini recentemente ristretti dalle Sezioni unite, pur richiamate in ricorso, con l’affermazione del principio di diritto secondo cui: ‹‹ Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale ri medio nell’impugnazione per revocazione per errore
di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale ›› (Cass., sez. U, n. 5792 del 2024).
Principio di diritto che, con riferimento alla proclamata deducibilità ai sensi dei nn. 4 e 5 dell’art. 360 c.p.c., va inteso al lume della motivazione, là dove le Sezioni Unite hanno inteso circoscriverlo ‹‹al caso in cui il giudice di merito abbia supposto un non -fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita›› nel mezzo probatorio acquisito nel giudizio di merito e le parti abbiano discusso proprio al riguardo , ‹‹con la finale precisazione c he un simile errore, che si è detto essere commissivo, è pur sempre omissivo dall’angolo visuale del risultato che determina nel giudizio››.
La pronuncia ha ben evidenziato che, ‹‹se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, , rendendo pervio l’articolo 115 c.p.c. ben oltre il significato che ad esso è riconosciuto (cfr. Cass., sez. U, n. 20867 del 2020), il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle ‹‹carte processuali››, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristiner ebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più, assegnando alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito››.
L’illustrazione del motivo in alcun modo evidenzia un travisamento riconducibile nel perimetro molto limitato indicato dalle Sezioni Unite.
Con il secondo motivo si prospetta ‹‹ violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., omessa disamina di prova documentale decisiva e motivazione inesistente o meramente apparente, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. ›› .
Il ricorrente si duole che entrambi i giudici di merito abbiano omesso di considerare il valore probatorio delle bollette emesse e pagate nel quinquennio di riferimento quale parametro certo per considerare il volume dei consumi registrati e, di conseguenza, di rilevare che tali consumi andavano portati a deconto dei maggiori consumi, così come quantificati, secondo il parametro presuntivo applicato da Enel a seguito della verifica del 30 maggio 2013.
Evidenzia, altresì, che la consulenza tecnica di parte, mettendo a confronto i dati reali e quelli emergenti dalla verifica effettuata dall’Enel con l’applicazione del criterio della potenza massima prelevabile in base al cavo di alimentazione riscontrato, aveva fatto emergere evidenze significative, che i giudici di merito avevano tuttavia omesso di prendere in esame, e che la quantificazione dei consumi effettuata non poteva considerarsi corretta nel risultato finale, essendo il criterio presuntivo utilizzato contraddetto dalle stesse risultanze del contatore Enel rifluite nelle fatture regolarmente pagate. Il mancato esame di tali elementi prova, secondo il ricorrente, comporta che la pronuncia resa in secondo grado è del tutto carente o comunque fornita di motivazione apparente, poiché non tiene conto della documentazione offerta in primo grado.
2.1. La censura non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità.
2.2. Essa, oltre ad essere stata dedotta in palese violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., perché la parte ricorrente pone a fondamento della sua tesi censoria documenti prodotti nel corso del giudizio di merito, quali la consulenza tecnic a d’ufficio e le bollette relative ai consumi pagati nel quinquennio di riferimento, senza fornire
una specifica indicazione del contenuto della produzione documentale in modo da porre questa Corte di legittimità nelle condizioni di poter valutare le critiche rivolte alla decisione impugnata, è, nella sostanza, finalizzata ad un riesame del merito della controversia, precluso in sede di legittimità.
2.3. Osserva infatti il Collegio come l’odiern o ricorrente abbia inammissibilmente argomentato la violazione di motivazione omessa o apparente attraverso il confronto della congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dalla Corte territoriale, in tal modo ponendosi in evidente contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione (cfr. Cass., sez. U, n. 8053 del 07/04/2014; Cass. sez. U, 07/04/2014, n. 8054)
2.4. Sotto altro profilo va ricordato che la ricostruzione probatoria, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è sindacabil e, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito.
Questa Corte invero, già con la sentenza n. 11892 del 2016 e, successivamente, con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 20867 del 2020, ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‹‹ prudente apprezzamento ›› ,
pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ.
2.5. Nella specie, come chiaramente emerge dalla illustrazione del motivo in disamina, il ricorrente si duole del fatto che i giudici di merito avrebbero trascurato di prendere in considerazione gli elementi probatori offerti, ricavabili sia dalle fatture pagate sia da una consulenza tecnica di parte allegata, ma sul punto la censura, oltre ad essere estremamente generica, non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata.
I giudici d’appello, in realtà, hanno valutato tutte le evidenze processuali, pervenendo, con apprezzamento di fatto adeguatamente motivato e, dunque, non censurabile in questa sede, alla conclusione che, a fronte della ricostruzione dei consumi operata dalla
somministrante sulla base del criterio presuntivo della ‘potenza tecnicamente prelevabile del cavo’, il diverso criterio di misurazione dei consumi prospettato dall’appellante, ora ricorrente, fosse rimasto privo di qualsiasi riscontro probatorio, dal momento che anche la perizia di parte acquisita agli atti di causa, peraltro avente valore meramente indiziario soggetto a doverosa valutazione da parte del giudice di merito (cfr. Cass., sez. 3, 28/02/2025, n. 5362), non era idonea a supportare le deduzioni difensive svolte dall’appellante.
3. Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando ‹‹ violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. ›› , addebita ai giudici di merito di avere omesso di considerare la sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice penale nei suoi confronti per i medesimi fatti oggetto di causa, nonché le risultanze della prova testimoniale assunta nel procedimento penale, ed in particolare le dichiarazioni rese dai Carabinieri intervenuti e dai tecnici accertatori di Enel, dalla quale erano emersi fatti favorevoli alla sua posizione, tanto da far ritenere non provata anche la materiale sottrazione di consumi energetici a danno della somministrante.
Il motivo è inammissibile.
Anche se non è in contestazione tra le parti che in pendenza del giudizio di merito è sopravvenuta la sentenza penale pronunciata dal Tribunale di Locri, che ha assolto l’odierno ricorrente dal reato di furto allo stesso contestato, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen ., non ci si può esimere dal rilevare che non emerge dall’illustrazione della doglianza che al processo penale abbia partecipato l’odierna controricorrente costituendosi parte civile, per cui la sentenza penale che ha definito quel giudizio, seppure passata in giudicato, non è opponibile alla società somministrante e tanto esclude che il giudice d’appello fosse da essa vincolato o comunque fosse obbligato ad esaminare e valutare le risultanze acquisite nel processo penale.
Inoltre, il ricorrente, pur precisando di avere prodotto la sentenza penale ‘in allegato alle proprie memorie conclusionali in primo grado (primo atto difensivo redigibile dopo l’emissione della sentenza medesima), e poi allegata in copia conforme munita di attestazione di irrevocabilità rilasciata dalla cancelleria il 21/01/2018 alle memorie di replica (primo atto difensivo redigibile dopo il passaggio in giudicato della sentenza medesima)’ (pag. 5 del ricorso), omette di specificare, in violazione del pri ncipio di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., se ed in quali termini aveva illustrato la doglianza che viene qui prospettata.
Con il quarto motivo , deducendo ‹‹ nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di norme di legge; insussistenza della prova presuntiva ed erronea inversione dell’onere della prova; violazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. ›› , il ricorrente addebita alla Corte d’appello di avere trascurato elementi probatori molto rilevanti e di avere basato la decisione su un accertamento dei consumi di carattere presuntivo, non facendo buon governo dei criteri di ripartizione dell’onere della prova.
Sostiene, in particolare, che la pretesa creditoria è fondata su una triplice presunzione, frutto di una ricostruzione priva di riscontro: la prima afferente alla sussistenza di un indebito prelievo in forza del rinvenimento di un cavo Enel collegato con due morsetti alla linea elettrica senza alcuna verifica di effettivo collegamento con le apparecchiature elettriche esistenti all’interno dei locali; la seconda indicante la decorrenza del periodo di indebito prelievo nel quinquennio precedente l’accertame nto eseguito; la terza afferente le modalità di calcolo di tale indebito prelievo basato su una mera ipotesi, atteso che il criterio della potenza massima determinata del cavo di allaccio doveva necessariamente trovare una sua precisazione attraverso la
sottrazione di tutti i consumi registrati del contatore regolarmente funzionante e contabilizzati nel quinquennio precedente, di cui era stata fornita prova di pagamento.
Soggiunge che l’onere di provare, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo , la regolarità dell’accertamento e la fondatezza della pretesa creditoria sia nell’ an che nel quantum ricadeva sulla parte opposta, con la conseguenza che, in caso di contestazione dell’accertamento dei consumi e dell’importo ingiunto, gravava sul la società somministrante l’onere di fornire la piena prova del credito, anche in forza del criterio della vicinanza della prova.
4.1. Il motivo non sfugge alla declaratoria d’inammissibilità sotto tutti i profili denunciati.
4.2. La tesi difensiva di parte ricorrente non si confronta idoneamente con la ratio della decisione. La corte territoriale, pur dando atto, nella premessa della motivazione, che il titolare dell ‘impresa individuale ricorrente aveva contestato il metodo di rilevazione e la quantificazione dei consumi, ha ritenuto, sulla scorta di un ragionamento sorretto da precisi riferimenti di natura indiziaria, la cui gravità, precisione e concordanza non è stata adeguatamente confutata dalla ricorrente, che Servizio RAGIONE_SOCIALE avesse soddisfatto l’onere di dimostrare il quantum a essa spettante in ragione del rilevato prelievo abusivo di energia elettrica emerso all’esito della verifica eseguita dai tecnici e che, al contrario, la odierna ricorrente si fosse limitata a proporre un criterio di misurazione alternativo, anche tramite l’allegata consulenza tecnica di parte, che, tuttavia, è stato ritenuto del tutto inattendibile e non supportato da adeguati riscontri.
Sul punto, diversamente da quanto sostiene il ricorrente, il giudice a quo ha correttamente applicato la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in caso di manomissione del contatore -provocata
oppure no dal somministrato -e quindi accertata l’inattendibilità dei dati registrati dal contatore manomesso, si riconosce al somministrante il diritto al risarcimento del danno ove ne provi l’ammontare anche tramite elementi presuntivi, quali calcoli statistici sulla entità dei consumi storici od anche specificando i criteri metodologici che vengono seguiti nel settore per stimare consumi presunti, legati alla qualità, dimensioni, tipo di attività, volume di fatturato ecc. dell’utente.
Ebbene, il metodo prescelto quello della ‘potenza tecnicamente prelevabile del cavo’ applicato più volte in ipotesi analoghe a quelle per cui è causa e ritenuto da questa Corte non arbitrario (cfr. Cass., sez. 3, 22/07/2024, n. 20249; Cass., sez. 3, 27/02/2025, n. 5219) -non risulta contestato efficacemente dal l’odierno ricorrente.
Infatti, la censura muove dalla premessa, errata, che il ricorso alla prova per presunzioni fosse precluso dalla avvenuta contestazione dei consumi, pur a fronte dell’esito della verifica, svolta in presenza del titolare dell’utenza, che aveva consentito di accertare l’irregolare prelievo di energia elettrica e l’impossibilità di procedere ad una ricognizione d egli apparecchi elettrici presenti all’interno dei locali destinati all’attività di ristorazione. Al riguardo , secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, se è vero che ‹‹ la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità, sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante, anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito, l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante ›› , quando ‹‹ l’apparecchio-contatore risulta manomesso ›› , l’utente che intenda far accertare che ‹‹ la alterazione dell’apparecchio è avvenuta ad opera di terzi ›› o a sua insaputa, o comunque contestare l’anomalia dei consumi registrati , è tenuto -sempre, beninteso, ‹‹ in difetto di prova evidente della alterazione dello strumento ›› , prova qui, invece, ritenuta sussistente -‹‹ a dimostrare la sproporzione
manifesta del consumo rilevato rispetto a quello effettivamente sostenuto ›› , dovendo altresì ‹‹ provare l’attività illecita del terzo ›› (Cass., sez. 3, 21/05/2019, n. 13605, non massimata).
In alcuna violazione dell’art. 2697 cod. civ. è pertanto incorso il giudice d’appello , visto che tale violazione è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (così, Cass., sez. U, n. 16598 del 2016, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; in senso conforme, anche Cass., sez. 6 – 3, 31/08/2020, n. 18092).
4.3. Né può ritenersi che la ricorrente abbia validamente censurato il ragionamento presuntivo che sorregge la sentenza impugnata, essendo pacifico che chi censura un ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, perché per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo, invece, sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit (Cass., sez. U, 24/01/2018, n. 1785; Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054; Cass., sez. 3, 21/01/2020, n. 1163; Cass., sez. 6 -3 , 26/07/2021, n. 21403).
5. Con il quinto motivo, deducendo ‹‹ violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti, nonché violazione dell’art. 111 Cost. sul diritto al giusto processo e in relazione all’art. 360, primo comm a, n. 4, cod.
proc. civ. ›› , il ricorrente lamenta che i giudici di merito, in primo ed in secondo grado, hanno ritenuto di respingere le richieste istruttorie formulate (prova testimoniale e c.t.u.), senza fornire sul punto alcuna motivazione; assume, inoltre, che il giudice d’appello ha rigettato l’impugnazione asserendo che l’appellante non aveva fornito alcun elemento di prova a sostegno delle proprie doglianze, sebbene le diverse richieste istruttorie non avessero trovato accoglimento, in contrasto con il principio enunciato da Cass. n. 28102 del 2022, secondo cui ‹‹ La mancata ammissione di un mezzo istruttorio (nella specie, prova testimoniale) si traduce in un vizio della sentenza se il giudice pone a fondamento della propria decisione l’inosservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c., benché la parte abbia offerto di adempierlo ›› .
5.1. Il motivo è inammissibile per una pluralità di ragioni.
5.2. Va, in primo luogo, rilevato che, in sede di ricorso per cassazione, qualora il ricorrente intenda lamentare la mancata ammissione da parte del giudice di appello della prova testimoniale non ammessa in primo grado e riproposta in secondo grado – deve dimostrare, a pena di inammissibilità, di aver ribadito la richiesta istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice di appello. (Cass. Sez. 3, 13/09/2019, n. 22883); tale onere non può dirsi assolto nel caso di specie attravers o il generico richiamo all’atto di opposizione a d.i. ed alle memorie depositate ai sensi dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
5.3. La mancata ammissione della prova testimoniale non è, in ogni caso, censurabile in sede di legittimità per violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in quanto la prima violazione ricorre soltanto quando il giudice di merito ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma e, cioè, ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma
disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e la seconda quando ha disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista o ha valutato secondo prudente apprezzamento una prova soggetta ad un diverso regime (da ultimo, Cass., sez. 3, 14/04/2025, n. 9731).
5.4. In ogni caso, manca nella doglianza alcuna illustrazione della decisività dei mezzi di prova di cui si lamenta la mancata ammissione, atteso che non è in alcun modo indicata l’efficacia causale che, nella ricostruzione della vicenda fattuale, si assume avrebbero potuto avere le circostanze oggetto dei capitoli di prova (Cass., sez. 6 -3, 10/08/2017, n. 19985; Cass., sez. 6 -L, 30/07/2010, n. 17915).
Invero, il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione. (Cass. Sez. 3, 06/11/2023, n. 30810; Cass., sez. 3, 14/12/2024, n. 32547).
Nelle argomentazioni con cui la pronuncia qui impugnata ha risolto il merito della lite è implicita la conferma del giudizio di irrilevanza non solo della prova testimoniale, ma anche della c.t.u., dovendosi ritenere che la mancata rilevazione, in sede di verifica, degli apparecchi elettrici utilizzati all’interno del ristorante non consenti sse di svolgere una indagine tecnica finalizzata alla determinazione della quantità di
energia prelevata, che presupponeva la necessaria individuazione del numero e della tipologia di apparecchi presenti nell’esercizio commerciale.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
La definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l ‘ applicazione del terzo e del quarto comma dell ‘ art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ.
Anche se va esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto, nell ‘ ipotesi in esame non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla previsione legale, stante la complessiva ‘ tenuta ‘ , pur nella sua sinteticità, del provvedimento della proposta di definizione accelerata rispetto alla motivazione necessaria per confermare l ‘ inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento, in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., dell’ ulteriore importo di euro 4.000,00 ed al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, dell’importo di euro 1.000,00 , ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione