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Consulenza tecnica d’ufficio: limiti e poteri del CTU

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8838/2024, ha respinto il ricorso di un Comune contro una società di gestione idrica, confermando la condanna al pagamento di canoni per il servizio di depurazione. Il caso ruotava attorno alla validità di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU) che, secondo il Comune, aveva illegittimamente acquisito documenti non prodotti dalle parti. La Corte ha chiarito che il CTU, agendo come ausiliario del giudice, può acquisire dati per rispondere ai quesiti, purché non si sostituisca alla parte nell’onere di provare i fatti costitutivi della domanda. In questo caso, la CTU è stata ritenuta ‘percipiente’ e non ‘esplorativa’, in quanto ha ricostruito i volumi idrici basandosi su elementi fattuali già allegati dalla società attrice, supplendo a una carenza di dati imputabile al comportamento omissivo del Comune stesso.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Consulenza Tecnica d’Ufficio: la Cassazione ne definisce poteri e limiti

La consulenza tecnica d’ufficio (CTU) è uno strumento fondamentale nel processo civile, ma i suoi confini operativi sono spesso oggetto di dibattito. Quando il consulente del giudice può spingersi ad acquisire documenti non prodotti dalle parti? E fino a quando è possibile contestare le sue conclusioni? L’ordinanza n. 8838/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, ribadendo principi già espressi dalle Sezioni Unite e tracciando una linea netta tra una CTU legittimamente ‘percipiente’ e una inammissibilmente ‘esplorativa’.

I Fatti del Caso

La controversia nasceva dalla richiesta di pagamento avanzata da una società di gestione del servizio idrico nei confronti di un Comune per i canoni di depurazione e fognatura maturati a partire dal 1992. La società, in qualità di mandataria di una Regione per la riscossione di tali crediti, aveva citato in giudizio l’ente locale.

Nel corso del giudizio di primo grado, il giudice aveva disposto una consulenza tecnica d’ufficio per quantificare le somme dovute. Il Comune si era costituito in giudizio tardivamente, solo dopo il deposito della perizia, contestandone sia l’ammissibilità sia il merito. In particolare, lamentava che il CTU avesse fondato le proprie conclusioni su documenti non prodotti dalla società attrice e su stime meramente probabilistiche dei volumi d’acqua. Nonostante le contestazioni, il Tribunale aveva condannato il Comune al pagamento di una somma cospicua.

La Corte d’Appello aveva confermato la decisione di primo grado, spingendo il Comune a ricorrere in Cassazione.

La questione della consulenza tecnica d’ufficio e le contestazioni tardive

Il Comune ha basato il proprio ricorso su due motivi principali, entrambi incentrati sulla presunta nullità della consulenza tecnica d’ufficio. Si sosteneva che la CTU fosse stata utilizzata per sopperire alla carenza probatoria della società attrice, andando alla ricerca di prove che quest’ultima avrebbe dovuto fornire.

Inoltre, il Comune lamentava che né il Tribunale né la Corte d’Appello avessero tenuto conto delle sue specifiche contestazioni alla perizia, sollevate prima nella comparsa di costituzione e poi ribadite nell’atto di appello. La difesa dell’ente locale aveva anche proposto un calcolo alternativo delle somme dovute, che però non era stato preso in considerazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo un’analisi dettagliata del ruolo e dei limiti della consulenza tecnica d’ufficio. Richiamando due importanti sentenze delle Sezioni Unite (n. 3086/2022 e n. 5624/2022), i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: il CTU, nei limiti del mandato ricevuto e nel rispetto del contraddittorio, può acquisire tutti i documenti necessari per rispondere ai quesiti posti dal giudice, anche se non prodotti dalle parti. Esiste però un limite invalicabile: questi documenti non possono essere diretti a provare i fatti principali posti a fondamento della domanda, il cui onere probatorio grava sulla parte che li allega.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che questo principio sia stato rispettato. La società idrica aveva allegato i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero l’esistenza del servizio di depurazione e il comportamento omissivo del Comune, che non aveva fornito i dati sui volumi idrici necessari per il calcolo dei canoni. La CTU, quindi, non ha avuto una funzione ‘esplorativa’ (cioè di ricerca di prove che la parte non ha fornito), ma ‘percipiente’. Ha agito per ricostruire un dato tecnico (i volumi idrici) sulla base di elementi fattuali già presenti in causa, superando l’inerzia del Comune. L’operato del CTU è stato quindi un’attività di completamento istruttorio, resa inevitabile dalla condotta dell’ente debitore.

Per quanto riguarda la tardività delle contestazioni, la Cassazione, pur riconoscendo che il Comune non era incorso in preclusioni e che le critiche alla CTU possono essere sollevate anche in comparsa conclusionale o in appello, ha ritenuto che la Corte di merito avesse implicitamente rigettato le argomentazioni dell’ente locale. Il giudice di merito, infatti, non è tenuto a confutare singolarmente ogni argomentazione, ma è sufficiente che indichi gli elementi sui quali fonda il proprio convincimento, ritenendo così disattesi tutti gli altri rilievi incompatibili con la decisione presa.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale per la pratica processuale. Si conferma che la CTU non è un mezzo per sollevare le parti dal loro onere probatorio, ma può legittimamente acquisire dati e documenti per accertare fatti tecnici che richiedono competenze specifiche, soprattutto quando una delle parti ha un comportamento ostruzionistico. La distinzione tra CTU ‘percipiente’ (ammessa) e ‘esplorativa’ (vietata) è la chiave di volta. Questa decisione sottolinea l’importanza per le parti di partecipare attivamente alle operazioni peritali e di fornire tutti i dati in loro possesso, poiché un atteggiamento omissivo può legittimare il giudice e il suo ausiliario a ricostruire i fatti con gli strumenti a disposizione, con conseguenze vincolanti per la parte inadempiente.

Un consulente tecnico nominato dal giudice (CTU) può acquisire documenti che le parti non hanno depositato nel processo?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il consulente può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, i documenti necessari a rispondere ai quesiti posti dal giudice. Tuttavia, ciò è possibile a condizione che tali documenti non servano a provare i fatti principali che costituiscono il fondamento della domanda o delle eccezioni, il cui onere della prova spetta sempre alle parti.

È possibile contestare la relazione del CTU per la prima volta negli atti finali del processo, come la comparsa conclusionale o l’appello?
Sì. La Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, afferma che le contestazioni e i rilievi critici alla CTU, se non costituiscono eccezioni di nullità del procedimento, sono considerate argomentazioni difensive. Come tali, possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale o anche in appello, purché non introducano fatti o domande nuove.

La consulenza tecnica d’ufficio può essere utilizzata per compensare la totale mancanza di prove da parte di chi ha iniziato la causa?
No. La CTU non può avere una funzione ‘esplorativa’, ovvero non può essere disposta per ricercare prove che la parte attrice non è stata in grado di fornire. Può, invece, avere una funzione ‘percipiente’, cioè può accertare e ricostruire dati tecnici basandosi su fatti che sono già stati allegati dalla parte, anche se non pienamente provati documentalmente, specialmente se la mancanza di dati è dovuta al comportamento omissivo della controparte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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