Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 528 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 528 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 24176-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
R.G.N. 24176/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 27/11//2024
PU
avverso la sentenza n. 3867/2021 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/07/2021 R.G.N. 265/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTO
Con sentenza 20 luglio 2021, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato le domande di NOME COGNOME (con qualifica di operatore di esercizio addetto alla guida degli autobus, in base al CCNL RAGIONE_SOCIALE) di nullità del provvedimento di destituzione, a norma degli artt. 53, 54 e 56 r.d. 148/1931, emesso per giusta causa dalla datrice RAGIONE_SOCIALE, esercente il servizio di trasporti pubblici (per non essersi recato ad assistere il cognato sig. COGNOME nei giorni lavorativi 31 dicembre 2018, 26 e 27 gennaio 2019, malgrado i permessi per farlo ex lege 104/1992) e delle conseguenti domande di tutela. Essa ha così riformato la sentenza di primo grado, di risoluzione del rapporto di lavoro (per nullità del procedimento disciplinare per la comminazione del provvedimento, nonostante la richiesta del lavoratore di adire il Consiglio di disciplina, non esistente presso l’azienda) e di condanna della datrice al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, dell’indennità di € 26.390,66, ai sensi dell’art. 18, sesto comma legge n. 300/1970.
In esito a critica e argomentata ricostruzione del quadro normativo alla luce della giurisprudenza di legittimità, la Corte d’appello ha ritenuto l’abrogazione implicita dei Consigli
di disciplina e l’applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970, in quanto allo stato ‘ disciplina universalmente applicabile a tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze sia di privati che di pubbliche amministrazioni’ (così Cass. SS. UU. 15540/2016)’ : rispettata dalla presentazione dal lavoratore di ‘giustificazioni scritte sia in ordine alla contestazione disciplinare che all’opinamento destituzione’ . E nel merito, la prova dell’addebito contestato.
Con atto notificato il 17 settembre 2021, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui la società ha resistito con controricorso.
Il P.G. ha comunicato le sue conclusioni scritte, nel senso dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 53 ss. r.d. 148/1931, 15 disp. prel. c.c., per il mancato rispetto dalla Corte partenopea della natura, ritenuta nella giurisprudenza consolidata di legittimità richiamata, di nullità di protezione dell’omessa fase del procedimento disciplinare degli autoferrotramvieri relativa alla pronuncia sulla destituzione opinata dal direttore, benché richiesta dal lavoratore, del Consiglio di disciplina (non istituito dall’azienda), erroneamente ritenuto implicitamente soppresso, con la conseguente assicurazione al lavoratore medesimo di una piena tutela del suo diritto di difesa, nell’osservanza dell’applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970.
Con il secondo, egli ha dedotto violazione dell’art. 33 legge n. 104/1992 e nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto integrata la violazione dell’obbligo di assistenza del
lavoratore in favore del proprio congiunto, per ‘ essere assolutamente fuori dall’ambito assistenziale’ la comprovata ‘contestuale presenza con l’assistito ad un cenone in casa di terzi’ (‘di un altro cognato la notte di capodanno’) , nell’insufficienza di ‘una visita all’assistito di circa un quarto d’ora (per finalità non di assistenza … ) nell’arco della giornata lavorativa’ , essendo l’uso del permesso per l’assistenza ben compatibile anche con lo svolgimento delle attività personali.
Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente attribuito maggior rilevanza alla dichiarazione di un addetto alla vigilanza dell’abitazione dell’assistito, piuttosto che alla deposizione di questo, nella ricostruzione del fatto addebitato.
Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 51 ss. legge n. 92/2012, 416, 420, 421 c.p.c. e nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale (limitatasi al rilievo del non aver il lavoratore ‘censurato specificamente la ricostruzione fattuale del Giudice di prime cure’ ) sul motivo di reclamo (ampiamente trascritto) relativo alla mancata ammissione da parte del Tribunale, nel giudizio di opposizione, delle prove orali dedotte dal lavoratore medesimo, siccome relative a motivi di censura dell’ordinanza non veicolati da un’autonoma opposizione (a seguito del l’ invito alla precisazione delle posizioni delle parti nel delimitato thema decidendum ai soli motivi dell’opposizione proposta dalla società , solo parzialmente soccombente nella fase sommaria), nella sufficienza della riproposizione dei primi con memoria difensiva, pur in assenza di autonoma opposizione all’ordinanza; con evidente pregiudizio del diritto di difesa.
Il primo motivo è fondato.
Come noto, la Corte costituzionale, investita della questione sollevata da questa Corte con l’ordinanza interlocutoria del 7 aprile 2023, n. 9530, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 1 d.lgs. n. 23/2015, limitatamente alla parola «espressamente», in riferimento all’art. 76 Cost. per difformità rispetto al criterio di delega dettato dall’art. 1, comma 7, lettera c) della legge n. 183 del 2014, che, demandando al Governo la previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dispone la limitazione del «diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato», senza una ulteriore limitazione ai casi di nullità “espressamente” prevista (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22).
È parimenti noto come essa sia andata oltre l’affermazione, contenuta in detta ordinanza, di un ‘consolidato orientamento di questa Corte’ , secondo cui -nel caso in cui il dipendente autoferrotranviario, a seguito dell’opinamento di destituzione, abbia invocato la pronuncia del consiglio di disciplina, posto il persistente vigore delle disposizioni dettate dal Regio Decreto in materia disciplinare, anche quale disciplina maggiormente garantita rispetto a quella prevista dalla legge n. 300/1970 -sia irrilevante il fatto che gli enti competenti non abbiano esercitato il potere di nomina dei componenti di quell’organo; posto che, in materia di procedimento disciplinare a carico degli autoferrotranvieri, l’art. 53 dell’allegato A al R.D. 148/1931 prevede una procedura articolata in più fasi, inderogabile e volta alla tutela del lavoratore dipendente, quale contraente debole; con la conseguenza della nullità della sanzione disciplinare (rientrante, in relazione al tipo di violazione, nella categoria
delle nullità di protezione) nell’ipotesi di omissione di una delle suddette fasi (Cass. 7 aprile 2023, n. 9530, in motivazione sub p.to 3, con ampio richiamo di precedenti conformi).
Essa ha, infatti, affermato la sufficienza di ‘dare conto del diritto vivente’ formatosi al riguardo, sicché, ‘ in presenza di una costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, tanto più quando sia attinente ad un presupposto di rilevanza della questione e non già direttamente alla disposizione censurata, la norma espressa dal diritto vivente è assunta come tale da questa Corte senza che rilevino eventuali dubbi in ordine all’esattezza dell’interpretazione’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, Considerato in diritto sub p.to 3.2).
Né il formante giurisprudenziale consolidatosi in diritto vivente può essere superato, in assenza di un sopravvenuto mutamento normativo, dal passaggio argomentativo, sempre tratto dalla sentenza della Corte costituzionale, per il quale ‘Non emerge -e non rileva -invece la complessa ricostruzione normativa che ha condotto alla formazione di questo diritto vivente e che ha visto ripetuti interventi delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 13 gennaio 2005, n. 460 e 27 luglio 2016, n. 15540).’ (Corte cost. 22 febbraio 2024, n. 22, ivi).
6.1. Le sentenze delle Sezioni Unite citate, se pure contengano affermazioni che potrebbero indurre ad una loro lettura estensiva alla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro (in Cass. S.U. 460/2005, ripresa da Cass. S.U. 15540/2016, in particolare: la segnalazione di disomogeneità o incoerenza del sistema riguardante non solo la giurisdizione in materia disciplinare, ma l’intero rapporto di lavoro disciplinato da un corpus di norme apparentemente resistente a qualunque riforma e modificazione
dell’ordinamento giuridico dal lontano 1931 e di generale applicazione alla materia disciplinare dell’art. 7 della legge n. 300/1970; la condivisione del parere dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato 19 aprile 2000 di non limitazione dell’effetto ab rogativo art. 58 R.D. 148/1931 a sole norme procedimentali di nomina e composizione di tali consigli, ma di ‘avvenuta abrogazione implicita delle norme del r.d. che postulano l’operatività di tali organi’ ), devono in realtà essere limitate all’ambito del r egolamento di giurisdizione ad esse proprio: ossia, finalizzate ‘alla sola risoluzione della annosa questione della persistente attribuzione alla giurisdizione amministrativa delle controversie in materia di sanzioni disciplinari per gli addetti al servizio pubblico di trasporto in concessione, ai sensi dell’art. 58 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, allegato A), con l’affermazione del principio secondo cui, sin dall’operatività dell’art. 68 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nella sua originaria versione, tali controversie appartengono alla cognizione del giudice ordinario, stante l’implicita abrogazione per incompatibilità con la indicata normativa, della persistente giurisdizione del giudice amministrativo contemplata nel citato art. 58’ (così: Cass. 17 giugno 2015, n. 12490, in motivazione sub p.to 4).
E soprattutto, essere lette in sintonia con ‘ … La giurisprudenza di questa Corte, che ha affrontato la problematica in esame’, che ‘non postula … un’abrogazione tout court della speciale disciplina di cui al R.D. n. 148 del 1931, bensì la necessità di integrare o sostituire i singoli istituti nell’ipotesi in cui la relativa specifica regolamentazione risulti incompatibile con il sistema in generale’ (Cass. S.U. 27 luglio 2016, n. 15540, in motivazione). Certamente una tale incompatibilità sistematica non può essere ravvisata nella perdurante vigenza dei Consigli di disciplina previsti dall’art. 53 R.D.
148/1931 ( ‘Nel caso in cui l’agente abbia presentate le Sue giustificazioni nel termine prescritto, ma queste non siano accolte, l’agente ha diritto, ove lo creda, di chiedere che per le punizioni, sulle quali, ai sensi del seguente articolo, deve giudicare il Consiglio di disciplina, si pronunci il Consiglio stesso’ : ottavo comma). La compatibilità della previsione con il sistema è stata, infatti, affermata come diritto vivente con la ferma negazione di un’abrogazione implicita dei Consigli di disciplina; su tale presupposto, essa ha per giunta costituito il fondamento normativo dell’estensione, costituzionalmente legittima, della tutela reintegratoria dell’art. 2, comma 1 del d.lgs. 23/2015 ai casi di nullità previsti dalla legge (come è stata ritenuta la violazione del procedimento disciplinare speciale in oggetto), ancorché non «espressamente».
7. Tanto chiarito sulla natura non vincolante, per le ragioni esposte, dei precedenti delle Sezioni Unite di questa Corte esaminati, peraltro neppure avendo le sentenze della Corte costituzionale valore di monito nei confronti della giurisprudenza (come invece può accadere riguardo al legislatore), potendo esse direttamente conformarla al parametro di costituzionalità, occorre allora ribadire quale sia il valore normativo dell’ art. 102, comma 1, lett. b ) d.lgs. 112/1998, che recita: ‘Sono soppresse le funzioni amministrative relative … all’approvazione degli organici delle gestioni governative e dei bilanci delle stesse, all’approvazione dei modelli di contratti’ e, in particolare, ‘alla nomina dei consigli di disciplina’ .
Esso non può che essere quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la loro connessione e dalla intenzione del legislatore (art. 12 disp. prel. c.c.); e pertanto, quello di aver reciso ogni legame della nomina dei Consigli di disciplina con gli organi pubblici: tanto dello Stato, quanto delle Regioni. Ma non certamente quello di trarre dalla
soppressione delle funzioni amministrative relative alla nomina dei consigli di disciplina l’inferenza della loro eliminazione tout court , avvenuta solo per le gestioni amministrative (Cass. 14 maggio 2019, n. 12770, in motivazione); né potendo essa conseguire da una mera inerzia degli organi competenti a provvedere alla nomina dei componenti del consiglio di disciplina (Cass. 6 marzo 2023, n. 6555, in motivazione sub p.to 12), in una sorta di ‘praesumptio de praesumpto’ .
D’altro canto, questa Corte ha escluso che la speciale disciplina dell’allegato A al RD n. 148/1931 sia stata abrogata dall’art. 7 legge n. 300/1970 e tale soluzione è stata avallata dalla Corte Costituzionale (con le sentenze n. 301/2004 e n. 188/2020), che ha sottolineato la natura di fonte primaria dell’All. A al R.D. 148/1931, nonché la permanente specialità, sia pure residuale, del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, per cui la speciale regolamentazione di tale impiego può essere modificato unicamente mediante interventi legislativi (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.ti 17 e 18).
Né il venir meno della nomina pubblica dei Consigli di disciplina ne comporta la soppressione, per la loro costituzione presso ciascuna azienda o dipendenza aziendale con direzione autonoma, a norma dell’art. 54 R.D. 148/1931, in una composizione plurale, formata da:
a ) un presidente nominato dal direttore dello Ispettorato compartimentale della motorizzazione civile e trasporti in concessione e scelto preferibilmente tra i magistrati;
b ) tre rappresentanti effettivi dell’azienda designati, su richiesta del Ministero dei trasporti (Ispettorato generale della motorizzazione civile e dei trasporti in concessione), dall’organo che legalmente rappresenta l’azienda e scelti tra
i consiglieri di amministrazione o tra i funzionari con facoltà, in mancanza, di conferire ad altri l’incarico;
c ) tre rappresentanti effettivi del personale, designati dalle Associazioni sindacali nazionali dei lavoratori numericamente più rappresentative, su richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, e scelti con precedenza tra gli agenti appartenenti alla azienda (e nomina per ciascuno dei rappresentanti di un supplente). Alla nomina di questi rappresentanti provvede il Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per i trasporti, nonché con il Ministro per l’interno quando trattasi di personale di pubblici trasporti in concessione od in esercizio ad aziende municipalizzate, a Comuni, Province, Regioni e relativi Consorzi.
Inoltre, i componenti del Consiglio di disciplina, costituito presso ciascuna azienda ferroviaria, tramviaria e di navigazione interna, salvo che non siano revocati, durano in carica un quinquennio e possono essere riconfermati. E quelli che siano nominati entro il quinquennio scadono con lo scadere di questo.
È poi noto che, qualora la sanzione non sia stata adottata dal Consiglio di Disciplina a seguito, come nel caso di specie, di richiesta del lavoratore dopo il provvedimento di opinamento, si verifica sia la privazione di un momento di ulteriore garanzia per il lavoratore, sia una mancanza di legittimazione all’esercizio del potere di recesso, non più in capo al datore di lavoro, ma trasferito ad un organo collegiale esterno e terzo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6765, in motivazione sub p.to 30).
Ed è proprio la garanzia di terzietà dell’organo collegiale aziendale il profilo di specialità caratterizzante il procedimento disciplinare degli autoferrotramvieri rispetto a
quello ordinario degli altri lavoratori delineato dall’art. 7 legge n. 300/1970.
Ai fini di garanzia della terzietà del Consiglio di disciplina non è sempre essenziale la collegialità, posto che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l’ufficio procedimenti disciplinari opera con il plenum dei suoi componenti nelle fasi in cui l’organo sia chiamato a compiere valutazioni tecnicodiscrezionali o ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale; non è, invece, essenziale la collegialità rispetto agli atti preparatori, istruttori o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso (cfr. Cass. 26 aprile 2016, n. 8245; Cass. 16 aprile 2018, n. 9314).
La soppressione dell’intervento pubblico (statale o regionale) nella nomina dei componenti del consiglio di disciplina, non ha modificato tale assetto.
Ai fini della validità della sanzione irrogata è, poi, irrilevante l’eventuale previsione regolamentare che impone la collegialità per tutte le fasi del procedimento disciplinare (cfr. Cass. 27 giugno 2019, n. 17357, che, in applicazione del principio, ha respinto il ricorso del lavoratore in un caso in cui la contestazione disciplinare era stata sottoscritta dal solo presidente dell’U.P.D.).
Le argomentazioni che precedono comportano l’accoglimento del primo motivo, con assorbimento di ogni altra questione e degli altri motivi di ricorso.
Pertanto, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024