Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 255 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 255 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
Oggetto: Rapporto tra preliminare e definitivo con riguardo alla caparra confirmatoria Recesso per inadempimento e restituzione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 01047/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv. prof. NOME COGNOME dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 677/2019 della Corte d’Appello di Trieste, depositata il 16/10/2019 e notificata il 23/10/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8
novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione notificato il 21/02/2018, la RAGIONE_SOCIALE propose appello avverso la sentenza emessa il 10/01/2018 e pubblicata l’11/1/2018, con la quale il Tribunale di Trieste aveva dichiarato il suo inadempimento all’obbligo di pagare il saldo del prezzo di € 10.350.000,00 per l’acquisto del complesso immobiliare sito in Venezia, denominato INDIRIZZO da Ponte, affermando il diritto di RAGIONE_SOCIALE di recedere dal contratto di compravendita del 15/10/2014 e di incamerare la caparra di € 1.150.000,00 da lei versato in conformità al contratto preliminare del 29/09/2014, sostenendo che il giudice l’aveva considerata gravemente inadempiente nel pagamento del saldo del prezzo, benché avesse provato di essersi presentata dal notaio per la stipula del rogito munita del denaro necessario, che era stata viceversa la RAGIONE_SOCIALE a rendersi gravemente inadempiente all’obbligo di consegna, il 23/10/2014, delle chiavi di ingresso dell’immobile, che tale condotta giustificava il suo recesso dal contratto, fondando il suo diritto a ricevere il doppio della caparra versata o a considerare il pagamento dell’importo come acconto, con conseguente obbligo della società venditrice a restituirlo, e al risarcimento dei danni, quantificati in € 335.997,96, o a considerare inefficace o nullo il contratto definitivo, con conseguente obbligo, a carico della controparte, di restituirle l’acconto del prezzo versato.
Costituitasi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE chiese il rigetto dell’appello, proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionato sulla richiesta risoluzione di diritto del contratto alla data del 10/3/2014, avendo essa solo tollerato un adempimento tardivo, sul suo diritto di trattenere la caparra e, in subordine, sul suo diritto al risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 677/2019, pubblicata il 16/10/2019, la Corte d’Appello di Trieste rigettò il gravame, ritenendo che la somma versata dalla società ricorrente al momento della stipula del contratto preliminare del 30/9/2014 a titolo di caparra confirmatoria avesse continuato a rivestire la medesima funzione anche dopo la stipula del contratto definitivo del 15/10/2014 e che, pertanto, essendosi venuto a profilare il grave inadempimento della medesima nel pagamento del saldo del prezzo, susseguendo e non antecedendo ad esso la consegna del possesso materiale dell’immobile, sussisteva il diritto della Generali Italia di trattenere il predetto importo.
Contro la predetta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 1362, 1460, 1470 e 1476 n. 1 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto insussistente il dedotto inadempimento della Generali Italia – consistente nella mancata trasmissione del possesso materiale del bene compravenduto -, sul presupposto che la clausola contenuta nel preliminare (art. 8) e nel definitivo (art. 9), che parlava di immissione nel possesso contestualmente alla stipula dell’atto di ricognizione dell’avveramento della condizione sospensiva di cui all’art. 61, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, si riferisse al solo possesso giuridico e non anche a quello materiale e che, pertanto, la mancata stipula dell’atto ricognitivo del 23/10/2015 fosse imputabile alla sola ricorrente, non costituendo la mancata trasmissione del possesso materiale valida giustificazione del mancato pagamento del saldo del prezzo. Ad avviso della
ricorrente, i giudici non avevano, invece, considerato che la trasmissione del possesso materiale del bene costituisse obbligo principale del venditore, da eseguirsi senza necessità di un’attivazione dell’acquirente a tali fini, che i due contratti (preliminare e definitivo) stabilissero chiaramente l’obbligo di immissione dell’acquirente nel possesso, da intendersi come materiale, del bene al momento della stipula dell’atto di ricognizione e di pagamento del prezzo, che la società venditrice avesse, invece, consegnato in sede di stipula chiavi patentemente false e che, pertanto, detto inadempimento non fosse di poco conto, come invece sostenuto dai giudici, ma costituisse idonea giustificazione ex art. 1460 cod. civ. del mancato pagamento del prezzo.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione degli artt. 1351, 1362, 1366 e 1372 cod. civ. e della giurisprudenza di cassazione in subiecta materia , in relazione all’art. 360, nn. 3 -4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che alcune clausole del contratto preliminare (in specie quella della caparra confirmatoria) mantenessero efficacia obbligatoria anche dopo la stipula del contratto definitivo, pur in assenza di specifico accordo tra i contraenti. La ricorrente ha, sul punto, obiettato come il precedente di legittimità riportato in sentenza, ossia il provvedimento n. 11744 del 2012 di questa Corte, nel consentire l’estensione al definitivo degli effetti di clausole contenute nel preliminare, si riferisse a situazioni in cui era necessario mantenere un certo equilibrio contrattuale in assenza di patti contrari, mentre, nella specie, la clausola riferita alla caparra confirmatoria non soltanto aveva natura accessoria, ma aveva subito sorti diverse nel definitivo, posto che, mentre nel preliminare, l’obbligo della sua restituzione era stato subordinato all’avveramento della condizione di cui all’art. 8, ossia al mancato esercizio della prelazione da parte
dello Stato e non al pagamento dell’intero prezzo, nel definitivo era stato previsto che il mancato avveramento della condizione sospensiva (sulla prelazione dello Stato) avrebbe imposto alla società venditrice di restituire la parte di prezzo già incassata e la liberazione dell’acquirente dall’obbligo di versarne il saldo, sicché ciò che era stato indicato come caparra nel primo contratto era divenuto acconto del prezzo nel secondo. Né poteva assumere rilevanza ermeneutica il comportamento tenuto dalle parti in presenza di un chiaro senso letterale della pattuizione, come nella specie, atteso che, nel dubbio, la caparra avrebbe dovuto essere considerata in termini di acconto, secondo quanto già sostenuto da questa Corte, con conseguente obbligo della società controricorrente di provvedere alla sua restituzione.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 1355, 1362, 1366 e 1385 cod. civ. e della giurisprudenza di cassazione in subiecta materia , la nullità della condizione sospensiva di alienazione del bene e, in ogni caso, l’impossibilità di poter configurare il recesso per inadempimento in un contratto sospensivamente condizionato in assenza dell’avveramento della condizione, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito contraddittoriamente affermato che il contratto era sospensivamente condizionato al pagamento del prezzo e, contemporaneamente, che era legittimo il recesso della Generali Italia a causa dell’inadempimento di un contratto inefficace. Secondo la ricorrente, il contratto che condizioni la sua efficacia ad un comportamento lasciato alla mera volontà del debitore andava considerato nullo. Inoltre, i giudici non potevano decidere immotivatamente e ingiustificatamente che il contratto definitivo aveva prodotto immediatamente alcuni effetti e differito al verificarsi della condizione del mancato esercizio della prelazione
altri e al pagamento del prezzo altri ancora, pur in assenza di una chiara volontà delle parti in tal senso.
4. La prima censura è fondata.
Si osserva preliminarmente come, nella vendita ad effetti reali, un volta concluso il contratto, l’acquirente consegua immediatamente, e senza necessità di materiale consegna, non solo la proprietà, ma anche il possesso giuridico ( sine corpore ) della res vendita , ancorché non si trovi ancora in rapporto diretto con la cosa, restando a carico del venditore l’obbligo di trasferirgli il possesso materiale o di fatto ( corpus ), attraverso il quale si realizzano le finalità giuridiche ed economiche del contratto, obbligo che viene in essere con la consegna (Cass., Sez. 2, 11/1/2008, n. 569), essendo questa l’atto con cui il compratore è posto nella condizione non solo di disporre materialmente della cosa trasferita nella sua proprietà, ma anche di goderla secondo la funzione e destinazione in considerazione della quale l’ha comprata, sicché costituisce obbligo del venditore, tenuto ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, di adoperarsi fattivamente perché l’acquirente ottenga la materiale consegna del bene compravenduto (Cass., Sez. 2, 22/3/2018, n. 7171; Cass., Sez. 2, 4/3/1993, n. 2660; Cass., Sez. 2, 16/3/1984, n. 1808; Cass., Sez. 1, 22/06/1951, n. 1671).
I tempi di attuazione della consegna possono, peraltro, essere regolati dall’accordo tra le parti essendo la disposizione di cui all’art. 1476 cod. civ. derogabile, sicché, laddove l’acquirente si sia obbligato a riconoscere il potere di detenzione o il possesso sul bene da parte di un terzo, la mancata sua immissione nel possesso di fatto non dà luogo ad inadempimento da parte del venditore (Cass., Sez. 2, 10/3/2023, n. 7182; Cass., Sez. 2, 11/1/2008, n. 569).
Nella specie, i giudici di merito, analizzando il contratto intercorso tra le parti, hanno ritenuto che la consegna materiale del bene non fosse stata temporalmente ancorata alla data di stipula dell’atto ricognitivo e che l’omessa consegna delle chiavi dell’immobile all’incontro del 23/10/2015 davanti al notaio di Salerno NOME COGNOME non costituisse inadempimento idoneo a giustificare il rifiuto di pagare il prezzo ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., essendo stato pattuito il trasferimento, in quella sede, del solo possesso giuridico e spettando all’acquirente attivarsi al fine di determinare le modalità con le quali conseguire anche quello materiale, sicché la mancata redazione dell’atto ricognitivo, in assenza dell’avveramento delle due condizioni del mancato esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero e del pagamento del prezzo, andava imputata esclusivamente alla società acquirente.
Ad avviso dei giudici, in particolare, mentre la RAGIONE_SOCIALE attraverso l’invio di numerose note, era stata diligente nel precisare dove, quando e come la società acquirente avrebbe dovuto pagare il prezzo della vendita, non altrettanto era stata quest’ultima in ordine al luogo, tempo e modalità attraverso cui conseguire il possesso materiale del complesso immobiliare, non risultando da nessuna delle note da essa prodotte alcun accenno a tale circostanza, né poteva considerarsi consegna la pretesa di ottenere le chiavi dell’immobile a Salerno, dove era stato fissato l’incontro per la stipula dell’atto di ricognizione, posto che la relativa dazione avrebbe avuto un solo valore simbolico, trovandosi il bene a Venezia, sicché, se l’acquirente avesse voluto ottenere una perfetta sincronia tra pagamento del prezzo e immissione materiale nel possesso, avrebbe dovuto chiedere la consegna delle chiavi non a Salerno, ma nella stessa città lagunare, specie in quanto a conoscenza della presenza delle stesse presso la portineria del vicino INDIRIZZO.
Ciò comportava la correttezza del convincimento del giudice di primo grado che aveva considerato illegittimo ex art. 1460 cod. civ. il mancato pagamento del saldo del prezzo a fronte dell’omessa consegna delle chiavi, come peraltro evincibile dalla richiesta di riduzione del prezzo, inoltrata all’acquirente, dalla domanda di finanziamento per l’acquisto rivolta alla società RAGIONE_SOCIALE e dal ricorso avverso l’avviso di liquidazione di imposta di registro -catastale-ipotecaria in cui essa aveva riportato le difficoltà incontrate nel reperire le somme necessarie per il pagamento, tutte circostanze che dimostravano l’insussistenza, in capo alla società, delle risorse finanziarie per provvedervi, senza che fossero al contrario sufficienti, al fine di dimostrare il contrario, la richiesta di finanziamento, non provando essa la sua concessione, né le copie degli assegni circolari dell’importo di euro 638.192,50 emessi in favore della venditrice, siccome pari al 6% del totale, né la richiesta di copia dell’ordine di inserimento di bonifico, con successiva revoca, siccome privo di risposta da parte della banca. Orbene, tali argomentazioni si pongono in contrasto con i principi sopra espressi.
Al riguardo, occorre prendere le mosse dalla scansione temporale degli accadimenti come idealmente congegnata con i contratti stipulati e concretamente svoltasi.
Le parti avevano infatti fatto seguire al contratto preliminare di compravendita del 29/9/2014, il contratto definitivo di vendita sottoposto a condizione sospensiva del 15/10/2014, fissando la data del 23/10/2014 per la stipula di un atto ricognitivo della realizzazione delle due condizioni apposte del mancato esercizio del diritto di prelazione ex 61, comma 4, d.lgs. n. 41 del 2004, da parte del Ministero e del pagamento del saldo del prezzo, che sospendevano l’efficacia della compravendita stessa.
Ciò comporta che col contratto definitivo di compravendita condizionato erano stati sospesi gli effetti tanto del trasferimento di proprietà, quanto del trasferimento del possesso giuridico del complesso immobiliare, in attesa di verificare l’avversarsi della duplice condizione del mancato esercizio della prelazione e del pagamento del prezzo, verifica che sarebbe dovuta avvenire proprio con l’atto di ricognizione.
Alla stregua di ciò, può allora dirsi che l’interpretazione della clausola contrattuale di cui all’art. 9, ii), secondo cui ‘ la società acquirente sarà immessa nel possesso dei beni contestualmente alla stipula dell’atto ricognitivo ‘ del ‘ contratto di vendita sottoposto a condizione sospensiva ‘, operata dai giudici di merito si ponga in contrasto col meccanismo di operatività della vendita, che, essendo un contratto ad effetti reali, comporta l’immediato trasferimento tanto della proprietà in virtù del consenso traslativo ex art. 1376 cod. civ., quanto del possesso giuridico ( sine corpore ) del bene, effetti questi che si sarebbero prodotti automaticamente con l’avveramento delle condizioni, senza necessità di particolari atti di impulso, avendo sotto questo profilo l’atto di ricognizione, come dice lo stesso nomen utilizzato, valenza di mera presa d’atto di un mutamento già giuridicamente verificatosi.
Diversamente deve opinarsi con riguardo al possesso materiale, il quale, come detto, non si produce automaticamente con l’avverarsi della condizione, ma postula l’atto di adempimento del venditore, costituendo la consegna una delle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 1476, n. 1, cod. civ., come, peraltro, evincibile dallo stesso disposto del secondo comma dell’art. 1146 cod. civ., che, in tema di accessione del possesso, postula, in caso di successione a titolo particolare, come nella specie, la prova dell’acquisto del possesso, onde poterlo unire a quello del dante causa, a differenza di quanto previsto dal primo comma in caso di successio possessionis , che
prosegue, invece, automaticamente in capo al successore senza necessità di dimostrazione, e come arguibile dalla inconfigurabilità di un costituto possessorio implicito, nel senso che ad esso segua automaticamente il trasferimento del possesso della cosa all’acquirente, proprio perché tale trasferimento rappresenta, ai sensi dell’art. 1476 cod. civ., l’oggetto di una specifica obbligazione del venditore, per la quale non sono previste forme tipiche. (in questi termini Cass., Sez. 2, 13/11/2023, n. 31434; Cass., Sez. 2, 24/3/2014, n. 6893).
Ciò significa che il concetto di ‘possesso’ richiamato nel contratto, proprio in quanto isolatamente considerato rispetto al trasferimento della proprietà, non può che essere svincolato – se non si voglia trasformare la relativa clausola in un mero pleonasmo – dagli effetti automatici propri del verificarsi della condizione e dal meccanismo del consenso traslativo, ma va viceversa ad attingere, se valutato nella sua portata sostanzialistica, il diverso aspetto della consegna e, dunque, il possesso materiale ( corpus ), dettando il termine per il suo adempimento, che, secondo detta condizione pattizia, sarebbe dovuto avvenire ‘immediatamente’, ossia contestualmente all’atto di ricognizione.
Né rileva il fatto che il compendio immobiliare si trovasse a chilometri di distanza dal luogo fissato per l’atto, posto che la consegna può essere sia effettiva ( traditio ), sia simbolica, quando si sostanzi nella trasmissione non del bene, ma di un oggetto che lo rappresenti, come per l’appunto le chiavi, senza perdere il suo significato sostanziale di adempimento del relativo obbligo.
Così come non rilevano tutte le disquisizioni, contenute in sentenza, sulla mancata attivazione della società acquirente in ordine alla sua immissione in possesso del bene, essendo la relativa attività obbligo ben preciso assunto dalla venditrice, da realizzarsi senza necessità di atti compulsivi dell’acquirente – al
momento pattiziamente determinato della stipula dell’atto ricognitivo.
Deriva da quanto detto la fondatezza della censura.
Il secondo e il terzo motivo restano assorbiti dall’accoglimento del primo.
In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo e l’assorbimento degli altri due, il ricorso deve essere accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8/11/2024.