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Conoscenza del fallimento: prova a carico del curatore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 16041/2024, ha accolto il ricorso di un istituto di credito la cui domanda di ammissione al passivo era stata dichiarata inammissibile per tardività. La Corte ha stabilito che la prova della conoscenza del fallimento da parte del creditore non può essere meramente presuntiva, ma deve essere fornita in modo certo e concreto dal curatore fallimentare. Il provvedimento del Tribunale, basato su una motivazione contraddittoria, è stato cassato con rinvio per un nuovo esame.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Conoscenza del fallimento: onere della prova e limiti della presunzione

L’ordinanza n. 16041/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sull’onere della prova relativo alla conoscenza del fallimento da parte dei creditori. Quando un creditore presenta una domanda tardiva di ammissione al passivo, è fondamentale stabilire se il ritardo sia a lui imputabile. La Suprema Corte ha ribadito che spetta al curatore fallimentare dimostrare, con prove certe e non mere presunzioni, che il creditore era a conoscenza della procedura concorsuale. Analizziamo insieme questo caso.

I fatti di causa

Un istituto di credito proponeva opposizione contro un decreto che aveva dichiarato inammissibile, in quanto ultratardiva, la sua domanda di ammissione al passivo di una società fallita. La domanda, per un credito di quasi un milione di euro, era stata depositata oltre il termine previsto dalla legge. Il Tribunale respingeva l’opposizione, ritenendo che il ritardo fosse imputabile alla banca. Secondo il giudice di merito, sebbene la comunicazione formale via PEC da parte del curatore non fosse stata provata correttamente, una serie di altri elementi (come la notifica di un avviso di vendita di un immobile ipotecato presso una filiale e la consegna di una mail alla casella PEC della banca) dimostravano, in via presuntiva, che l’istituto di credito era a conoscenza del fallimento o avrebbe potuto averla usando l’ordinaria diligenza.

Il ricorso in Cassazione e la prova della conoscenza del fallimento

L’istituto di credito ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando principalmente la contraddittorietà della motivazione e la violazione delle norme sull’onere della prova. La ricorrente sosteneva che il Tribunale, da un lato, aveva ammesso la mancata prova della notifica formale dell’avviso di fallimento (ex art. 92 L. Fall.), ma, dall’altro, aveva erroneamente ritenuto raggiunta la prova della conoscenza del fallimento sulla base di elementi indiziari e presuntivi, come una notifica presso una filiale (ritenuta nulla) e la mera spedizione di una raccomandata alla sede legale, di cui non era stata provata la ricezione.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale “sostanzialmente incomprensibile” e violativa dei principi costituzionali e processuali. Gli Ermellini hanno sottolineato la palese contraddittorietà del provvedimento impugnato: il Tribunale prima nega la prova della ricezione dell’avviso, poi afferma che una comunicazione via mail è pervenuta, e infine conclude che la prova è stata fornita in via presuntiva sulla base di un complesso di circostanze.

Richiamando la propria giurisprudenza più recente (Cass. n. 35963/2023; 30846/2023), la Corte ha ribadito un principio fondamentale: il curatore non può limitarsi a fornire una prova presuntiva della conoscenza del fallimento. Egli ha l’onere di dimostrare in modo certo e inequivocabile una delle due seguenti alternative:

1. Che il creditore ha effettivamente ricevuto la comunicazione formale prevista dall’art. 92 della Legge Fallimentare.
2. Che il creditore ha avuto conoscenza effettiva dell’apertura della procedura in una data determinata, tramite un atto o un fatto equipollente che gli garantisca la stessa conoscenza legale dell’avviso formale.

Il provvedimento impugnato, mancando di un accertamento chiaro e concreto su una di queste due alternative, è stato cassato. La Corte ha rinviato la causa al Tribunale, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame attenendosi a questo rigoroso principio di diritto.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale a tutela del creditore. La prova della conoscenza del fallimento, necessaria per valutare la scusabilità del ritardo nella presentazione della domanda di ammissione al passivo, non può fondarsi su indizi o presunzioni. Il curatore fallimentare deve fornire una prova certa, documentando o la ricezione dell’avviso legale o un evento specifico che dimostri in modo inconfutabile l’effettiva conoscenza da parte del creditore. Tale rigore garantisce la certezza del diritto e protegge i creditori da decisioni basate su ricostruzioni ipotetiche e non su fatti concretamente provati.

A chi spetta l’onere di provare che un creditore era a conoscenza del fallimento?
L’onere della prova spetta interamente al curatore fallimentare. È lui che deve dimostrare che il creditore ha ricevuto l’avviso di fallimento o che ne ha avuto conoscenza effettiva.

È sufficiente una prova presuntiva per dimostrare la conoscenza del fallimento da parte di un creditore?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la prova non può essere meramente presuntiva, basata su un insieme di indizi. Deve essere una prova certa e concreta.

Quali tipi di prova deve fornire il curatore per dimostrare la conoscenza del fallimento?
Il curatore deve provare alternativamente: o che il creditore ha ricevuto la comunicazione formale prevista dalla legge (ex art. 92 L. Fall.), oppure che ha avuto conoscenza effettiva della procedura in una data determinata tramite un atto o un fatto equipollente (ad esempio, la partecipazione a un atto della procedura).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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