Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1830 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1830 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7366/2020 R.G. proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA DI MILANO e MINISTERO DELL ‘ ECONOMIA E DELLE FINANZE
– intimati –
avverso la sentenza n. 1266/2019 della Corte d’Appello di Milano, depositata l’8.8.201 9;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.11.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Al ricorrente, già dipendente dell’Agenzia de lle Entrate, venne inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per sei mesi per essere rimasto assente dal lavoro oltre il termine di durata del corso di dottorato di ricerca per il quale aveva usufruito del congedo straordinario ai sensi dell’art. 2 della legge n. 476 del 1984. La datrice di lavoro dispose, altresì, il recupero degli emolumenti percepiti dal lavoratore nei periodi di assenza eccedenti la durata triennale dei due corsi di dottorato ai quali egli si era iscritto e che aveva frequentato: uno presso l’Università di Bologna , con decorrenza del congedo dal 30.8.2001; l’altro presso l’Università di Milano, con decorrenza dal 23.3.2007.
Il lavoratore impugnò il provvedimento disciplinare, convenendo in giudizio anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze, e il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, accolse parzialmente la sua domanda, annullando il provvedimento di recupero degli emolumenti solo con riguardo al primo dottorato (periodo eccedente dal 1°.1.2003 al 30.5.2004) e condannando l’Agenzia delle Entrate a restituire il relativo importo, che nel frattempo era già stato recuperato. Quanto alla posizione del Ministero, il Tribunale dichiarò il suo difetto di legittimazione passiva.
La sentenza di primo grado venne impugnata dal lavoratore e, in via incidentale, anche dall’Agenzia delle Entrate.
La Corte d’Appello di Milano rigettò l’ appello principale del lavoratore e dichiarò inammissibile, perché tardivo, l’appello incidentale.
Contro la sentenza d’appello il solo lavoratore ha presentato ricorso per cassazione articolato in diciotto motivi.
L’A genzia delle Entrate si è difesa con controricorso, peraltro depositato il 29.4.2020, ovverosia tardivamente rispetto al termine di 20 giorni fissato nell’art. 370, comma 3, c.p.c. (testo vigente ratione temporis ), a decorrere dalla notifica al ricorrente, avvenuta l’11.3.2020 .
Il ricorso è stato notificato anche al Ministero dell’Economia e delle Finanze e alla Direzione Regionale della Lombardia dell’Agenzia delle Entrate , che sono rimasti intimati.
Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi due motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perché strettamente connessi tra di loro dal comune e duplice riferimento al vizio di omessa pronuncia e di mancato rilievo del giudicato interno.
1.1. Il primo motivo è rubricato «nullità della sentenza per error in procedendo . Omesso rilievo del giudicato interno malgrado la valutazione di tardività dell’appello incidentale. Violazione degli artt. 436 e 112 c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Come già riferito sopra, il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento delle domande del lavoratore, annullò il provvedimento di recupero degli emolumenti pagati nel periodo di assenza eccedente la durata legale del primo dottorato (dal 1°.1.2003 al 30.5.2004). La sentenza fu impugnata, in parte
qua , dall’Agenzia delle Entrate, ma l’appello incidentale fu dichiarato inammissibile, perché tardivo. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello ne avrebbe dovuto trarre la conseguenza del passaggio in giudicato dell’accertamento che il congedo straordinario non era limitato alla durata del corso, ma prorogato al tempo ulteriore impiegato per preparare e discutere la tesi; con la conseguenza che tale accertamento con efficacia di giudicato avrebbe dovuto essere esteso anche al secondo dottorato di ricerca e al l’assenza eccedente la durata legale di quest’ultimo.
1.2. Il secondo motivo è rubricato «violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2 legge n. 476/1984 (art. 360, n. 3, c.p.c.)».
Questo motivo completa il ragionamento posto a sostegno del precedente, aggiungendo l’affermazione che il giudicato si sarebbe formato «sull’interpretazione dell’art. 2 l . 476/19844, nel senso che ‘l’aspettativa retribuita per il dottorato di ricerca termina con l’esame finale inclusa la proroga’ », e sarebbe pertanto da estendere anche all’applicazione di quella legge al fatto verificatosi in occasione del secondo dottorato di ricerca.
2. I due motivi sono infondati.
2.1. Nella sentenza qui impugnata è riportato uno stralcio della motivazione della sentenza di primo grado da cui risulta che la decisione ivi assunta con riferimento al recupero degli emolumenti relativi all’eccedente durata del primo congedo straordinario è basata su una ragione ad esso peculiare e non estensibile al secondo dottorato e al secondo congedo straordinario.
Quel primo recupero di emolumenti venne ritenuto illegittimo dal Tribunale « tenuto conto del rilevante lasso temporale intercorso tra il periodo di assenza in contestazione e la data di adozione del provvedimento di recupero, intervenuto circa 9 anni dopo in epoca prossima il perfezionamento del termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2946 c.c. , della iniziale richiesta del ricorrente di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita …, del riconoscimento della debenza della retribuzione maturata dal ricorrente dal 1°.1.2002 fino alla fine del periodo di aspettativa (20.5.2004) con provvedimento adottato dalla Agenzia il 3.6.2004 … , del conseguente evidente e comprensibile affidamento contrattuale riposto dal ricorrente sulla legittimità del proprio operato e del provvedimento datoriale adottato il 3.6.2004 avendo la resistente valutato, in tale atto, la situazione lavorativa e di studio del ricorrente una volta terminato il periodo di aspettativa dopo aver pertanto potuto esaminare in maniera esaustiva e completa la ricorrenza di tutti i presupposti previsti dall’art. 2 l. n. 476/1984 , anche rispetto all’effettiva durata del periodo di aspettativa » (pagg. 14 e 15 della sentenza impugnata).
Il Tribunale valorizzò, dunque, l’ « evidente e comprensibile affidamento contrattuale riposto dal ricorrente sulla legittimità del proprio operato » desumendolo dal lungo tempo trascorso prima che venisse chiesto il rimborso degli emolumenti erogati (quasi dieci anni) e dal fatto che il pagamento era stato disposto ed effettuato dopo (non durante ) il congedo straordinario.
Non si tratta qui di discutere della correttezza di questa decisione, dal momento che l’appello incidentale sul punto dell’Agenzia delle Entrate venne dichiarato inammissibile e che
la relativa statuizione non è stata impugnata. Si tratta, invece, di rilevare che entrambi gli elementi considerati dal Tribunale per giustificare il legittimo affidamento nel caso del primo dottorato non ricorrono nel secondo dottorato, rispetto al quale la richiesta di rimborso fu molto più tempestiva e il congedo straordinario era fin dall’origine previsto con retribuzione, la quale, quindi, venne erogata durante l’assenza del lavoratore.
2.2. È quindi da escludere che la sentenza di primo grado fosse basata su un’interpretazione dell’art. 2 della legge n. 476 del 1984 conforme a quella qui propugnata dal ricorrente. Tant’è che questo, tra i motivi d’appello, contestò al Tribunale di Milano proprio la «Violazione dell’art. 2 Legge n. 476/1984 in relazione all’art. 55 -quater , comma 1, lett. b), d.lgs. n. 165/2001» (v. pag. 11 della sentenza qui impugnata). Ed è evidente la vistosa contraddizione tra il sostenere che la sentenza del Tribunale avesse accolto l’interpretazione dell’art. 2 pre conizzata dal ricorrente e avere appellato quella sentenza proprio per l’asserita violazione dell’art. 2.
2.3. Del resto, giammai potrebbe esserci, nel sentenza di primo grado, un giudicato implicito sulla legittimità della durata del congedo straordinario connesso al secondo dottorato, in contrasto e incompatibile con il giudicato esplicito di rigetto della relativa domanda del lavoratore. Tutt’al più si potrebbe ravvisare una contraddizione tra le due decisioni contenute nella stessa sentenza; contraddizione che, invece, non sussiste, per la sopra ricordata diversità delle due situazioni, valorizzata nella specificità della motivazione di accoglimento della domanda relativa al primo congedo straordinario.
2.4. Questo per quanto riguarda il giudicato, mentre il vizio di omessa pronuncia sulla relativa questione non sussiste per la semplice ragione che la sentenza impugnata, decidendo nel merito, ha implicitamente escluso la sussistenza del preteso giudicato e, quindi, si è pronunciata sul punto.
Il terzo motivo di ricorso prospetta «nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6, Cost., motivazione inesistente in relazione all’aspettativa legittima art. 1, prot. 1, CEDU, 325 TFUE, art. 1 l. 241/1990 (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe priva di motivazione sul l’eccezione di legittimo affidamento e sulla censura di omessa pronuncia, da parte del Tribunale, su tale eccezione.
3.1. Il motivo è infondato.
3.1.1. Occorre premettere, con osservazione a valere anche con riguardo ai motivi a seguire, che « La riformulazione dell ‘ art. 360, n. 5), cod. proc. civ., disposta con l ‘ art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui è deducibile esclusivamente ‘ l ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ , deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall ‘ art. 12 disp. prel. cod. civ., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l ‘ anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all ‘ esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si
esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di ‘ sufficienza ‘ , nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico ‘ , nella ‘ motivazione apparente ‘ , nel ‘ contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili ‘ , nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘ » (Cass. S.U. n. 8053/2014, con numerose successive conformi).
Di conseguenza, non può essere denunciato con il ricorso per cassazione il vizio di motivazione che consista nel non avere il giudice preso analiticamente in considerazione ogni singolo argomento portato dalla parte a sostegno delle proprie pretese; come del resto statuito dalla giurisprudenza già sotto il regime del previgente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che pure considerava vizio censurabile anche la mera insufficienza di motivazione (v. Cass. nn. 868/1975; 2328/1974; 2534/1973; 3663/1972; 667/1970).
3.1.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha comunque motivato l’accertamento negativo del legittimo affidamento da parte del lavoratore, esponendo, a contrario , le ragioni per cui ha ritenuto censurabile ed illegittimo il suo comportamento (pagg. 23 e 24 della sentenza impugnata). Tant’è che lo stesso ricorrente , nell’illustrazione del motivo, riconosce che nella sentenza una motivazione sul punto esiste, salvo esprimere il giudizio -non condivisibile, ma in ogni caso irrilevante in questa sede -che «essa discende dall’esame molto parziale della vicenda» ( id est : si prospetta una motivazione insufficiente).
Il quarto motivo denuncia «violazione dell’art. 1 legge 241/1990, dell’art. 3 Cost., del principio europeo di legittimo affidamento, e degli artt. 1175 e 1375 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)».
Il motivo ripropone direttamente, anche in questa sede, la questione del legittimo affidamento (indicata anche come
«aspettativa legittima»), che nel precedente motivo è stata trattata sotto il profilo della pretesa mancanza di motivazione.
4.1. Per come formulato il motivo è inammissibile, sia perché pone una questione di fatto (valutazione del concreto contegno del lavoratore e della pubblica amministrazione), sia perché l’illustrazione si limita a un breve cenno alla tutela del legittimo affidamento quale «principio generale tanto dell’ordinamento costituzionale interno, quanto del diritto e dell’ordinamento comunitario» , senza condurre una specifica critica all’uso che di tale principio è fatto nella sentenza impugnata.
Il quinto motivo è rubricato «violazione dei termini (di 120 e 40 giorni) del procedimento disciplinare e decadenza dall’azione, art. 55 -bis , commi da 1 a 4, d.lgs. 165/2001 (art. 360, n. 3, c.p.c.)».
Con questo motivo l ‘attenzione si sposta sugli aspetti procedimentali dell’irrogazione della sanzione disciplinare . Secondo il ricorrente non sarebbero stati rispettati né il termine di 120 giorni per la conclusione del procedimento, né quello di 40 giorni per la contestazione dell’addebito.
5.1. Il motivo è in parte infondato e, per il resto, inammissibile.
5.1.1. Trova applicazione, nel caso di specie, il testo dell’art. 55 -bis del d.lgs. n. 165 del 2001 vigente all’epoca, anteriore alle modifiche apportate dall’art. 13 de l d.lgs. n. 75 del 2017 e integralmente riportato nella sentenza impugnata.
La Corte d’Appello ha individuato il dies a quo per il computo dei termini alla data del 20.2.2012, constatando, quindi, sia la tempestività della contestazione da parte dell’Ufficio del Procedimento Disciplinare (12.3.2012), da effettuare entro 40 giorni, sia quella della conclusione del
procedimento (1°.6.2012), che deve intervenire entro 120 giorni.
Vi è, nella motivazione della sentenza, una imprecisione, perché, a pag. 19, si indica il 20.2.2012 quale data di «formalizzazione degli addebiti», mentre, a pag. 18, si distinguono, correttamente, la data di segnalazione del possibile illecito all’U.P.D. da parte del Settore Gestione Risorse (appunto il 20.2.2012) e la data della contestazione dell’addebito al lavoratore da parte dell’U.P.D. (12.3.2012).
Inoltre, dalla lettura della sentenza si evince che il ricorrente consegnò il 6.2.2012 alla Direzione provinciale di Milano la documentazione richiesta e ritenuta necessaria per verificare la legittimità o meno dell ‘ assenza, sicché -alla luce dell’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 -sarebbe stato corretto individuare in tale data la decorrenza del termine per la conclusione del procedimento disciplinare, che decorre dalla «prima acquisizione della notizia dell’infrazione, anche se avvenuta da parte del responsabile della struttura in cui il dipendente lavora» (è infatti irrilevante, ai fini della decorrenza, il tempo necessario al responsabile dell’ufficio di appartenenza per completare l ‘ esame della documentazione ricevuta ed esprimere la propria valutazione in ordine alla rilevanza disciplinare dei fatti denunciati: Cass. n. 1164/2024).
Tuttavia, entrambe le imprecisioni sono irrilevanti, perché anticipare al 6.2.2012 il dies a quo del termine per la conclusione del procedimento disciplinare, così come considerare il 12.3.2012 quale dies ad quem per la formale contestazione dell’illecito , mantiene comunque inalterato il rispetto di entrambi i termini perentori.
5.1.2. La censura del ricorrente è infatti basata sulla diversa prospettazione che la «prima acquisizione della notizia
dell’infrazione» risalga , in realtà, a molto tempo prima del 6.2.2012, indicando varie date del 2010 e del 2011 in cui sarebbe documentata la conoscenza, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della sua assenza dal lavoro.
La tesi non è però condivisibile, perché la conoscenza dell’assenza dal lavoro è cosa ben diversa dalla conoscenza degli elementi di fatto che connotano quell’assenza come illecita. L’interpretazione data dalla Corte d’Appello all’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. n. 165 del 2001 e, in particolare, al concetto di «prima acquisizione della notizia dell’infrazione» è conforme a quella recepita nella giurisprudenza di legittimità, essendosi statuito che « la notizia di infrazione è acquisita all’esito di tutti quegli accertamenti che -secondo una valutazione di ragionevolezza da compiersi ex ante -avrebbero potuto apportare elementi utili alla contestazione della condotta in rilievo o di quelle connesse »; e si è ritenuta invece « Irragionevole l’interpretazione di segno opposto … che comporterebbe il decorso del termine iniziale per la conclusione del procedimento fin dal primo risultato utile alla contestazione, senza possibilità di compiere i necessari accertamenti atti, secondo una valutazione prognostica anticipata, a colorare di maggiore o minor disvalore la condotta in rilievo o quelle connesse in modo da poter -se del caso -procedere alla contestazione disciplinare nel pieno rispetto dei principi di proporzionalità e di adeguatezza della sanzione » (Cass. n. 14896/2024; analogamente, v. Cass. nn. 9313/2021; 21193/2018; 16706/2018; 7134/2017).
5.1.3. Infondato è, pertanto, il motivo di ricorso laddove propone un’interpretazione che riduce la «prima acquisizione della notizia dell’infrazione» alla mera conoscenza del fatto in sé dell’assenza dal lavoro.
È invece inammissibile, perché attinente alla valutazione del merito, la diversa opinione del ricorrente -rispetto a quella della Corte d’Appello riguardo alla necessità dei documenti consegnati il 6.2.2012 ai fini della effettiva e definitiva acquisizione della notizia dell’infrazione , da intendersi nei termini sopra precisati. Diversa opinione del ricorrente che viene motivata con riferimenti diretti al l’apprezzamento del materiale istruttorio disponibile.
6. Il sesto motivo censura «violazione dell’art. 41 della Carta dei Diritti Fondamentali della U.E.; dell’art. 117 Cost. e della norma interposta art. 6 della CEDU; degli artt. 97 e 111 Cost. (art. 360, n. 3, c.p.c.). Difetto di imparzialità e terzietà dell’UPD monocratico, perché riunisce anche le funzioni di Direttore Generale e Capo Ufficio Disciplina: segnalatore, istruttore e giudice sono cumulati nella stessa persona».
Sempre con riguardo agli aspetti procedimentali della sanzione disciplinare, il ricorrente prospetta l’illegittimità della norma organizzativa interna dell’Agenzia delle Entrate che non garantirebbe «l’imparzialità oggettiva dell’organo giudicante».
6.1. Il motivo è infondato, perché le norme e i principi che si assumono violati riguardano il procedimento giurisdizionale e il giudice, mentre il principio di terzietà dell ‘ U.P.D., pur postulandone la distinzione sul piano organizzativo rispetto alla struttura nella quale opera il dipendente, non va confuso con il principio di imparzialità dell ‘ organo giudicante, che solo un soggetto terzo può assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie per il dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, che è parte del rapporto (v. Cass. nn. 15239/2021; 1753/2017).
Quanto poi alla legittimità delle norme di organizzazione interna dell’Agenzia delle Entrate , non è corretta la rubrica del
motivo laddove si afferma che lo stesso soggetto (Direttore regionale) avrebbe cumulato in sé i ruoli di segnalatore, istruttore e «giudice». Infatti, nella sentenza, ma anche nell’illustrazione del motivo, si dà atto che la segnalazione dell’illecito al Direttore regionale (U.P.D. monocratico) venne fatta dal Settore ( alias Ufficio) Gestione Risorse.
Il settimo motivo propone una «eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 55 -bis , comma 4, d.lgs. 165/2001 in parte qua . Violazione dell’art. 111, comma 2, Cost. c.c. , dell’art. 41 del Trattato U.E., dell’art. 117 Cost. in relazione alla norma interposta art. 6 CEDU e dell’ art. 97 Cost. (art. 360, n. 3, c.p.c. e art. 23 legge cost. 11.3.1953)».
Il motivo riprende la stessa questione posta con il motivo precedente, questa volta sub specie di questione di legittimità costituzionale della normativa sul procedimento disciplinare nel pubblico impiego, se non interpretabile in senso conforme ai già invocati principi di rango costituzionale, anche tramite il rinvio alle norme interposte sovranazionali.
7.1. Il motivo è inammissibile, perché prospettare una questione di legittimità costituzionale è cosa diversa e incompatibile con la denuncia di un vizio di violazione di norme di diritto nella sentenza impugnata. Infatti, la Corte d’Appello non avrebbe potuto certo disapplicare la legge (in ipotesi) incostituzionale, né potrebbe questa Corte cassare la sentenza per non avere il giudice d’appello sollevato la questione davanti alla Corte costituzionale.
7.2. Rimane l’implicita sollecitazione a sollevare la questione in questa sede di legittimità, dovendosi peraltro rilevare la manifesta infondatezza della questione stessa, in quanto basata sulla già rilevata confusione tra terzietà
dell’U.P.D. e imparzialità del giudice , alla quale ultima soltanto si riferiscono i principi invocati.
Con l’ ottavo motivo si censura «violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 1, prot. 1, CEDU ex art. 117 Cost. Omessa pronuncia (art. 360, n. 4, c.p.c.). Restituzione di retribuzione percepita contro l’affidamento determinato dall’amministrazione dal 2004 (§ 101 appello)».
Il motivo riprende un argomento già trattato, sotto altro profilo, nei primi due motivi, ovverosia quello della rilevanza del comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione con riguardo al primo congedo straordinario ai fini della induzione nel ricorrente di un incolpevole affidamento sulla legittimità del proprio comportamento in occasione del secondo congedo straordinario.
8.1. Il motivo è palesemente inammissibile, perché si prospetta un vizio di «omessa pronuncia», con riferimento non a una domanda o eccezione di parte, bensì a un argomento utilizzato a sostegno di una domanda.
La questione potrebbe quindi porsi, a tutto concedere, nei termini di una assenza di motivazione sul punto, ma deve essere qui ribadito quanto già ricordato decidendo sul terzo motivo in merito ai limiti in cui il difetto di motivazione può essere censurato con il ricorso per cassazione.
Il nono motivo è rubricato «violazione dell’art. 11 ‘preleggi’ in relazione all’ art. 2 legge n. 476/1984, art. 117 Cost. in relazione all’art. 7 CEDU degli artt. 3 e 97 Cost. (art. 360, n. 3, c.p.c.). Violazione della parità di trattamento fra dipendenti pubblici».
Il motivo è volto a sostenere la legittimità dell’assenza dal lavoro prolungata dopo la scadenza del dottorato di ricerca presso l’Università di Milano, per essersi il ricorrente iscritto ad
un ulteriore (terzo) corso di dottorato presso l’Università LUM di Casamassima, e prospetta che la contraria decisione della Corte d’Appello sia basata su un’indebita applicazione retroattiva dell’art. 2 della legge n. 476 del 1984 , come modificato dall’art. 19, comma 3, della legge n. 240 del 2010.
9.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.
La modifica legislativa cui fa riferimento il ricorrente ha aggiunto, ne ll’art. 2 della legge n. 476 del 1984 , le parole «compatibilmente con le esigenze dell ‘ amministrazione», ponendo una condizione all’accoglimento della domanda del pubblico impiegato di usufruire del congedo straordinario per frequentare un corso di dottorato di ricerca. Secondo il ricorrente, tale modifica non era ancora in vigore quando egli si iscrisse al terzo dottorato di ricerca presso l’Università LUM di Casamassima, sicché -si sostiene -il congedo per dottorato doveva intendersi «automaticamente riconosciuto alla ricorrenza dei due requisiti dell’ammissione al corso e della qualità di dipendente pubblico».
Sennonché, nella motivazione della sentenza impugnata, non viene affatto valorizzata la sopravvenuta discrezionalità dell ‘amministrazione nell’accordare il congedo straordinario , mentre si sottolinea che «nessuna domanda di congedo straordinario per la partecipazione a tale Dottorato era stata presentata dal COGNOME». E non vi è dubbio che l’art. 2 della legge n. 476 del 1984, anche nel testo previgente alla riforma, stabiliva che il pubblico dipendente è collocato in congedo straordinario «a domanda» e non «automaticamente» per il semplice fatto di essere stato ammesso a un corso, all’insaputa del datore di lavoro.
Ciò fermo restando che la Corte d’Appello ha comunque considerato anche altri aspetti, quale il fatto che le lezioni del corso di dottorato presso la LUM iniziarono dopo più di un anno dalla scadenza della durata del corso del dottorato presso l’Università di Milano.
10. Il decimo motivo denuncia la «violazione del diritto di difesa del lavoratore art. 24 Cost. e dell’a rt. 2733 c.c. (art. 360, n. 3, c.p.c.)».
Il ricorrente censura la mancanza di un formale invito del datore di lavoro a riprendere servizio, una volta constatata l’assenza ingiustificata d el dipendente, e si sofferma su alcune pretese irregolarità del procedimento disciplinare.
10.1. Il motivo è inammissibile perché manca un comprensibile collegamento tra le disposizioni indicate in rubrica come norme di diritto violate e le circostanze descritte nella successiva illustrazione, in modo tale da poter discernere la prospettazione di un vizio della sentenza censurabile in sede di legittimità.
L’undicesimo motivo prospetta «violazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla censura di violazione degli artt. 9 e 33, comma 6, 34 Cost., autonomia della ricerca scientifica; art. 3 Cost. e art. 7, comma 2, d.lgs. n. 165/2001, prerogative e ordinamento ricerca scientifica (art. 360, n. 4, c.p.c. ed ai fini dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c.)».
Si sostiene che la sentenza della Corte territoriale «conculca il diritto del ricorrente alla ricerca scientifica secondo le norme in vigore, con vantaggi del pubblico datore di lavoro, e lo subordina alle esigenze spicciole della Pubblica Amministrazione».
11.1. Anche questo motivo è inammissibile perché si prospetta un’omessa pronuncia, non su una domanda o una eccezione, bensì su una specifica argomentazione svolta a sostegno della domanda su cui la Corte d’Appello, con il rigetto, si è pronunciata.
12. Il dodicesimo motivo denuncia «violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla censura di violazione de ll’ art. 3 e dell’ art. 7, comma 1, d.lgs. n. 165/2001, disparità di trattamento, violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità art. 97 Cost. (art. 360, n. 4, in subordine n. 3, c.p.c.). Due profili ai fini dell’art. 360 -bis , n. 1, c.p.c.».
Il ricorrente sostiene di avere subito una ingiustificata disparità di trattamento rispetto a quanto avvenuto nei confronti dei dipendenti di altre pubbliche amministrazioni, ai quali sarebbe stata riconosciuta -tramite decisioni dei giudici contabili e amministrativi -la proroga del congedo straordinario oltre la durata legale del corso di dottorato di ricerca.
12.1. Il motivo è inammissibile, perché ancora una volta si prospetta un’omessa pronuncia con riferimento a un argomento speso a sostegno della domanda e non con riferimento alla domanda stessa.
Deve essere comunque evidenziato che il divieto di trattamento discriminatorio di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 165 del 2001 è cosa ben diversa dall’obbligo di parità di trattamento contrattuale, che è posto -con riferimento particolare al trattamento economico -dall’art. 45 del medesimo d.lgs. e che opera solo all’inte rno della singola amministrazione. In nessun caso al ricorrente potrebbe essere accordato un trattamento diverso da quello previsto dalla legge per il fatto, asserito, che ne avrebbero goduto alcuni dipendenti di altre amministrazioni pubbliche.
13. Con il tredicesimo motivo è svolta la seguente censura: «violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura di omessa pronuncia di domanda in primo grado, in relazione alla lesione dei doveri generali di lealtà, buona fede e correttezza e del divieto di contraddire al fatto proprio (art. 360, n. 4). Violazione del principio di legalità in materia di sanzioni afflittive: accessibilità, chiarezza, tassatività, irretroattività. Violazione art. 7 CEDU».
Il ricorrente ravvisa, nel comportamento tenuto dalla datrice di lavoro nei suoi confronti, la violazione dei doveri generali di correttezza e torna sulla questione della applicazione retroattiva del testo novellato dell’art. 2 della legge n. 476 del 1984.
13.1. Il motivo è inammissibile per la consueta ragione (non si prospetta un’omessa pronuncia, ma, a tutto concedere, una omessa esplicita risposta a un determinato argomento posto a sostegno della domanda) e perché, come si è già scritto sopra, la sentenza impugnata non è affatto basata sull’applicazione retroattiva del la modifica dell’art. 2 della legge n. 476 del 1984 apportata dalla legge n. 240 del 2010.
14. Il quattordicesimo motivo prospetta «nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice collegiale ex art. 158 c.p.c. Illegittimità costituzionale degli artt. da 62 a 72 legge 98/2013 che converte il d.l. 69/2013, a cospetto degli artt. 102, comma 1, 106, commi 1 e 2, Cost. (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Si sostiene che la sentenza impugnata sia nulla, perché pronunciata da un collegio di cui faceva parte un giudice ausiliario, in violazione del principio costituzionale che riserva la funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari selezionati per concorso, mentre la legge può prevedere che giudici onorari
siano assegnati solo allo svolgimento di funzioni monocratiche (art. 106, comma 2, Cost.).
14.1. Il motivo è infondato, in quanto riferito all’art. 158 c.p.c., dal momento che il collegio è stato costituito in conformità alle norme di legge di cui si prospetta solo la illegittimità costituzionale.
Quanto a quest’ultima, la questione è già stata risolta dalla sentenza n. 41/2021 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, ma solo « nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116 ».
15. Anche il quindicesimo motivo pone una censura di omessa pronuncia, nei seguenti termini: «violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su censura di violazione del combinato disposto dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 55 -bis , comma 5, d.lgs. n. 165/2001 (art. 360, n. 4, c.p.c.). Violazione dell’obbligo di diligenza, collaborazione e lealtà del funzionario di grado superiore anche in sede di accesso. Violazione del diritto di difesa».
Il ricorrente si duole che la Corte territoriale non si sia pronunciata sulla censura avente ad oggetto la violazione del diritto di accesso del lavoratore agli atti istruttori del procedimento disciplinare, con conseguente violazione del suo diritto alla difesa in quel procedimento.
15.1. Il motivo è inammissibile, sia perché cerca ancora una volta di presentare in termini di omessa pronuncia la mancanza di una analitica considerazione di ogni singolo argomento portato a sostegno della domanda respinta dal
giudice, sia perché il fugace cenno all’art. 2087 c.c. manca di specificità, con riferimento all’indicazione d i se, come, quando e dove una domanda di risarcimento del danno ai sensi di tale disposizione fosse stata proposta nel giudizio di primo grado.
16. Il sedicesimo motivo propone un’ulteriore censura di omessa pronuncia: «violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull ‘eccepita nullità degli atti firmati dai dirigenti incaricati senza concorso (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Il ricorrente osserva che «con la sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale tutti i dirigenti incaricati senza concorso sono decaduti, tra di essi anche il dott. NOME COGNOME e il dott. NOME COGNOME».
16.1. Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente non indica se, dove, come e quando la relativa eccezione fosse stata sollevata nel giudizio di merito.
Inoltre, non si tratta di questione di puro diritto, implicando l’allegazione, in fatto, senza che ciò risulti dalla sentenza, che la decadenza abbia riguardato anche funzionari che abbiano avuto un ruolo decisivo nell’applicazione della sanzione al ricorrente e il cui intervento sia consistito nell’adozione di atti per la cui validità la qualifica di dirigente fosse requisito essenziale.
17. Il penultimo motivo denuncia «violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., relativa alla nullità della revoca della progressione economica (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Si contesta che la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata «sulla censura dell’errore del Tribunale circa la mancata notifica al lavoratore della nota datoriale del 6.7.2012 … che revocava la progressione economica» .
17.1. Il motivo è inammissibile, sia perché non si può trattare di un’ omessa pronuncia, a fronte di un rigetto, perlomeno implicito, di tutte le domande svolte dal lavoratore, sia per mancanza di specificità, dal momento che il ricorrente non spiega se e in che modo il preteso «errore del Tribunale» avrebbe influito sull’esito del processo.
Infine, il diciottesimo motivo censura «violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla censura alla sentenza di primo grado, nella parte in cui non ha riconosciuto le ferie maturate fino a marzo 2007 e non godute (art. 360, n. 4, c.p.c.)».
Si afferma che «in base al prospetto orario del marzo 2007» risulterebbero 20 giorni di ferie maturate e non godute, poi non più riportati, senza alcuna giustificazione, nei prospetti successivi. E ci si duole che la Corte territoriale non si sia pronunciata sul punto.
18.1. Anche questo motivo è inammissibile per mancanza di specificità, posto che, nella brevissima sua illustrazione, il ricorrente non indica in che modo e in che termini la questione era stata posta in primo grado e nel giudizio d’appello.
Due brevi considerazioni si rendono necessarie a completamento della motivazione.
19.1. Il contro ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in quanto depositato tardivamente rispetto alla data di notificazione al ricorrente, deve essere dichiarato improcedibile (v. Cass. n. 18091/2005; orientamento costante a partire da Cass. S.U. 3062/1979).
19.2. Il ricorrente ha depositato ben oltre il termine di dieci giorni anteriori alla data fissata per la camera di consiglio un ulteriore atto («Sintesi dei motivi con documenti richiamati nel ricorso») e documenti, di cui non è possibile tenere alcun
conto, in mancanza di istanza di rimessione in termini e non trattandosi di documenti sopravvenuti rispetto alla scadenza del termine.
20. Rigettato il ricorso, non si dà luogo a decisione sulle spese legali, data l’improcedibilità del controricorso depositato dall’Agenzia delle Entrate, mentre le altre controparti individuate dal ricorrente sono rimaste intimate.
21. Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della