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Conflitto interessi avvocato: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha confermato le sanzioni disciplinari a due avvocati per conflitto di interessi. I legali avevano avviato un’azione legale per il recupero dei compensi contro una loro cliente senza prima rinunciare a tutti gli incarichi professionali conferiti dalla stessa. La Corte ha stabilito che tale condotta costituisce un illecito disciplinare di natura permanente, che cessa solo con la fine della situazione di conflitto. Di conseguenza, la prescrizione dell’azione disciplinare decorre da quel momento e non dalla data di inizio dell’azione legale contro il cliente.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Conflitto interessi avvocato: agire contro il cliente è illecito permanente

Il rapporto tra avvocato e cliente si fonda su un pilastro inscalfibile: la fiducia. Ma cosa accade quando l’avvocato, per recuperare i propri onorari, si trasforma in controparte del suo stesso assistito? Una recente ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione ha ribadito con forza un principio fondamentale: il conflitto interessi avvocato che sorge in questi casi è un illecito disciplinare grave e di natura permanente, e il consenso del cliente non basta a sanarlo.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda due legali che, per recuperare i compensi professionali maturati, avevano ottenuto un decreto ingiuntivo e iscritto un’ipoteca giudiziaria sui beni di una loro cliente. Il problema? Durante l’intera azione legale, i professionisti non avevano rinunciato agli altri mandati difensivi che la cliente aveva loro conferito in diverse cause civili e penali.

Questa situazione ha portato all’apertura di un procedimento disciplinare. Il Consiglio di Disciplina territoriale ha sanzionato entrambi gli avvocati (con un richiamo verbale per chi aveva avuto un ruolo marginale e una censura per chi aveva gestito direttamente la pratica), decisione poi confermata in appello dal Consiglio Nazionale Forense (CNF).

La Decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il CNF ha rigettato il ricorso dei legali, sottolineando come l’articolo 34 del Nuovo Codice Deontologico Forense sia categorico: l’avvocato che intende agire contro il cliente per il pagamento delle proprie prestazioni deve previamente rinunciare a tutti gli incarichi ricevuti da quel cliente. Questa norma, secondo il CNF, non ammette deroghe, nemmeno con il consenso dell’assistito, poiché tutela un interesse superiore legato alla dignità e alla correttezza della professione forense. Agire contro il proprio cliente, mantenendo al contempo la sua difesa in altre sedi, crea una palese e intollerabile contrapposizione di interessi.

Il Conflitto Interessi Avvocato secondo la Cassazione

Investite della questione, le Sezioni Unite della Cassazione hanno respinto tutti i motivi di ricorso presentati dai legali, consolidando i principi già espressi dal CNF. I giudici hanno chiarito che il conflitto interessi avvocato in questa fattispecie non è un illecito istantaneo, che si consuma nel momento in cui si deposita il ricorso per decreto ingiuntivo. Al contrario, si tratta di un illecito permanente.

La condotta illecita, infatti, perdura per tutto il tempo in cui coesistono la posizione di creditore (che agisce in giudizio) e quella di difensore. La violazione cessa solo quando la situazione di conflitto viene meno, ovvero con la rinuncia a tutti i mandati o, come nel caso di specie, con l’estinzione del debito da parte del cliente, che ha posto fine alla contrapposizione.

Prescrizione e la Natura Permanente dell’Illecito

Uno dei punti chiave sollevati dai ricorrenti riguardava la prescrizione dell’azione disciplinare. Essi sostenevano che il termine dovesse decorrere dal 2014, anno di emissione del decreto ingiuntivo. La Cassazione ha smontato questa tesi, spiegando che, proprio in virtù della natura permanente dell’illecito, il termine di prescrizione (di sei anni, secondo la nuova legge professionale) inizia a decorrere solo dal giorno in cui la condotta illecita è cessata.

Nel caso specifico, il CNF aveva correttamente individuato la data di cessazione nel dicembre 2018, momento in cui la cliente aveva saldato il debito, ponendo fine al conflitto. Poiché il procedimento disciplinare era stato avviato prima della scadenza dei sei anni da tale data, l’azione non era prescritta.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su alcuni pilastri giuridici. In primo luogo, ha ribadito che le norme deontologiche non sono a disposizione delle parti. Il dovere di evitare conflitti di interesse tutela l’immagine e la credibilità dell’intera professione legale, un bene pubblico che non può essere derogato da un accordo privato tra avvocato e cliente. L’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’avvocato sarebbe irrimediabilmente compromesso se fosse consentito a un difensore di essere contemporaneamente avversario del proprio assistito.

In secondo luogo, la Corte ha respinto la tesi dell’applicazione di un overruling imprevedibile. Il principio secondo cui è necessario rinunciare al mandato prima di agire contro il cliente è un caposaldo consolidato della deontologia forense, non una novità giurisprudenziale. Infine, ha chiarito che l’illecito disciplinare è atipico: non è necessaria una descrizione tassativa di ogni singola condotta vietata, essendo sufficiente la violazione dei doveri generali di probità, dignità e lealtà.

Conclusioni

La pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione invia un messaggio inequivocabile a tutti i professionisti legali. Il recupero del proprio credito, per quanto legittimo, non può mai avvenire a discapito dei doveri deontologici fondamentali. Prima di intraprendere qualsiasi azione legale contro un cliente per il pagamento degli onorari, è imperativo e non negoziabile rinunciare a tutti gli incarichi professionali in essere con quello stesso cliente. In caso contrario, si configura un illecito disciplinare permanente, con il rischio che la sanzione possa essere irrogata anche a distanza di molti anni dall’inizio della condotta.

Un avvocato può agire legalmente contro un proprio cliente per recuperare i compensi non pagati?
Sì, ma solo dopo aver preventivamente rinunciato a tutti gli incarichi professionali conferitigli da quel cliente. L’articolo 34 del Codice Deontologico Forense impone questo obbligo per evitare un conflitto di interessi.

Il consenso del cliente a essere citato in giudizio dal proprio avvocato elimina il conflitto di interessi?
No. Secondo la sentenza, la norma deontologica che vieta di agire contro il proprio assistito senza rinunciare al mandato è inderogabile. Essa tutela l’interesse pubblico alla dignità e correttezza della professione legale, e quindi non può essere superata da un accordo privato tra le parti.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per un illecito disciplinare di natura permanente, come il conflitto di interessi?
La prescrizione inizia a decorrere non dal momento in cui inizia la condotta illecita, ma dal giorno in cui essa cessa. Nel caso specifico, la condotta di conflitto di interessi è cessata quando il cliente ha estinto il debito, ponendo fine alla contrapposizione con i propri legali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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