Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5545 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5545 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1313/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di VERONA n. 4417/2017 depositato il 13/11/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto del 6.5.2016 il MISE ha disposto l’ Amministrazione straordinaria ex “Legge Marzano” per le società del ‘RAGIONE_SOCIALE‘: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
1.1. -Il 15.10.2016 RAGIONE_SOCIALE società appartenente allo stesso gruppo ma rimasta “in bonis”, ha chiesto ammettersi al passivo della procedura di Amministrazione straordinaria di RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE la somma di € 1.111.940,18 a titolo di canoni di locazione (di cui € 857.662,41 in via privilegiata ed € 254.277,77 in prededuzione per quelli maturati dopo l’ apertura della procedura concorsuale e sino alla cessazione dell’occupazione degli immobili) su un immobile pervenuto in sua proprietà per effetto di una complessa vicenda (così ricostruita dal tribunale: « Negli esercizi 1995 e 1998 RAGIONE_SOCIALE acquisì dal Comune di Villafranca di Verona, in parte mediante concessione ed in parte mediante acquisto, alcuni lotti relativi a terreni edificabili siti nel territorio comunale, per un corrispettivo pari, quanto agli immobili acquistati, ad € 500.000,00 oltre Iva. A partire dal 1995 RAGIONE_SOCIALE conferì alla controllante (all’epoca denominata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed in seguito divenuta RAGIONE_SOCIALE) un mandato per la costruzione di un compendio industriale sui predetti terreni, la cui realizzazione venne completata nel 1999. Il 22 maggio 2004 il Consiglio di Amministrazione di RAGIONE_SOCIALE preso atto di un’offerta pervenuta da Intesa Leasing per la cessione dell’immobile, avendone ritenuto la convenienza economica, delibera di cederlo ad un prezzo non inferiore ai 6 milioni di euro -determinato sulla base di una relazione di stima elaborata circa un mese prima. Nella stessa data, il Consiglio di Amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, dato atto che erano in procinto di realizzarsi tre operazioni di leasing immobiliare relative a tre complessi industriali siti in Villafranca di Verona, deliberò la sottoscrizione di tre contratti di leasing, uno dei quali riferito al capannone di INDIRIZZO. Successivamente, anziché
procedere alla vendita da RAGIONE_SOCIALE a Intesa RAGIONE_SOCIALE, ed alla successiva stipula di un contratto di leasing tra quest’ultima e RAGIONE_SOCIALE, il 23 marzo 2005 l’immobile venne venduto direttamente a RAGIONE_SOCIALE al corrispettivo di 6 milioni, oltre Iva, e pochi giorni dopo, il 28 aprile 2005, RAGIONE_SOCIALE sottoscrisse con Intesa Leasing un contratto con il quale le trasferì la proprietà dell’immobile in precedenza acquistato da RAGIONE_SOCIALE, al medesimo prezzo di 6 milioni, rientrando contestualmente nella disponibilità dell’immobile mediante la stipula di un contratto di leasing, e cedendo ad Intesa Leasing, a garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti con tale contratto, i crediti maturanti nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in forza del contratto di locazione nel frattempo (in data 21 aprile 2005) stipulato con la stessa »).
1.2. -Il Giudice delegato ha escluso il credito, ritenendo non infondate le eccezioni dei Commissari straordinari, e in specie «la contestazione sull’operazione negoziale relativa all’immobile e sulla conseguente simulazione del contratto di locazione, tenuto conto della logica infragruppo», trattandosi di contratto «in palese conflitto di interessi, che dissimula diversa causa (finanziamento) da quella apparente».
1.3. -Il Tribunale di Verona ha rigettato l’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta da RAGIONE_SOCIALE, ritenendo infondata l’eccezione di simulazione dell’operazione negoziale (in quanto effettivamente posta in essere nell’ambito di un processo di riorganizzazione delle varie societ à̀ del Gruppo, tutte riferibili alla famiglia RAGIONE_SOCIALE, volto a distinguere le attività industriali da quelle immobiliari e concentrare indirettamente queste ultime in capo a RAGIONE_SOCIALE) ma invece fondata l’eccezione di annullamento «del contratto di locazione per conflitto di interessi ai sensi dell’art. 2475 ter c.c.».
1.4. -Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione in due motivi, cui RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione straordinaria ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Con ordinanza interlocutoria è stata disposta la trattazione del ricorso all’udienza del 16 gennaio 2025, unitamente agli analoghi ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE contro altre quattro società del gruppo poste in Amministrazione straordinaria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. -Con il primo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2475 ter e 1394 c.c., per avere il tribunale, in modo irragionevole e contraddittorio, da un lato respinto la tesi della natura simulata dell’operazione (perciò ritenuta evidentemente legittima, efficace e opponibile alla procedura di RAGIONE_SOCIALE ), dall’altro accolto la tesi della sussistenza di un conflitto di interessi, peraltro discostandosi immotivatamente dalla perizia di parte prodotta dall’opponente senza nemmeno disporre apposita c.t.u. sul pregiudizio arrecato a RAGIONE_SOCIALE -e assumendo « un’ottica meramente ex post », a fronte di operazioni « risalenti all’anno 200 5 », e dunque poste in essere « ben dieci anni prima l’insorgenza dello stato di crisi del Gruppo Tosoni », quando « non poteva oggettivamente individuarsi alcun intento pregiudizievole per RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE ».
In particolare, si deduce che il tribunale avrebbe rilevato il conflitto di interessi senza tener conto: i) che « RAGIONE_SOCIALE non è stata mai titolare di alcun contratto di leasing, bensì è venuta per la prima volta nella disponibilità dell’immobile solo per effetto della stipulazione del contratto di locazione », con suo conseguente difetto di legittimazione « a lamentare alcunché riguardo al trasferimento a RAGIONE_SOCIALE di un contratto di leasing che, in realtà, non ha mai fatto parte del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE »; ii) che non vi era perfetta coincidenza tra i componenti degli organi di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (del cui CdA faceva parte anche NOME COGNOME , mai stato componente dell’organo amministrativo di RAGIONE_SOCIALE); iii) che nessuno degli amministratori ha mai contestato l’operazione e che, in ogni caso, quando è stata assunta la delibera che l’ha autorizzata il voto dei signori COGNOME non è stato rilevante; iv) che la delibera avente ad oggetto l’operazione non è stata impugnata, mentre i C ommissari straordinari hanno proposto contro amministratori e sindaci di RAGIONE_SOCIALE un’azione di responsabilità e risarcimento danni anche con riguardo a quella operazione, senza che il tribunale abbia disposto la sospensione del giudizio di opposizione ai sensi dell’ art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio ex art. 2476 c.c.
pendente dinanzi alla Sezione specializzata del Tribunale di Venezia; v) che il danno ravvisato è del tutto assente, perché RAGIONE_SOCIALE non ha mai stipulato il contratto di leasing, essendo stata RAGIONE_SOCIALE a stipulare in data 21.4.2005 il contratto di locazione dell’immobile di cui si discute poi ceduto a RAGIONE_SOCIALE per effetto della cessione di ramo d’azienda del 22.12.2014 -mentre il 28.4.2005 si è perfezionato il contratto di leasing tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; vi) che neppure occorre valutare il merito economico dell’operazione, posto che « titolare del contratto di leasing era RAGIONE_SOCIALE, e non RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE, e quando RAGIONE_SOCIALE è subentrata nel contratto di locazione lo stesso era già in essere ».
2.1. -Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. per « errore di percezione di risultanze istruttorie determinanti ai fini del decidere », in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., poiché il tribunale avrebbe accertato, ai fini del rilevato conflitto di interessi, « un danno, certo ed immediato, a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, danno che non risulta essere stato in alcun modo compensato, né all’epoca del compimento dell’operazione, né successivamente », senza ‘ contestare ‘ la perizia di parte prodotta da RAGIONE_SOCIALE, nella quale si concludeva che l’operazione in questione aveva al contrario « ingenerato oneri e costi in capo a RAGIONE_SOCIALE e solo vantaggi per RAGIONE_SOCIALE e le altre società facenti parte del Gruppo », poiché la prima, assumendo il ruolo di società immobiliare del gruppo, preservata dalle procedure concorsuali, « in sede di elaborazione del progetto di ristrutturazione » della domanda prenotativa di concordato in continuità ex art. 161 co. 6 l.fall., « avrebbe dovuto assumere un ruolo essenziale ai fini del buon esito delle procedure di concordato fungendo da ‘perno’ sul quale innestare la manovra finanziaria a servizio dei piani concordatari ».
-Viene preliminarmente al vaglio l ‘eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente con riguardo al primo motivo, in ragione della mancata impugnazione della delibera del Consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE o, comunque, della mancata sospensione del giudizio di opposizione ai sensi
dell’ art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio di responsabilità ex art. 2476 c.c. promosso dai Commissari straordinari.
3.1. -Come noto, l ‘art. 2475 -ter c.c. (post riforma societaria del 2003) consta di due commi: il primo dispone che «I contratti conclusi dagli amministratori che hanno la rappresentanza della società in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, con la medesima possono essere annullati su domanda della società, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo»; il secondo prevede che «Le decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora le cagionino un danno patrimoniale, possono essere impugnate entro novanta giorni dagli amministratori e, ove esistenti, dai soggetti previsti dall’articolo 2477. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della decisione».
3.2. -Secondo una parte degli interpreti, il primo comma troverebbe applicazione quando la RAGIONE_SOCIALE sia amministrata da un amministratore unico, o in presenza di un’amministrazione disgiuntiva o congiuntiva ai sensi dell’art. 2475 c.c., purché non si sia in presenza di un consiglio di amministrazione, né di un procedimento collegiale che richieda l’espressione di un voto in senso tecnico, nel qual caso sarebbe applicabile il secondo comma, che contempla l’impugnabilità, entro tre mesi, delle decisioni adottate dall’organo di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE assunte in conflitto di interessi (e cioè quando al vantaggio, anche potenziale, dell’amministratore fa riscontro lo svantaggio, o anche un minor vantaggio, della società) se adottate col voto determinante dell’amministratore interessato.
Si sostiene altresì che anche il contratto concluso dal legale rappresentante in esecuzione di una decisione degli amministratori viziata da conflitto di interessi sarebbe annullabile ai sensi del primo comma dell’art. 2475 -ter c.c., a condizione però che vi siano stati margini di discrezionalità nella definizione del contenuto negoziale, diversamente venendo in rilievo l’art. 1395 c.c. (per cui il contratto concluso con sé stesso dal rappresentante in conflitto di
interessi non è annullabile se il suo contenuto è stato predeterminato dal rappresentato), con la conseguenza che la società, per sciogliersi dalle obbligazioni derivanti dall’ attuazione di una decisione assunta col voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi, avrebbe l’onere di impugnare la decisione (fatti salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede).
3.3. -Anche in giurisprudenza si è ribadito, dopo la riforma societaria del 2003, che mentre l’art. 2391 c.c. (per le s.p.a.) è destinato a disciplinare il conflitto di interessi manifestatosi al momento dell’esercizio del potere deliberativo, l ‘art. 1394 c.c. è diretto a regolare il conflitto di interessi palesatosi al momento dell’esercizio del potere rappresentativo, anche quando, «pur essendovi il consiglio di amministrazione, l’operazione da compiere sia devoluta alla specifica competenza di uno soltanto dei suoi componenti (l’amministratore delegato) che abbia il potere di agire con gli stessi poteri che competono all’amministratore unico e, quindi, senza necessità di un intervento del consiglio», ovvero «il singolo amministratore ponga in essere, in mancanza di una delibera del consiglio di amministrazione, un atto che rientri, invece, nella competenza di tale organo» (Cass. 255/2022), o ancora quando «l’amministratore disattenda le indicazioni contenute nella delibera autorizzativa adottata dal consiglio di amministrazione» proprio per escludere il conflitto di interessi (Cass. 24156/2022), o infine nell’ipotesi in cui l’operatività dell’art. 2391 c.c. resti esclusa per essere stato il contratto «concluso in esecuzione di una deliberazione inficiata per vizio proprio a causa della rilevata sussistenza di un conflitto di interessi, tanto da determinare l’adozione di un successivo annullamento da parte dell’organo legittimato della Gestione commissariale», in via di autotutela (Cass. 20179/2024).
3.4. -Sennonché di tale questione, che implica le molteplici sfaccettature di cui si è sommariamente dato conto, non v ‘ è traccia nella parte motiva del decreto impugnato.
In esso si legge solo (v. pag. 4 s.) che risultano pacifiche le seguenti circostanze: « – RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e la società opponente, all’epoca della conclusione dei contratti (di
leasing e di locazione) de quibus, erano soggetti a direzione e coordinamento dei signori NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, ciascuno dei quali partecipante al 20% del capitale sociale sia di RAGIONE_SOCIALE che di RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima controllante in via totalitaria ed indiretta per il tramite della controllata al 100% RAGIONE_SOCIALE -l’odierna opponente; – i signori NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME erano inoltre, alle stesse date, amministratori sia di RAGIONE_SOCIALE, sia di RAGIONE_SOCIALE; – al momento della conclusione del contratto di locazione fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, dell’organo amministrativo di quest’ultima facevano parte, in particolare, i signori NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, che erano anche componenti dell’organo amministrativo di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; – al momento della cessione a RAGIONE_SOCIALE, da parte di RAGIONE_SOCIALE, del rapporto di locazione con RAGIONE_SOCIALE, il signor NOME COGNOME faceva parte dell’organo amministrativo sia della società cedente che della società cessionaria; – il medesimo soggetto, unitamente ai signori NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, era componente anche dell’organo amministrativo di RAGIONE_SOCIALE, oltre che di RAGIONE_SOCIALE; – fu lo stesso NOME COGNOME nella sua qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione di RAGIONE_SOCIALE ad acquistare il predetto rapporto locatizio (con RAGIONE_SOCIALE), contraendo con il Sig. NOME COGNOME all’epoca Presidente del Consiglio di Amministrazione di RAGIONE_SOCIALE Europe ».
E d anche nel riepilogo delle deduzioni dell’opponente non c’è riferimento a tali aspetti (v. decreto, pag. 1 s.).
Si deve allora concludere che la questione, in quanto posta per la prima volta in questa sede, non può trovarvi ingresso.
3.5. -Va comunque sottolineato che nel caso in esame non viene in rilievo l’azione dell’organo concorsuale diretta all’annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi, bensì la mera eccezione di annullabilità volta a paralizzare una pretesa creditoria fondata su detto titolo, la quale si colloca nell’ampio perimetro, tracciato dall’art. 95, co mma 1, l.fall., del potere del curatore di «eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere, nonché l’inefficacia del titolo su
cui sono fondati il credito o la prelazione, anche se è prescritta la relativa azione».
3.6. -Con riguardo alla pendenza del giudizio di responsabilità promossa dai Commissari straordinari, è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui non v ‘ è spazio per l’adombrata praticabilità della sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. , del giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall.
-Anche il tema dell’identità degli assetti proprietari soffre delle stesse ragioni di inammissibilità per novità della questione.
Nondimeno può segnalarsi che l’ evocata pronuncia di Cass. 24547/2016 attribuisce rilevanza all ‘ eventuale identità delle compagini societarie non già ex sé , ma in combinazione con altri elementi dai quali emerga la piena corrispondenza dell’interesse unico a tutte le parti coinvolte, sicché, per rilevare il conflitto di interessi nel rilascio di una fideiussione da parte di una società a favore del finanziamento di altra società amministrata dallo stesso soggetto, non basta che tutti i soci della prima – sia essa di persone o di capitali -siano anche soci della seconda, con una partecipazione complessivamente tale da garantirne il controllo, ma occorre anche dimostrare che le due società perseguano progetti imprenditoriali di tipo unitario o quantomeno coordinato, perché solo in quel caso il buon andamento della società garantita si riverbera necessariamente a vantaggio della garante.
4.1. -Tale principio è stato anche di recente ribadito, sul presupposto che l’eventuale identità dell’assetto proprietario delle società coinvolte non è sufficiente ad escludere il conflitto di interessi, e che l’accertamento della unitarietà o coordinamento del progetto imprenditoriale passa anche attraverso l’esame dei rispettivi oggetti sociali (v. Cass. 20245/2023, 15033/2024, ove si è valorizzato in senso negativo il fatto che l’oggetto sociale dell’una RAGIONE_SOCIALE consistesse nell’attività di vendita e locazione di immobili, acquisizione di aree fabbricabili e per l’altra RAGIONE_SOCIALE, invece, in attività legate a compravendita e noleggio di imbarcazioni).
-Parimenti nuova, e perciò inammissibile in questa sede, è la questione del difetto di legittimazione dei Commissari giudiziali
« a lamentare alcunché riguardo il trasferimento a RAGIONE_SOCIALE di un contratto di leasing che, in realtà, mai ha fatto parte del patrimonio di RAGIONE_SOCIALE » (poiché « RAGIONE_SOCIALE non è mai stata titolare di alcun contratto di leasing, bensì è venuta per la prima volta nella disponibilità dell’immobile di cui è causa solo per effetto della stipulazione del Contratto di Locazione »), potendosi solo rilevare (per quanto riferito a pag. 18 e s. del ricorso) che il contratto di locazione de quo era pacificamente ricompreso nel ramo di azienda conferito da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE in data 22.12.2014 (dopo che il 21.4.2005 la prima aveva ceduto l’immobile a RAGIONE_SOCIALE, stipulando contestualmente un contratto di affitto, e il 28.4.2005 la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con Intesa leasing un contratto di sale and lease back ).
-Sgombrato il campo dai temi di indagine non ‘ arati ‘ nel giudizio di merito, si osserva che entrambi i motivi, pur deducendo formalmente vizi di errores in iudicando e in procedendo , mirano sostanzialmente a una rivisitazione delle risultanze istruttorie -non ammessa in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019; conf., tra le più recenti, Cass. nn. 5043, 9429, 10712, 15033 del 2024) -diretta a sovvertire l ‘accertamento dei giudici di merito circa l’esistenza d ei presupposti di fatto del conflitto di interessi su cui si basa l’accoglimento dell’eccezione di annullabilità, ex art. 2475-ter c.c., del contratto di locazione per cui è causa.
6.1. -Del resto, in diritto il tribunale non ha violato il principio per cui il conflitto di interessi ex art. 1394 c.c. non può essere fatto discendere genericamente e aprioristicamente dalla coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma va accertato in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori la società danneggiata dall’atto , e il suo amministratore, o l’altra società che egli ugualmente rappresenti (Cass. 25361/2008, 27547/2014, 29475/2017, 20245/2023, 15033/2024), e va dimostrato non in modo astratto o ipotetico, ma con riferimento al singolo atto o negozio che, per le sue intrinseche caratteristiche, consenta la creazione dell’utile di un soggetto
mediante il sacrificio dell’altro (Cass. 8472/1998, 3385/2004, 14481/2008, 271/2017, 2529/2017, 1038/2019, 255/2022).
6.2. -E tuttavia, muovendo da tali basi, ma facendo leva sulla persistente autonomia soggettiva e patrimoniale delle singole società appartenenti a un gruppo, questa Corte ha affermato che la strumentalità di una fideiussione (prestata tra due società aventi il medesimo amministratore e facenti parte dello stesso gruppo) alla conservazione del valore della partecipazione della garante nel capitale della garantita, non può ritenersi “in re ipsa”, in ragione della detta partecipazione e della comune appartenenza al gruppo, ma va provata dal creditore che voglia giovarsi della garanzia, soprattutto quando vi siano fondati elementi (nella specie, la manifesta sproporzione dell’ammontare della fideiussione “omnibus” rispetto al capitale sociale della garante e l’operatività di questa in un settore diverso da quello specifico del gruppo) per ritenere che non vi sia l’interesse strategico del gruppo a preservare il valore della partecipazione, bensì quello di privilegiare in via esclusiva la garantita, riducendo la garante ad un ruolo di mero asservimento (Cass. 10103/2019; conf. Cass. 20245/2023; v. anche Cass. 15033/2024, in motivazione).
6.3. -Ebbene, allineandosi ai richiamati principi, il tribunale ha ampiamente descritto (v. pag. 6 s. del decreto) le articolate ragioni in base alle quali ha ritenuto « incontrovertibile l’inconciliabilità dell’interesse di RAGIONE_SOCIALE rispetto a quello di RAGIONE_SOCIALEpoi Europe) dapprima e di RAGIONE_SOCIALE dopo: la prima, interponendosi fra l’odierna opponente e la società di leasing, aveva infatti interesse ad acquisire canoni di locazione il più elevati possibile ed a trarre il maggior profitto dall’immobile di Villafranca, mentre le seconde avevano interesse ad ottenere il godimento del bene alle migliori condizioni possibili. Ai fini che ne occupano neppure rileva che i canoni di locazione fossero congrui secondo il valore di mercato -circostanza peraltro allegata nella perizia prodotta dall’opponente con riferimento ad altre, analoghe operazioni, poste in essere con altre società del gruppo, ma non per la presente. Rileva, invece, che, in assenza dell’interposizione di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto concludere essa stessa il
contratto di leasing con Intesa RAGIONE_SOCIALE cosa che avrebbe consentito, dapprima a tale società e quindi a RAGIONE_SOCIALE: i) di acquisire la disponibilità dell’immobile per un canone mensile inferiore rispetto a quello pagato a RAGIONE_SOCIALE; ii) di corrispondere quale prima rata del contratto di leasing un importo minore di quello versato a RAGIONE_SOCIALE a titolo di deposito cauzionale; iii) di acquisire, infine, la proprietà del bene al termine del contratto di leasing, pagando il prezzo di riscatto stabilito in € 1.200.000,00, il quale sarebbe stato totalmente coperto dalla differenza tra i canoni di locazione e quelli di leasing. In ciò, dunque, si concretizza l’interesse di RAGIONE_SOCIALE (e di RAGIONE_SOCIALE poi), avente carattere indubbiamente antagonista rispetto a quello che muoveva RAGIONE_SOCIALE, carattere che non è suscettibile di essere eliso in forza di quanto osservato nella perizia dimessa dall’opponente a proposito del progetto di riorganizzazione dell’intero gruppo: va, infatti, ricordato che il cd. vantaggio compensativo, se presuppone l’esistenza di un gruppo di imprese, non si identifica tuttavia con essa, richiedendo la realizzazione di benefici, non solo effettivamente connessi ad un vantaggio complessivo del gruppo, ma altresì idonei a compensare efficacemente, ed in un lasso di tempo ragionevole, gli effetti immediati negativi dell’operazione compiuta (cfr. Cass., 10 dicembre 2013, n. 49787). Nella specie, il progetto di ristrutturazione attuato mediante la separazione delle attività industriali ‘core’ da quelle immobiliari e l’affidamento di queste ultime a RAGIONE_SOCIALE, se anche rispondente ad un interesse generale e generico del gruppo, ha sicuramente cagionato un danno, certo ed immediato, a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, danno che non risulta essere stato in alcun modo compensato, né all’epoca del compimento dell’operazione, né successivamente (in particolare, il prospettato intervento di RAGIONE_SOCIALE a supporto di un progetto di ristrutturazione del gruppo è rimasto meramente ipotetico, ed esso inoltre avrebbe trovato attuazione a distanza di una quindicina d’anni dal compimento degli atti pregiudizievoli). ».
6.4. -A fronte di una motivazione così ampia e dettagliata non può darsi accesso a una rilettura degli accertamenti in fatto del giudice di merito, sui quali si basa la decisione (cfr., in termini, da ultimo, Cass. 20179/2024, 15033/2024).
Non rientra invero tra i compiti di questa Corte condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, o procedere a una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sovrapponendo la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, e ciò anche se il ricorrente prospettasse un più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. 12052/2007, 3267/2008), poiché, se si ammettesse in sede di legittimità un sindacato sulle quaestiones facti si consentirebbe un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nel provvedimento impugnato e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice di merito (Cass. Sez. U, 28220/2018; Cass. 2001/2023, 28643/2020, 33858/2019, 32064/2018, 8758/2017).
6.5. -Al fondo resta fermo che, s econdo l’in dirizzo nomofilattico di questa Corte, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., non si riduce alla semplice menzione delle norme che si assumono violate, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., ma onera il ricorrente per cassazione di indicare in modo chiaro e specifico quali siano le affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato che si debbano ritenere in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. Sez. U, 23745/2020; cfr. anche in motivazione Cass. 28462/2021, 31071/2022, 13408/2023, 15033/2024).
Va insomma escluso che la censura di violazione o falsa applicazione delle norme di legge possa essere ‘filtrata’ d alla valutazione del materiale istruttorio, in assenza di una denunzia del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. 255/2022 proprio in tema di conflitto di interessi in ambito societario).
-La stessa robustezza della motivazione e il (sia pur circoscritto) riferimento in essa contenuto alla perizia di parte -costituente una mera allegazione difensiva, e come tale da
valutarsi nell’ambito del materiale istruttorio rende inconsistente il vizio denunciato col secondo motivo.
7.1. -Va subito sgombrato il campo dall’ipotizzato (ma non pertinente) errore di percezione, avendo le Sezioni unite di recente chiarito che «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. Sez. U, 5792/2024).
7.2. -In secondo luogo, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale, quale è l’art. 115 c.p.c., dipendano o siano dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno della norma citata può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori, o al di là, dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (da ultimo, in motivazione, Cass. 15033/2024, 5375/2024, 35782/2023).
Le stesse Sezioni unite hanno anche sancito l’inammissibilità della doglianza che il giudice, «nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.» (Cass. Sez. U., 20867/2020).
7.3. -Ora, nel caso in esame, il giudicante ha mostrato di aver tenuto conto della perizia prodotta dall’opponente (v. pag. 2, 4, 5 e 6 del decreto), senza che fosse tenuto, quale ‘ peritus peritorum ‘ , né a contestarne le conclusioni, né a disporre apposita c.t.u., una volta assolto il dovere di rendere una congrua
motivazione, in linea con il parametro costituzionale (Cass. Sez. U, 8053/2014).
Ed è noto che, ai fini del decidere, il giudice di merito non è tenuto a dar conto analiticamente dell’esame di tutti gli elementi probatori, né ad esprimersi su ogni singola deduzione delle parti (Cass. 42/2009, 11511/2014, 16467/2017), potendo selezionare, tra tutte le risultanze istruttorie, quelle ritenute più attendibili (Cass. 18134/2004, 20455/2006, 27197/2011, 24679/2013, 25188/2017, 28916/2020), purché sia fornita una motivazione chiara e logica della decisione adottata, tale da rendere evidente che le risultanze con essa incompatibili siano state implicitamente rigettate (Cass. 15033/2024, 956/2023, 29860/2022, 3126/2021, 24434/2016, 25509/2014, 5586/2011, 17145/2006, 12121/2004, 1374/2002, 13359/1999).
7.4. -Lo stesso giudizio sulla necessità di far ricorso a una c.t.u. rientra nel potere discrezionale del giudice del merito (Cass. 4518/2021, 22130/2020) e la sua decisione di disporla o meno non è di regola censurabile nel giudizio di legittimità, salvo che il vizio sia denunciato secondo il paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., avuto riguardo anche al requisito della decisività (Cass. 7472/2017, 25281/2023), fermo restando che la motivazione del diniego (o della scelta di non disporre) c.t.u. può essere desumibile anche implicitamente -come nel caso di specie -dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass. 326/2020).
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese in favore del controricorrente, liquidate in dispositivo.
-Ricorrono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, se dovuto, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16/01/2025.