Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 23416 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 23416 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
sul ricorso per regolamento di giurisdizione iscritto al n. r.g. 17983/2024 proposto d’ufficio dal TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE della CAMPANIA, con ordinanza n. 4510/2024 depositata il 01/08/2024 nella causa tra:
COGNOME, in proprio e nella qualità di erede di COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO SAN RAGIONE_SOCIALE E.A.V. – ENTE AUTONOMO VOLTURNO;
– resistenti non costituiti in questa fase –
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Presidente NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte, a Sezioni Unite, dichiari inammissibile il proposto conflitto.
Fatti di causa
Nel luglio 2008 i coniugi COGNOME/COGNOME, comproprietari in regime di comunione legale di un fondo rustico in agro di Pompei, oggetto di procedura espropriativa, convennero dinanzi alla Corte d’ appello di Napoli la Regione Campania e il Consorzio Ferroviario S. Giorgio -Volla Due, opponendosi alla stima e chiedendone la rideterminazione previa c.t.u., con conseguente condanna al pagamento della giusta indennità e delle somme riconosciute a conguaglio.
Oltre alla inadeguatezza delle indennità offerte in via provvisoria addussero l’illegittimità della procedura espropriativa per essersi questa in gran parte svolta, fino alla notifica del decreto di esproprio, a loro insaputa e senza contraddittorio.
Il giudizio fu definito con sentenza n. 834 del 2013.
L a corte d’appello condannò il RAGIONE_SOCIALE al deposito presso la Cassa DD.PP di somme a vario titolo (indennità di espropriazione, indennità di occupazione, ristoro per la perdita delle opere presenti sul fondo, ristoro per il deprezzamento dell’area residua ), detratto l’importo eventualmente già depositato e con gli interessi legali calcolati a decorrere dalla data del decreto di esproprio (26.6.2008) a quella del versamento presso la medesima Cassa; la sentenza, passata in giudicato, rimase ineseguita.
I coniugi COGNOME diffidarono dunque nel 2018 il RAGIONE_SOCIALE a provvedere in conformità e il Consorzio, assicurando l’adempimento , inviò un prospetto di calcolo, che gli attori ritennero non conforme a quanto liquidato in sentenza.
S eguirono altre missive all’esito delle quali il Consorzio addusse, a giustificazione del perdurante ritardo, una presunta indisponibilità economica, cosicché i coniugi COGNOME proposero un ricorso ex art. 612 cod. proc. civ. al fine di ottenere la determinazione delle modalità di esecuzione dell’obbligo di fare derivante dalla sentenza.
Il giudice dell’esecuzione, qualificato l’obbligo come relativo a fare infungibile, e ritenendo il Consorzio equiparabile a una pubblica amministrazione, respinse il ricorso assumendo l’inattuabilità dell’obbligo da parte del giudice ordinario
( per il tramite dell’ ufficiale giudiziario), a fronte invece della necessità di introdurre un giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo e conseguente nomina di un commissario ad acta .
I coniugi contestarono il provvedimento con ricorso ex art. 617 cod. proc. civ. e l ‘adito Tribunale di Napoli, c on sentenza n. 995 del 2023, respinse l’opposizione rilevando che: (a) la sentenza del 2013 non aveva attribuito un diritto di credito con dimensione esclusivamente privatistica, essendo stato il Consorzio condannato al deposito delle somme presso il MEF, e non direttamente al pagamento delle stesse; (b) il provvedimento finale della procedura di esproprio, ovvero il pagamento dell’indennità all’avente diritto, afferiva a un obbligo di natura “pubblicistica”, suscettibile di determinare, in caso di inadempimento, solo l’azione di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo; (c) il giudice ordinario non avrebbe potuto disporre altro che il deposito dell’importo nelle forme di legge, esattamente come era stato fatto, ma non anche il pagamento delle somme in favore del privato, trattandosi in tal caso di attività rimessa alla P.A. o al soggetto delegato alla procedura ablativa.
In ragione di tale sentenza la sig.ra COGNOMEin proprio e quale erede del coniuge nel frattempo deceduto) ha agito dinanzi al TAR della Campania per l’ottemperanza – anche a mezzo di nomina di commissario ad acta – della sentenza della corte d’appello all’inizio citata .
con ordinanza interlocutoria n. 4510 del 2024 il TAR ha sollevato conflitto di giurisdizione, ritenendo appartenere la giurisdizione al giudice ordinario in sede di esecuzione;
Solo la sig.ra COGNOME si è costituita con controricorso.
Ragioni della decisione
– il conflitto sollevato dal TAR è inammissibile perché la fattispecie esula dalla materia: è risolutivo osservare che la decisione del giudice ordinario non può esser considerata nel caso concreto alla stregua di una declinatoria di giurisdizione;
II. – assume il TAR che, sebbene il giudice dell’esecuzione non abbia
formalmente negato la propria giurisdizione, ma si sia limitato a rigettare l’opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. dinanzi a lui intrapresa, si dovrebbe ricavare ‘ dal dato testuale delle motivazioni della sentenza ‘ la volontà del giudice stesso ‘di declinare la propria giurisdizione in favore del G.A. in sede di ottemperanza ‘ .
Questa esegesi appare del tutto errata, perché la declinatoria di giurisdizione, per esser tale, deve avere a oggetto la domanda specificamente formulata dinanzi al giudice investito della causa, vista dal lato del petitum sostanziale; nel caso concreto i l giudice dell’esecuzione ha deciso sulla domanda dinanzi a lui proposta, non nel senso che quella domanda fosse attribuibile alla giurisdizione amministrativa, sebbene nel senso della inammissibilità della stessa siccome proposta ex art. 612 cod. proc. civ.; inammissibilità dettata dalla impraticabilità del rimedio così come da tale norma stabilito, a fronte del diverso rimedio suscettibile di essere azionato mediante un’altra domanda, tale essendo quella involta da un ricorso in ottemperanza;
III. E ra stato chiesto al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 612 cod. proc. civ., di determinare le modalità di esecuzione del comando giudiziale contenuto nella sentenza n. 834/2013 della corte d’appello ; il giudice dell’esecuzione ha fo rnito risposta negativa, essendo la domanda inammissibile perché avente a oggetto un obbligo infungibile di fare.
Ne segue che la corretta esegesi del provvedimento del giudice ordinario è nel senso della affermazione di impossibilità di attivazione del rimedio di cui all’art. 612 cod. proc. civ., non nel senso di una carenza di giurisdizione; la circostanza che il medesimo giudice abbia detto che il rimedio corretto sarebbe stato (a suo avviso) un altro, e segnatamente quello del giudizio di ottemperanza dinanzi al giudice amministrativo, non sposta i termini della questione.
Il provvedimento adottato è e resta un provvedimento di diniego dei presupposti dell’art. 612 cod. proc. civ. (e conseguentemente di inammissibilità del l’afferente rimedio processuale), indipendentemente dall’avere il giudice affermato che un altro sarebbe stato il rimedio giusto .
IV. -Il conflitto sollevato dal TAR è quindi inammissibile.
p.q.m.
La Corte, a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di giurisdizione.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 27 maggio