Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 29172 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 29172 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
Oggetto: Sanzione amministrativa- Confisca -Prova della proprietà dei beni confiscati
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11427/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi congiuntamente dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso i rispettivi indirizzi pec;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con elezione di domicilio digitale all’indirizzo pec indicato ;
-controricorrente -Avverso la sentenza n. 1789/2020 resa dalla Corte d’Appello di Bari, pubblicata il 21/10/2020 e mai notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8
ottobre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con ricorso depositato il 15/10/2015, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME proposero opposizione avverso l’ordinanza n. 493/2015, con cui la RAGIONE_SOCIALE di
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva ingiunto a COGNOME NOME il pagamento della somma di € 5.664,00 a titolo di sanzione amministrativa e ordinato la confisca di attrezzature e strumentazioni, già sequestrate dalla Guardia di finanza, per violazione del disposto di cui agli articoli 10, comma 2, legge n. 122/92 e 7 Reg. Regione Puglia n. 3/2015, consistita nell’ aver esercitato attività di autoriparazione senza essere iscritto nell’apposito registro.
Si costituì la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto del ricorso. Con sentenza n. 1132/2019, resa e pubblicata il 23/01/2019, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accolse parzialmente l’opposizione, annullando l’ordinanza-ingiunzione limitatamente alla confisca di autoveicoli, motoveicoli, ciclomotori e moto sportive rinvenuti dai militari e confermandola per il resto, con compensazione delle spese di lite. Il giudizio di appello, instaurato da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME si concluse, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 1789/2020, pubblicata il 21/10/2020, con la quale la Corte d’Appello di Bari rigettò il gravame.
Detta Corte ritenne, in particolare, di confermare la sentenza di primo grado anche con riguardo alla confisca di alcune attrezzature rinvenute nel locale sito in INDIRIZZO di proprietà di COGNOME NOME, padre di NOME, e costituite da pezzi di ricambio e telai di motociclette – identiche, per tipologia, a quelle in possesso del primo nell’immobile detenuto in locazione e sito in INDIRIZZO -, considerando in proposito la valenza probatoria del verbale di accertamento, siccome fidefacente fino a querela di falso, le ammissioni del responsabile della violazione e il fascicolo fotografico riproducente l’allestimento, nei predetti locali, di attrezzature e strumentazioni professionali. La suddetta Corte territoriale ritenne, altresì, che la circostanza che
COGNOME NOME, padre dell’autore dell’illecito, fosse titolare di partita Iva relativa alla sola coltivazione di cereali e seminativi, impedisse di riferire unicamente a lui la presenza dei mezzi e delle attrezzature rivenuti dagli operanti e che non ricorressero, in ragione di ciò, gli estremi della buona fede ex art. 1153 c.c.
Quanto alle spese del giudizio del grado (in assenza di appello incidentale), la Corte barese ritenne che non vi fossero elementi per derogare al principio della soccombenza.
Avverso la suddetta sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Considerato che:
1.1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’articolo 10, comma 2, legge 5 febbraio 1992, n. 122, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l’attività abusiva era svolta da COGNOME NOME e non da COGNOME NOME, tant’è che il primo svolgeva le mansioni di meccanico presso il locale sito in Serracapriola, alla INDIRIZZO, e non presso l’immobile sito nello stesso Comune ma in INDIRIZZO, sicché l’ingiunzione della RAGIONE_SOCIALE e la conseguente confisca avrebbero potuto considerarsi legittime solo per COGNOME NOME e per i beni rinvenuti nel locale di INDIRIZZO, detenuto in virtù di contratto di locazione stipulato con COGNOME, atteso che la sanzione accessoria della confisca delle attrezzature e delle merci di cui al citato articolo 10, comma 2, della legge n. 122 del 1992, avrebbe dovuto essere applicata al soggetto raggiunto dall’ingiunzione e non ad altro soggetto estraneo all’accertamento posto in essere dai militari.
1.2. La censura è infondata.
L’art. 10, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 122, rubricato ‘Vigilanza e sanzioni’, stabilisce che « L’esercizio dell’attività di autoriparazione da parte di una impresa non iscritta nel registro di cui all’articolo 2 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 10 milioni a lire 30 milioni e con la confisca delle attrezzature e delle strumentazioni utilizzate per l’attività illecita », disposizione questa che, in seguito all’abrogazione dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 2 della stessa legge a opera dell’art. 15 del d.P.R. n. 558 del 1999, va interpretata nel senso che l’esercizio dell’attività di autoriparazione da parte di una impresa non iscritta nel relativo registro o all’albo delle imprese artigiane, costituisce un illecito amministrativo punito con la sanzione amministrativa pecuniaria e con la confisca delle attrezzature e delle strumentazioni utilizzate per l’attività illecita, introducendo la particolare attività svolta (autoriparazione) un elemento di specialità rispetto alle sanzioni irrogabili per la semplice carenza di iscrizione all’albo o al registro delle imprese (Cass., Sez. 2, 10/9/2024, n. 24321).
Con specifico riguardo alla confisca, l’art. 2, comma 2, si pone in rapporto di specialità con l’istituto generale descritto nell’art. 20 della legge n. 689 del 1981, ma solo in ordine al prescritto requisito di obbligatorietà e generalità, atteso che la stessa, come spiegato da Cass., Sez. 2, 10/9/2024, n. 24321, sarebbe stata altrimenti facoltativa.
Ciò comporta che, mentre ai sensi del terzo comma del ridetto art. 20, la confisca può essere facoltativa od obbligatoria allorché essa ricada, rispettivamente, sugli strumenti della perpetrata violazione o sulle cose che della violazione costituiscano il prodotto o delle cose “..la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce violazione amministrativa”, nell’uno e
nell’altro caso rimanendo se dette cose appartengano a terzi, nella prima ipotesi se il proprietario non sia anche destinatario dell’ingiunzione e nella seconda se le richiamate attività possano essere consentite “mediante autorizzazione amministrativa’ (in questi termini Cass., Sez. 2, 10/9/2024, n. 24321, cit.), ai sensi dell’art. 2, comma 2, della legge in esame, la confisca è sempre obbligatoria e generale.
Pertanto, poiché secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (Cass., Sez. 1, 02/05/1997, n. 3788; Cass., Sez. 1, 26/11/1996, n. 10472; Cass., Sez. 1, 04/10/1996, n. 8719; Cass., Sez. 1, 16/07/1996, n. 6447; Cass., Sez. 1, 17/12/1994, n. 10851; Cass., Sez. 1, 16/04/1991, n. 4036), l’art. 20 della legge n. 689 del 1981 contiene «norme generali e residuali sulla confisca amministrativa obbligatoria, applicabili ad ogni ipotesi specifica di irrogazione di sanzioni amministrative per la quale non sia diversamente stabilito (art. 12)» (in questi termini Cass., Sez. 2, 10/9/2024, n. 24321, cit.), e poiché non sono ravvisabili nell’art. 10, comma 2, della legge n. 122 del 1992 altre deroghe alla disciplina generale descritta dall’art. 20 della legge n. 689 del 1981, oltre a quella testé descritta, opera anche in quest’ultimo caso il principio, riguardante la confisca obbligatoria, che impone di salvaguardare i diritti dei terzi proprietari estranei alla violazione, quando l’utilizzazione delle attrezzature e strumentazioni sarebbe stata lecita in presenza della prescritta autorizzazione amministrativa (in questi termini Cass., Sez. 2, 10/9/2024, n. 24321, cit.).
Ciò precisato, si osserva che, nella specie, i giudici di merito hanno escluso a monte l’altruità dei beni soggetti a confisca, allorché hanno ritenuto che non potesse ravvisarsi, in capo al padre di COGNOME NOME, COGNOME NOME, la buona fede ex art. 1153 c.c., essendo questi titolare della sola partita Iva relativa
all’attività di coltivazione e cereali e seminativi, e che tale circostanza impedisse di riferire unicamente a lui i mezzi e le attrezzature rinvenute nel suo locale, identici, per tipologia, a quelli detenuti dal figlio, con la conseguenza del venir meno dello stesso presupposto della richiesta salvaguardia dei diritti dei terzi sopra descritto.
Deriva da quanto detto che, non essendo sempre richiesta una perfetta coincidenza tra il destinatario della sanzione pecuniaria e quello della sanzione accessoria, siccome condizionata dalla illiceità o meno dell’utilizzo del bene che ne costituisce oggetto, come preteso dai ricorrenti, la censura è senz’altro infondata, oltre a presentare profili di inammissibilità, sia in quanto priva della descrizione dei beni, sia in quanto non del tutto coerente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, non avendo i giudici di merito mai affermato che i beni confiscati fossero di proprietà del padre del responsabile dell’illecito, quanto piuttosto il contrario.
2.1. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta il vizio di motivazione per mancata applicazione dell’articolo 1153 cod. civ. al caso in esame, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto sufficiente per vincere la buona fede il fatto che COGNOME NOME, padre di NOME, fosse titolare di un’unica partita iva relativa ad attività di coltivazione di cereali e seminativi e che tale circostanza impedisse di riferire unicamente a lui la presenza dei mezzi e delle attrezzature rinvenuti dagli operanti, con conseguente insussistenza della buona fede, senza considerare che la confisca dei beni ai sensi del ridetto articolo 10 della legge n. 122 del 1992 poteva essere disposta soltanto contro chi esercitava abusivamente un’attività non autorizzata e che spettava alla RAGIONE_SOCIALE fornire la prova idonea a vincere la
presunzione di buona fede nel possesso di cui all’articolo 1153 cod. civ..
Ad avviso dei ricorrenti, la suddetta prova non poteva essere data dall’accertamento compiuto dai militari presso i locali siti in Serracapriola, alla INDIRIZZO e alla INDIRIZZO, tant’è che, in seguito al verbale del 25/03/2015 elevato dai predetti e alle memorie difensive inoltrate da COGNOME NOME, era stata riconosciuta la proprietà esclusiva, in capo a lui, di quest’ultima unità immobiliare e ne era stato disposto l’immediato dissequestro. 2.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 3, 28/2/2023, n. 5947; Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934;Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860), incombenza questa rimasta inadempiuta.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione degli articoli 91, 92 cod. proc. civ. e 111 Cost., nonché il vizio di motivazione circa la condanna alle spese del giudizio di secondo grado con riferimento al recente orientamento della Suprema
Corte, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano ritenuto di condannare i ricorrenti appellanti alla rifusione delle spese di lite del secondo grado in assenza di appello incidentale promosso dall’ente resistente e di non modificare la sentenza emessa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in ordine alla statuita compensazione delle spese di lite, senza considerare che la lite in primo grado era stata definita con una sentenza parziale di accoglimento e non di reciproca soccombenza, che non sussistevano gravi ed eccezionali ragioni per giustificare una compensazione integrale delle spese stesse e che, senza la proposta opposizione, tutti i beni (cicli, motocicli, autoveicoli e attrezzature meccaniche) sarebbero stati destinati alla distruzione. Avevano errato, pertanto, i giudici di merito nel non modificare la sentenza di primo grado, giustificando la condanna, in assenza della proposizione dell’appello incidentale da parte della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il terzo motivo è infondato.
In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. 1, 14/4/2023, n. 10043; Cass., Sez. 6-3, 26/4/2019, n. 11329; Cass., Sez. 6-3, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. 1, 4/8/2017, n. 19613).
Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto di non modificare la statuizione sulle spese operata dal giudice di primo grado, che le aveva compensate, rilevando che la parte parzialmente vittoriosa (ossia la RAGIONE_SOCIALE) non avesse proposto ricorso
incidentale e hanno correttamente applicato il criterio della soccombenza a quelle del grado, essendo stato rigettato l’ appello.
In conclusione, dichiarate l’infondatezza del primo e del terzo motivo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti, con vincolo solidale.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e ad iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 8/10/2025.
Il Presidente NOME COGNOME