Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19422 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19422 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22882/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI SALERNO n. 1048/2023, depositata il 04/08/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo
la condanna alla corresponsione di quanto ancora dovuto agli attori per le opere di adeguamento sismico (causa identificata con RG 2367/2009).
A sostegno delle loro pretese, gli attori esponevano che il compendio immobiliare, di cui erano titolari di un lotto – a séguito di divisione intervenuta con atto notarile del 19.04.1999 tra i fratelli NOME, NOME e NOME COGNOME – necessitava di interventi strutturali ed antisismici per la realizzazione di un sottotetto in sopraelevazione, la cui esecuzione era stata concordata con tutti i comunisti con due scritture private del 15.04.2003 (per la realizzazione di un giunto tecnico) e del 10.09.2004 (per la definizione dello stato dei luoghi), alla presenza di un tecnico di fiducia.
Lamentavano gli attori che i convenuti COGNOME avevano corrisposto solo parte di quanto dovuto, ossia la realizzazione del giunto tecnico, con esclusione delle spese sostenute per l’adeguamento sismico.
Costituitisi, i convenuti replicavano -per quel che qui ancora rileva – che il contenuto degli accordi riguardava solo la realizzazione del giunto tecnico e che la struttura di consolidamento eseguita dagli attori si sarebbe resa necessaria per consentire agli stessi di realizzare una sopraelevazione sulla propria porzione immobiliare, senza arrecare alcun vantaggio o beneficio alla porzione immobiliare di proprietà Rossi-Palumbo; rilevavano, altresì, che il consolidamento sarebbe consistito nell’aumento d i volume e/o sezione dei pilastri con aumento degli stessi all’interno della proprietà dei convenuti, con riduzione della volumetria interna della stanza ed uso della stessa e con riduzione della superficie esterna del piazzale per la parte di proprietà dei convenuti.
I convenuti lamentavano, inoltre, la realizzazione di balconi e finestre al piano sopraelevato in spregio alle norme in tema di distanze
legali; lamentavano un danno, derivante dalla comparazione del valore di mercato dell’immobile prima e dopo gli interventi descritti, pari ad €. 49.176,00.
Chiedevano pertanto, il rigetto della domanda principale nonché, in via riconvenzionale, il ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni descritti.
Con successivo atto di citazione dell’08.10.2010 i medesimi attori convenivano nuovamente innanzi al medesimo Tribunale NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo il regolamento di confini tra i due fabbricati in proprietà delle parti (causa identificata con RG 3807/2010).
Riuniti i giudizi, disposta consulenza tecnica d’ufficio ed escussi i testi, il Tribunale con sentenza n. 61/2022 rigettava la domanda di regolamento di confini (in relazione al giudizio R.G. 3807/2010); condannava gli attori al pagamento, in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME, delle spese di lite dei due giudizi (R.G. 2367/2009, R.G. 3807/2010); rigettava la domanda principale di corresponsione delle somme per l’adeguamento sismico (giudizio R.G. 2367/2009); accoglieva in parte la domanda riconvenzionale, condannando gli attori all’arretramento del balcone e della veduta al piano sopraelevato; condannava, infine, gli attori NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, di €. 14.900,00 a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi.
La pronuncia di primo grado veniva impugnata dai soccombenti innanzi alla Corte d’Appello di Salerno .
Proponevano appello incidentale i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con sentenza n. 1048/2023 il giudice di seconde cure rigettava l’appello incidentale; in accoglimento di un solo motivo d ell’ appello principale (con cui si lamentava un’illegittima duplicazione nella
liquidazione delle spese) determinava separatamente le fasi di studio e introduttiva per i due giudizi (espletate prima della riunione delle due cause) e unitariamente le due fasi successive di trattazione/istruzione e decisoria; confermava la pronuncia di primo grado per le restanti parti; compensava per ¼ le spese complessive di lite, ponendo a carico dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME la restante parte.
Avverso la suddetta pronuncia di appello propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
A séguito della proposta di definizione del Consigliere Delegato dal Presidente di Sezione, i ricorrenti hanno chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 950 e 2697 cod. civ. e dell’art. 74 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. I ricorrenti censurano la pronuncia nella parte in cui ha ritenuto i confini certi in funzione del contenuto della divisione intercorsa tra le parti con atto del 19.04.1999, che a sua volta richiamava la relazione di stima e divisione dell’originario unico compendio immobiliare, alla quale era allegata una planimetria che individuava esattamente le porzioni del fondo con diverse colorazioni. I ricorrenti sostengono -alla luce degli orientamenti ribaditi dalla Corte di legittimità -che la determinazione del confine fra due fondi limitrofi si può fondare sul frazionamento, allegato al contratto con cui è stato diviso l’appezzamento in precedenza unico solo se, nei successivi atti di trasferimento, tale frazionamento venga allegato e richiamato con valore negoziale vincolante. Nel caso di specie, di contro, la relazione di stima (risalente al 1992) non è mai stata allegata all’atto pubblico di divisione, né è
stata sottoscritta dalle parti. Secondo i ricorrenti, il giudice avrebbe dovuto ricorrere ad altri mezzi di prova (la relazione peritale) soltanto nel caso in cui le indicazioni desumibili dai rispettivi titoli di provenienza fossero mancanti o insufficienti.
Il motivo è infondato.
Come emerge chiaramente dal ricorso, esso, lungi dal prospettare violazioni di norme di diritto, si traduce in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Per l’individuazione della linea di separazione fra proprietà limitrofe base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprietà, integranti la fonte di prova sovrana. Solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sul confine rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione, giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ivi comprese le risultanze delle mappe catastali ( ex multis : Cass. 2 civ., 04.08.2022, n. 24171; Cass. 2 civ., 01.12.2021, n. 37787; Cass. 2 civ., 23.07.2020, n. 15759; Cass. 6 civ., 05.12.2018, n. 31377; Cass. n. 10501/2013; Cass. Civ, 9 ottobre 2006, n. 21686; Cass. 15 novembre 2007, n. 23720).
Nel caso che ci occupa, il giudice del merito ha ravvisato, nella relazione tecnica di stima e divisione, un negozio di accertamento, poi richiamato nell’atto di divisione dal quale entrambi i contendenti traggono i rispettivi titoli di proprietà (v. sentenza p. 6).
Non può, dunque, essere condivisa la censura riguardante il mancato rispetto del criterio della prevalenza delle risultanze dei titoli di provenienza, con riferimento alle mappe catastali e agli atti di frazionamento, nella individuazione del confine, in quanto il giudice di
merito ha valorizzato innanzitutto la divisione del 1999, proprio considerando quale fonte primaria per l’individuazione dei confini il titolo di provenienza allegato dalle parti.
A tale ricostruzione, parte ricorrente contrappone una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019; Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, con la censura dell’omesso vaglio del fascicol o di parte degli odierni ricorrenti, dovendosi ribadire il principio per cui «L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1 Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.
631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Fuori luogo è il richiamo all’art. 2697 cc (cfr. al riguardo cass. n. 17313/2020).
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 74 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ. I ricorrenti contestano la statuizione con la quale il giudice di appello, anche in questo caso confermando la decisione del Tribunale, ha rigettato la domanda di condanna al pagamento di quota parte delle spese di consolidamento per difetto di prova di un accordo tra le parti in tal senso. In particolare, i ricorrenti lamentano la mancata considerazione del fatto che i lavori di consolidamento di cui si discute erano stati eseguiti in virtù di un accordo tra le parti, ed erano infatti destinati a beneficio anche della comproprietà degli odierni resistenti. Infine, proseguono i ricorrenti, la Corte territoriale ha omesso di valutare la documentazione pure versata in atti, comprovante il pagamento eseguito dagli esponenti e mai saldato per quota dai comproprietari NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il motivo è inammissibile sotto due diversi profili.
Innanzitutto, è inammissibile il riferimento al n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., atteso che la disposizione citata, anche nel testo attualmente vigente (così come modificato ex art. 3, c. 27, d.lgs. 149/2022, contenente disposizioni che hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023: ragione per cui può essere utilizzata a sostegno la medesima giurisprudenza, applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data, dunque anche al presente giudizio), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da
intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 -01; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305 -01; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485 01) come motivo di ricorso (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018 – Rv. 648686 – 01). Nel mezzo di gravame si censura l’omissione del giudice di seconde cure relativa a risultanze probatorie (documentazione attestante i pagamenti effettuati da parte ricorrente e relativi all’adegu amento sismico).
In secondo luogo, anche con riferimento alla violazione di legge, l’inammissibilità discende dalla carenza di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Cass . Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 8247 del 2024).
La Corte d’Appello non ha disconosciuto l’esistenza di un accordo tra le parti per eseguire alcuni interventi (scrittura privata del 10.09.2004), ma ha ritenuto che detta pattuizione, dal tenore generico, avesse ad oggetto soltanto il consenso degli appellati (odierni controricorrenti) alla realizzazione, da parte degli appellanti (odierni ricorrenti) di alcune opere sulla proprietà esclusiva di questi ultimi (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata, ultimo capoverso). Inoltre, la Corte d’Appello ha precisato che non si versa in un’ipotesi di condominio, bensì di rapporti tra proprietà confinanti (v. sentenza p. 7, 1° capoverso): del resto, lo stesso ricorso (nonché le reiterate difese dei coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME) riferisce la comunione forzosa agl i interventi realizzati ai fini dell’edificazione del giunto tecnico (i cui
costi sono stati, infatti, corrisposti pro quota dagli odierni resistenti), non già degli interventi mirati alla realizzazione dell’adeguamento sismico, necessari per l’unità immobiliare degli odierni ricorrenti.
In definitiva, trattasi di valutazione delle prove rimessa al giudice del merito e non sindacabile in questa sede, in quanto non affetta da vizi logico-giuridici ( supra , punto 1.2.).
Con il terzo motivo si denunzia nullità della sentenza per violazione di legge – art. 156 cod. proc. civ., art. 287 cod. proc. civ., art. 1, comma 2 del d. lgs. n. 546/1992, art. 132 del cod. proc. civ., n. 4, art. 118 disp. att., art. 112 cod. proc. civ. I ricorrenti evidenziano la sussistenza del contrasto tra motivazione e dispositivo, poiché nella prima la Corte di Appello avrebbe dato ragione agli appellanti (odierni ricorrenti), accogliendo il motivo di gravame relativo all’errata liquidazione delle spese; mentre nel secondo li avrebbe condannati alle spese del doppio grado, nonostante il rigetto anche del gravame incidentale.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha operato un nuovo governo delle spese, riferito al doppio grado di giudizio, in applicazione del principio secondo cui il giudice di seconde cure, quando riforma in tutto o in parte la sentenza di primo grado, deve regolare le spese tenendo conto dell’esito complessivo del giudizio, anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico motivo di impugnazione (per tutte: Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018, Rv. 648466).
Né è possibile sindacare in sede di legittimità la decisione del giudice di merito di compensare, o meno, in tutto o in parte, le spese del doppio grado di giudizio, atteso che «La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra
le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente» (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014 Rv. 629389; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30592 del 20/12/2017, Rv. 646611; nonché Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1703 del 24/01/2013, Rv. 624926 e Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 8421 del 31/03/2017, Rv. 643477). Unico limite invalicabile, infatti, è il divieto, per il giudice di merito, di condannare alle spese una parte risultata vittoriosa (cfr. Cass. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017, Rv. 645187): ipotesi, questa, che nel caso di specie di certo non ricorre, essendo stati, come già detto, rigettati tutti i motivi di appello, principale e incidentale, relativi al merito della controversia, ed accolto invece soltanto l’ultimo motivo del gravame p rincipale, limitato al profilo della regolamentazione delle spese operata dal Tribunale.
Quanto al l’asserito contrasto tra motivazione e dispositivo: nel caso in esame, all’esito d ella valutazione globale, la Corte d’Appello ha ravvisato una prevalente soccombenza degli appellanti stante il rigetto della maggior parte dei motivi di appello e, quindi, ha ritenuto di compensare per ¼ le spese ponendo la residua frazione, in misura già ridotta, a carico degli appellanti (v. sentenza p. 10, 1 o capoverso).
Nel dispositivo effettivamente non si ribadisce la compensazione delle spese per ¼., ma in motivazione si chiarisce che la liquidazione ì avviene ‘ nella misura già ridotta, come in dispositivo ‘; e in dispositivo si richiamano le « causali di cui in motivazione» (v. dispositivo p. 10, righi 35-36). Il contrasto dunque non ricorre.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo (con inclusione di quelle per il procedimento ex art. 373 cpc: cfr. Sez. 2 – , Ordinanza n. 6792 del 14/03/2024 e richiesta formulata tempestivamente dai controricorrenti in memoria depositata il 24.10.2024).
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento delle ulteriori somme ex art. 96, commi 3 e 4 cod. proc. civ., sempre come liquidate in dispositivo (Cass. S.U. n. 27433/2023).
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €. 5.000,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%;
condanna altresì i ricorrenti in solido, ai sensi dell’art. 96, comma 3 cod. proc. civ., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di €. 5.000,00, nonché ai sensi dell’art. 96, comma 4 cod. proc. civ. al pagamento della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda