Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14886 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14886 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4387/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
BPER RAGIONE_SOCIALE SPABPER RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 3219/2019 depositata il 18/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME con due separati giudizi conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Modena, NOME COGNOME e la Banca RAGIONE_SOCIALE d ell’RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento della proprietà in proprio favore di tre dipinti oggetto di controversia meglio descritti in atti (NOME COGNOME ‘ fiori e frutta con donna che raccoglie uva ‘ , NOME COGNOME, ‘ tartarughe e conchiglie e farfalle ‘ , NOME COGNOME, ‘ Madonna con bambino e paesaggio ‘) .
Il giudizio seguiva alla fase cautelare di sequestro dei beni oggetto di controversia.
L’attore chiedeva al Tribunale la condanna alla restituzione dei beni nei confronti di NOME COGNOME o in mancanza di corrispondere il relativo valore indicato nella misura di lire 1.200.000.000. In via subordinata chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento del danno indicato nella misura di lire 1.000.000.000 (un miliardo) oltre a quello morale da liquidarsi in via equitativa.
Si costituivano le parti convenute chiedendo il rigetto della domanda attorea.
Il giudizio veniva sospeso in attesa dell’esito di quello promosso dal COGNOME di revocatoria nei confronti della banca e, quindi, di inefficacia ex articolo 2901 c.c. dei pegni costituiti dal COGNOME su due dei tre quadri in controversia. Questo giudizio si concludeva definitivamente con esito positivo per il COGNOME.
4. Il Tribunale, riassunta la causa, accoglieva le domande e dichiarava che NOME COGNOME era proprietario dei dipinti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME consegnati a NOME COGNOME il 10 gennaio 1999, condannava NOME COGNOME a restituire i suddetti dipinti e al risarcimento dei danni quantificati nella somma di € 300.000, oltre a interessi al saggio legale dal giorno di pubblicazione della sentenza, condanna condizionata all’omessa restituzione spontanea o all’esito di esecuzione forzata del dipinto di NOME COGNOME e condannava NOME COGNOME al pagamento della somma di € 450.000, oltre interessi al saggio locale e al rimborso delle spese processuali.
La sentenza si fondava sul fatto che il documento del 10 gennaio 1999 del quale non era stata disconosciuta la sottoscrizione integrava una confessione stragiudiziale alla parte e, dunque, risultava dei quadri concessi al COGNOME per la sola visione erano di proprietà del COGNOME ed erano da restituire a quest’ultimo in qualsiasi momento. Peraltro, di tale confessione non era stata neppure chiesta la revoca ex articolo 2732 c.c.. Quanto al danno, la Corte riteneva provato il valore complessivo dei dipinti di un miliardo di lire in virtù della valutazione compiuta dallo stesso COGNOME con la lettera del 20 maggio 2000 indirizzata alla controparte e delle stime della nota casa d’aste RAGIONE_SOCIALE . In considerazione della perdita della disponibilità di godimento e del danno morale da appropriazione indebita e del lungo tempo di durata della perdita, ai fini della quantificazione, operava una liquidazione equitativa come sopra indicata.
NOME COGNOME proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME resisteva al gravame mentre nessuno si costituiva per la banca.
La Corte d’appello di Bologna rigettava il gravame confermando integralmente la sentenza impugnata. Preliminarmente evidenziava che il COGNOME aveva dichiarato di aver ottenuto nelle more dell’appello la consegna di due dei tre dipinti da parte della banca mentre l’appellante non aveva consegnato quello di COGNOME in suo possesso. Questo determinava il superamento del primo motivo di ricorso oltre alla sua inammissibilità non essendo stata, la relativa domanda, mai formulata in primo grado. La Corte rilevava, infatti, che la causa era stata posta in decisione dopo essere stata sospesa per attendere l’esito del passaggio in giudicato della sentenza che aveva statuito la revoca degli atti di costituzione di pegno con esito favorevole al COGNOME. In seguito alla riassunzione della causa, il COGNOME nelle conclusioni aveva chiesto di revocare il sequestro giudiziario dei dipinti e respingere le richieste dell’attore.
L’azione di rivendicazione così come promossa dall’attore aveva carattere reale ed era basata sul diritto di proprietà di un bene e dunque era esperibile contro chiunque di fatto possedeva e deteneva il bene ed era volta ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà e riaverne il possesso.
Quanto alla prova della proprietà la sentenza era conforme al diritto con motivazione esente da vizi logici, avendo accolto la domanda a fronte della dimostrazione della proprietà da parte del COGNOME dei diritti oggetto di controversia. In particolare, il collegio evidenziava la natura di confessione stragiudiziale del documento del 10 gennaio 1999, non disconosciuto quanto alla sottoscrizione,
con il quale il COGNOME aveva ammesso le circostanze ivi indicate, prima fra tutti che i dipinti gli erano stati concessi per la sola visione e dovevano essere restituiti a richiesta, in qualsiasi momento. Inoltre, il COGNOME non aveva neanche chiesto la revoca ai sensi dell’articolo 2732 c.c. di tale confessione.
Il contenuto di tale documento era stato altresì supportato dalla successiva lettera autografa del COGNOME del 24 maggio 2000 che riconosceva ulteriormente la proprietà dei dipinti in capo al COGNOME
Quanto al terzo motivo, con il quale si lamentava la violazione dell’articolo 75 del codice di procedura penale, la Corte rilevava la novità dell’eccezione tesa a paralizzare le azioni avversarie. Infatti, sin dalla prima fase del giudizio il convenuto avrebbe dovuto dimostrare l’identità dell’azione civile promossa in sede penale e quella oggetto del presente giudizio.
La Corte territoriale evidenziava che il Tribunale penale di Modena aveva ritenuto la responsabilità penale del COGNOME in ordine al reato di appropriazione indebita in danno del COGNOME e lo aveva condannato al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. La liquidazione di una provvisionale in sede penale non pregiudicava l’esercizio dell’azione revocatoria vista l’indipendenza dei due giudicati e, allo stesso modo, la determinazione del quantum in sede civile. La Corte d’appello di Bologna aveva poi dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato perché il reato si era estinto per prescrizione.
Il primo giudice aveva correttamente argomentato quanto alla quantificazione del danno che risultava agli atti la dichiarazione del COGNOME sul valore dei dipinti (dichiarazione di voler stipulare una
polizza assicurativa per lire un miliardo e 200 milioni oppure che li avrebbe acquistati per dire un miliardo).
Il valore attribuito dallo stesso appellante non era stato contestato ed era corroborato dalle valutazioni tecniche effettuate dalla nota casa d’aste RAGIONE_SOCIALE .
NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione avversa la suddetta sentenza.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
La Banca RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
AVV_NOTAIO ha depositato la rinuncia al mandato comunicata al ricorrente che non ha provveduto a nominare un nuovo difensore.
NOME COGNOME COGNOME memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nelle sue richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di soggetto tenuto alla restituzione del bene; carenza di legittimazione ad causam del convenuto alla domanda di restituzione dei quadri costituiti in pegno.
Secondo il ricorrente, la stessa controparte aveva dedotto che i beni erano in possesso di altri soggetti, sicché almeno per due dei quadri la domanda restitutoria doveva essere proposta nei confronti altrui, mentre la domanda revocatoria proposta nei confronti dell’atto di costituzione in pegno solo contro la banca non produceva alcun effetto restitutorio a favore del COGNOME, ma solo la mera possibilità per il creditore di soddisfarsi sul bene del terzo,
per tale motivo non era comprensibile neanche il motivo della disposta sospensione del giudizio.
In conclusione, secondo il ricorrente, la domanda di restituzione dei quadri di NOME COGNOME e NOME COGNOME formulata nei confronti del COGNOME doveva essere rigettata per carenza di legittimazione.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
D eve osservarsi come la Corte d’Appello abbia dato atto che i quadri erano stati già restituiti al COGNOME e, dunque, ha ritenuto sul punto inammissibile l’appello. La censura, pertanto, non coglie la ratio della sentenza impugnata posto che i quadri erano già stati restituiti dalla banca al COGNOME. Peraltro, la domanda del COGNOME era di accertamento della proprietà dei quadri consegnati al COGNOME e dati in pegno alla Banca oltre che di risarcimento del danno e dunque il ricorrente era certamente legittimato passivo tanto che la domanda del COGNOME è stata accolta.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e seguenti, 2699, 2700 c.c., contraddittorietà della motivazione riguardo la proprietà dei quadri.
Parte ricorrente dissente dall’interpretazione delle prove fornite dalla Corte territoriale in quanto non valutate nel loro complesso. A tal fine evidenzia come i quadri erano stati consegnati molto tempo prima e l’atto recante la data del 10 dicembre 1999 era stato artefatto nella data perché il COGNOME voleva precostituirsi un titolo di proprietà per evitare il concorso con gli altri creditori in vista del fallimento. Il Tribunale non avrebbe considerato la scansione temporale degli eventi in base a quali la vendita doveva ritenersi già conclusa con l’impegno a pagare il prezzo di un
miliardo di lire. Anche la deposizione del teste COGNOME non smentirebbe tale ricostruzione.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente con il motivo in esame afferma esplicitamente di dissentire dalla ricostruzione delle prove (pag. 14 del ricorso) con ciò rendendo palese l’inammissibilità della censura con la quale appunto si richiede un’ attività non consentita nel giudizio di legittimità di nuova valutazione del materiale probatorio.
Infatti, nel giudizio di cassazione, la parte non può dolersi del modo in cui il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali, in ordine ai diversi significati in astratto ricavabili dai mezzi di prova , potendo lamentare, invece, solo che la motivazione si è fondata su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, o che dalla fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo. Tale ipotesi, si ribadisce, è diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto. Peraltro, il ricorrente deve assolvere il duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza.
In conclusione, il ricorrente anche là dove denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, richiede esplicitamente una diversa valutazione delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio
di merito. Come si è più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito ( ex plurimus Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 26/04/2022).
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli articoli 306, 307 c.c. e 24 75 e 78 c.p.. La proposizione dell’azione civile, sia in sede civile sia in sede penale: inammissibilità; l’erronea quantificazione dell’obbligazione risarcitoria: contraddittorietà della motivazione violazione degli articoli 324 c.p.c. 2909 c.c.; del giudicato formatosi sul valore dei beni nel processo penale; ultrapetizione.
Il ricorrente con il motivo in esame pone tre distinte censure.
La prima attiene alla concorrenza dell’azione di risarcimento del danno del presente giudizio con quella asseritamente analoga proposta in sede penale nel giudizio relativo alla imputazione di appropriazione indebita da parte del COGNOME. Inoltre, vi sarebbero due statuizioni per la medesima domanda non coincidenti tra loro e la sentenza penale del Tribunale di Modena è anche passato in giudicato.
La seconda censura ha ad oggetto l’omessa valutazione del giudice circa il giudicato formatosi in sede penale sulla quantificazione del danno che costituirebbe un vizio di omessa pronuncia non potendosi ignorare la quantificazione già operata dal giudice penale in una cifra oscillante tra 620 e 450 milioni di lire.
La terza censura attiene all’utilizzo come parametro valutativo del prezzo artatamente concordato tra le parti per la vendita e non al valore del bene come accertato in sede penale ciò comporterebbe una contraddittorietà della motivazione. Sempre in tema di liquidazione del danno mancherebbe una motivazione adeguata anche per la parte relativa alla liquidazione del danno morale effettuata in via equitativa.
3.1 Le tre censure come sopra esposte sono inammissibili.
Quanto alla prima censura il ricorrente non si confronta con la ratio della sentenza impugnata là dove evidenzia che la condanna al risarcimento del danno in sede penale per l’appropriazione indebita dei quadri demandava al giudice civile la sua quantificazione e liquidazione. Inoltre, parte ricorrente non riferisce alcunché circa l’esito del giudizio penale in appello. In sentenza, infatti, si legge che il reato è stato dichiarato estinto per prescrizione ma nulla si dice in ordine alla costituzione di parte civile, il che rende ulteriormente inammissibile la doglianza.
Allo stesso modo con la seconda censura il ricorrente non tiene conto del fatto che la sentenza penale di primo grado è stata riformata dalla Corte d’Appello che, in ogni caso, non aveva affatto quantificato il danno e, dunque, il riferimento al valore dei quadri in quella sede stimato fino a un massimo di 600.000.000 di lire non poteva in alcun modo vincolare il giudice civile in ordine alla quantificazione del danno patito dal COGNOME a seguito dell’appropriazione indebita del COGNOME.
Propria in relazione a tale ultimo aspetto deve affermarsi l’inammissibilità della terza censura perché parte ricorrente lamenta un vizio di motivazione.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014); – nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello ha sufficientemente motivato sia in relazione agli interessi coinvolti nel giudizio presupposto che alla rilevanza della causa riconoscendo un moltiplicatore annuo superiore al minimo ed evidenziando che le maggiorazioni hanno carattere discrezionale e nella specie oggetto dell’equa riparazione era solo la durata del giudizio di appello.
Anche volendo riqualificare la censura sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti la stessa non sarebbe ammessa in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è d el tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità
del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento nella specie non svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 8500, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
Ric. 2020 n. 4387 sez. S2 – ud. 15/05/2024
previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione