Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2137 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2137 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8874/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonchè
-intimato- avverso SENTENZA di TRIBUNALE VICENZA n. 2164/2018 depositata il 11/09/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/09/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME chiese al Giudice di Pace di Vicenza di ingiungere a COGNOME NOME il pagamento della s omma di € 2.070,00, oltre interessi a titolo di prestazioni professionali per l’elaborazione e la tenuta della contabilità.
COGNOME NOME propose opposizione e, per quel che ancora rileva in questa sede, eccepì la carenza di legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE sostenendo di aver conferito l’incarico a COGNOME NOME, di cui chiese la chiamata in causa.
COGNOME NOME si costituì per resistere alla domanda.
Il Giudice di pace dichiarò la nullità del decreto ingiuntivo, senza decidere la causa nel merito.
Il Tribunale, adito in sede di appello dalla RAGIONE_SOCIALE accolse la domanda della RAGIONE_SOCIALE e condannò COGNOME NOME al pagamento della somma di € 2 .070,00, rigettandola nei confronti di NOME COGNOME.
Il Tribunale ritenne che la società creditrice avesse provato la fonte dell’obbligazione e l’adempimento della prestazione in quanto dalla documentazione prodotta risultava che la tenuta della contabilità e gli adempimenti fiscali, negli anni 2004-2006, erano stati svolti dalla RAGIONE_SOCIALE; il Tribunale evidenziò, inoltre, che NOME COGNOME
aveva apposto la firma sulla dichiarazione dei redditi 2004-2005 e sul certificato di attribuzione della partita Iva.
NOME COGNOME aveva, invece, svolto il ruolo di intermediario tra NOME COGNOME ed il responsabile della RAGIONE_SOCIALE, come emergeva dalle dichiarazioni rese dalla teste COGNOME e dalle dichiarazioni confessorie dello stesso NOME COGNOME; quest’ultimo, nel corso dell’interrogatorio formale , aveva dichiarato di aver messo in contatto COGNOME NOME con il ragioniere COGNOME della RAGIONE_SOCIALE, al quale aveva consegnato la documentazione contabile.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza sulla base di cinque motivi.
La RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME ha resistito con controricorso.
COGNOME NOME non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c., per apparenza della motivazione, perchè la Corte avrebbe fondato la propria decisione non sulla prova del conferimento dell’incarico alla RAGIONE_SOCIALE da parte di COGNOME Alberto ma sull’adempimento dell’obbligazione che, sarebbe, in radice, insussistente. Il ricorrente avrebbe, infatti, contestato di aver conferito l’incarico alla RAGIONE_SOCIALE sicchè non sarebbe pertinente la prova della causa estintiva dell’obbligazione.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2230 c.c., 2697 c.c., 115 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e 5 c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse provato il conferimento dell’incarico sulla base della documentazione dalla medesima prodotta in giudizio, la cui valenza probatoria sarebbe stata contestata dal ricorrente. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto della circostanza che NOME COGNOME gli sottoponeva documenti che il ricorrente firmava in buona fede, ritenendo che fossero da lui predisposti in adempimento dell’incaico conferitogli. Tanto risulterebbe dalla prova testimoniale, che confermerebbe il rapporto esistente tra il ricorrente e NOME COGNOME, elementi probatori di cui la Corte non avrebbe tenuto conto.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 c.c., 115 c.p.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 5 c.p.c., per avere il Tribunale fondato la prova del conferimento dell’incarico su elementi presuntivi di scarso rilievo, come la circostanza che sulla documentazione contabile fosse stata apposta la timbratura della RAGIONE_SOCIALE, dal momento che il timbro poteva essere apposto anche dopo la firma della documentazione consegnata al COGNOME; nessun rilievo sarebbe stato attribuito ad altri elementi istruttori e circostanze che deporrebbero per la sussistenza di un rapporto professionale intercorrente esclusivamente con NOME COGNOME e non con lo studio professionale.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art.115 c.p.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3
c.p.c., per omessa valutazione del materiale probatorio dal quale si evincerebbe l’esistenza del mandato professionale esclusivamente in favore di NOME COGNOME
I quattro motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Secondo l’univoco orientamento giurisprudenziale, il diritto al compenso del professionista postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, anche per presunzioni, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 2, 24 gennaio 2017, n. 1792; Cass. Sez. 2, 3 agosto 2016, n. 16261; Cass. Sez. 2, 10 febbraio 2006, n. 3016; Cass. Sez. 2, 29 settembre 2004, n. 19596).
Nel caso di specie, la Corte ha tratto la prova del conferimento dell’incarico alla RAGIONE_SOCIALE dalle dichiarazioni della teste COGNOME e dalla circostanza che la società avesse tenuto la contabilità e svolto gli adempimenti fiscali negli anni 2004-2006; il Tribunale ha, inoltre, evidenziato che NOME COGNOME aveva apposto la propria firma alla dichiarazione degli anni 2004-2006 e sul certificato di attribuzione della partita Iva.
Tali elementi probatori, secondo il ragionamento plausibile del Tribunale, erano idonei a manifestare inequivocabilmente la volontà di COGNOME NOME di avvalersi dell’attività dello studio professionale, con il quale era entrato in contatto per il tramite di COGNOME NOME, secondo la valutazione delle dichiarazioni rese dalla teste COGNOME
La sentenza consente di cogliere, in modo chiaro e lineare, il percorso logicogiuridico del Tribunale, sottraendosi dal vizio dell’apparenza della motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053/2014; Cass., sez. un., 27/12/2019, n. 34476).
Il ricorso per cassazione, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 228 c.p.c., 231 c.p.c. e 2730 c.c., oltre all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c., per avere la il Tribunale tratto la prova dell’esistenza del rapporto professionale del ricorrente con la RAGIONE_SOCIALE dal contenuto delle dichiarazioni rese da NOME COGNOME nel corso dell’interrogatorio formale; tali dichiarazioni, non essendo contra se e non avendo, quindi, natura confessoria, non sarebbero idonee a provare l’inesistenza del rapporto professionale del ricorrente con NOME COGNOME di cui aveva chiesto la chiamata in causa. Al contempo, le dichiarazioni del terzo chiamato non avrebbero potuto provare il conferimento dell’incarico alla RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è fondato ma, poiché l’errore di diritto non conduce all’accoglimento del ricorso, la motivazione sul punto della sentenza può essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c.
Il Tribunale ha ritenuto l’esistenza del rapporto professionale tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE sulla base di numerosi elementi probatori, consistiti nella prova testimoniale e documentale, relegando l’attività svolta da COGNOME NOME nell’ambito di un mero intermediario tra il ricorrente e la società. Tali conclusioni sono state
confermate dalle dichiarazioni rese da COGNOME Giulio nel corso dell’interrogatorio formale.
Il Tribunale ha errato nell’attribuire valore di prova legale alle dichiarazioni del terzo NOME COGNOME trattandosi di dichiarazioni che non avevano natura confessoria, perché non ammettevano un fatto a sé sfavorevole e favorevole al ricorrente, che aveva dedotto di avergli conferito l’incarico e di aver adempiuto al pagamento.
Si tratta di dichiarazioni rese in un processo con pluralità di parti, che, essendo volto a provocare la confessione giudiziale di fatti sfavorevoli alla parte confitente e favorevoli al soggetto che si trova, rispetto ad essa, in posizione antitetica e contrastante, produce effetti nei confronti della parte che le fa e della parte che la provoca, ma non può acquisire il valore di prova legale nei confronti di persone diverse dal confitente, in quanto costui non ha alcun potere di disposizione relativamente a situazioni giuridiche facenti capo ad altri, distinti soggetti del rapporto processuale e, se anche il giudice ha il potere di apprezzare liberamente la dichiarazione e trarne elementi indiziari di giudizio nei confronti delle altre parti, tali elementi non possono prevalere rispetto alle risultanze di prove dirette (Cass. sez. VI, 06/12/2021, n. 38626; Cass. sez. VI, 12/10/2015, n. 20476).
Ne consegue che le dichiarazioni rese da NOME COGNOME nel corso dell’interrogatorio formale non erano idonee a provare l’inesistenza del rapporto professionale con COGNOME NOME perché non avevano contenuto e valore confessorio ed erano liberamente apprezzabili nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
L’errore di diritto è, però, ininfluente ai fini della decisione , che è fondata su ben altri elementi probatori, aventi valore di prova diretta. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione