Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13423 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13423 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7399-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/01/2021 R.G.N. 2322/2020;
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/03/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
1. con sentenza 4 gennaio 2021, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del reclamo incidentale del lavoratore indicato in epigrafe e rigetto di quello principale di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha annullato il licenziamento da questa intimatogli il 26 agosto 2016, condannato la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e dichiarato il suo diritto al pagamento di un’indennità risarcitoria in misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi e rivalutazione e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dalla data del licenziamento a quella di effettiva reintegrazione maggiorati degli interessi legali: così riformando la sentenza di primo grado, che, in esito a rito COGNOME e in applicazione del testo novellato dell’art. 18, quinto comma legge n. 300/1970, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti e accertato il diritto del lavoratore alla percezione di un’indennità risarcitoria in misura di diciotto mensilità del l’ultima retribuzione globale di fatto, escludendo la condanna per la soggezione della società datrice alla procedura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
2. la Corte territoriale ha diversamente valutato, rispetto al Tribunale, la condotta contestata dalla società al lavoratore: avere questi (assistente di volo al termine del proprio turno lavorativo, in orario non compreso in quello dello sciopero indetto il 5 luglio 2016 e che la società aveva invitato a boicottare), in occasione dell’incontro nel comune albergo prenotato a New York dalla datrice con due colleghi, pure al termine di altro volo invece in orario di sciopero (i quali
avevano sostituito alcuni membri dell’equipaggio, che ad esso avevano aderito) infilato, in particolare, nella fessura sotto la porta della loro stanza di albergo un foglio di carta con questa parole: ‘merda hai coperto volo dei scioperanti’ ;
2.1. essa ha, infatti, ritenuto tale comportamento irrilevante sotto il profilo disciplinare, siccome al di fuori dell’orario di lavoro e dello svolgimento delle mansioni di assistente di volo, essendo comunque consistito in una critica, anche se volgare, al comportamento di colleghi relativo a relazioni sindacali, assolutamente estraneo alle ipotesi di rilevanza disciplinare delle condotte extralavorative del dipendente. Sicché, essa ha reputato il licenziamento, ribaditane l’esclusione del carattere discr iminatorio né ritorsivo, legittimo per insussistenza di illiceità del fatto contestato e così giustificante l’applicazione della tutela reintegratoria; 3. quanto, infine, alla dedotta improponibilità o improseguibilità della domanda di condanna risarcitoria per la soggezione della società datrice alla procedura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la Corte capitolina ha rilevato come la sentenza impugnata abbia reso una pronuncia, non già di condanna, bensì di accertamento del diritto del lavoratore alla percezione di un’indennità risarcitoria (ben consentita dal più recente e condiviso indirizzo giurisprudenziale di legittimità), rideterminata, per l’applica zione della tutela reintegratoria, nella misura sopra indicata;
con atto notificato il 3 marzo 2021, la società in RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729, 2119 c.c., 1 legge n. 604/1966, 18 legge n. 300/1970, 112, 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente escluso l’integrazione della giusta causa nel comportamento del dipendente, di gravità tale da eccedere gli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale, contrario alle norme di etica e di civile convivenza, sulla dirimente negazione del suo carattere minatorio, con motivazione incoerente in riferimento al mancato rispetto di standards specifici, tratti dalle regole della realtà aziendale, pure ritenendo irrilevanti ulteriori circostanze incidenti sulla serenità emotiva dei colleghi tanto volgarmente offesi e la condotta dell’incolpato estranea alla relazione con l’azienda e i rapporti lavorativi (primo motivo);
omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, quale la sostanziale ed integrale ammissione da parte del lavoratore incolpato dei fatti oggetto della contestazione disciplinare (terzo motivo);
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300/1970 in riferimento all’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non provata la contestazione datoriale di violazione degli ‘immanenti obblighi di diligenza e correttezza ‘, per mancata produzione del codice etico, in quanto irrilevante per attingere il livello correntemente ritenuto di un ordinario intrattenimento di rapporti civili con i colleghi, non esigente la previa affissione del codice disciplinare (quarto motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
3. la denunciata negazione della ricorrenza di una giusta causa di licenziamento non configura una censura di errore di diritto, non afferendo essa all’operazione di sussunzione della Corte territoriale della concreta fattispecie nel parametro generale della clausola elastica integrante una lesione irrimediabile del vincolo di fiducia (solo sindacabile in sede di legittimità: Cass. 10 luglio 2018, n. 18170; Cass. 2 maggio 2022, n. 13774), alla base del rapporto di lavoro tra le parti secondo l’accertamento compiuto dalla Corte di merito (dal penultimo capoverso di pg. 8 al primo di pg. 12 della sentenza). Piuttosto, essa si rivela contestazione dell’apprezzamento in fatto della Corte territoriale, insindacabile in sede di legittimità essendo la compiuta valutazione di gravità della condotta, nella consapevolezza dello standard integrante la nozione di giusta causa (esplicitato all’ultimo capoverso di pg. 11 e al primo periodo di pg. 12 della sentenza), in base a congruo ragionamento argomentativo aderente alle circostanze accertate;
4. difetta poi di decisività la circostanza (ammissione da parte del lavoratore incolpato dei fatti oggetto della contestazione disciplinare) denunciata come omessa nell’esame, di cui peraltro la Corte ha pure dato atto nell’illustrazione del fatto (al qua rt’ultimo capoverso di pg. 3 della sentenza), per avere essa ritenuto la vicenda, incontestata nella sua oggettività, irrilevante disciplinarmente siccome non integrante violazione di standards relativi a condotta del lavoratore idonea alla rottura del vincolo fiduciario con la società datrice; 5. tanto vale anche in riferimento al sia pure riscontrato difetto di prova degli ‘immanenti obblighi di diligenza e correttezza anche in relazione a quanto previsto dal Codice Etico aziendale’ , per la sua mancata produzione, tuttavia irrilevante per avere la Corte capitolina escluso alcuna inosservanza di norme comportamentali disciplinarmente
rilevanti, da parte del lavoratore incolpato, nei confronti di colleghi, tanto meno comportanti ‘ un riflesso, anche solo potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto di lavoro compromettendo le aspettative di un futuro puntuale adempimento, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività, perché di gravità tale, per contrarietà alle norme dell’etica e del vivere comuni, da connotare la figura morale del lavoratore’ (così dal terz’ultimo alinea di pg. 10 al secondo di pg. 11 della sentenza). E così pure ininfluenti, ai fini disciplinari, comportamenti extra-lavorativi riguardanti le relazioni sindacali, per la rigorosa neutralità rispetto ad esse della posizione datoriale, per le ragioni ampiamente e correttamente argomentate dalla Corte, in esatta applicazione dei principi di diritto regolanti la materia ( sub p.ti 3, 3.1, 3.2 da pg. 8 a pg. 11 della sentenza);
6. la ricorrente ha poi dedotto nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione sulla mancata ammissione dei mezzi istruttori e violazione e falsa applicazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., 118, primo comma disp. att. c.p.c., per motivazione generica in ordine alla loro mancata ammissione (secondo motivo);
7. esso è inammissibile;
8. il motivo difetta, infatti, di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., a pena di inammissibilità, in assenza di trascrizione dei mezzi istruttori non ammessi (Cass. 23 aprile 2010, n. 9748; Cass. 4 aprile 2018, n. 8204) e prima ancora per la novità della deduzione, di cui né tratta la sentenza né la ricorrente indica in quale atto abbia effettivamente chiesto l’ammissione di mezzi istruttori (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804 ), per l’inidoneità del riferimento assolutamente vago ad un’articolazione ‘nella fase sommaria, nella fase di opposizione e, infine, nella fase di
reclamo’ (ai primi due alinea di pg. 19 del ricorso), senza alcuna più specifica né documentata indicazione;
la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 18, quarto comma legge n. 300/1970 e 118, primo comma disp. att. c.p.c., per motivazione generica della sentenza in ordine all’asserita carenza di illiceità del fatto contestato, avendo peraltro dato atto della sussistenza del fatto contestato, ancorché ‘ridotto’ a ‘critica, anche se volgare’ (quinto motivo);
10. esso è infondato;
11. giova preliminarmente ribadire che la tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970 novellato, applicabile ove sia ravvisata l”insussistenza del fatto contestato’, comprende l’ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità (Cass. 5 dicembre 2017, n. 29062; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3655); non già il difetto degli elementi essenziali della giusta causa o del giustificato motivo, cd. fatto ‘giuridico’, in quanto, ne l sistema della legge n. 92/2012, il giudice deve in primo luogo accertare se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, e, nel caso in cui escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, poi svolgere, al fine di individuare la tutela applicabile, una ulteriore disamina sulla sussistenza o meno delle condizioni normativamente previste per l’accesso alla tutela reintegratoria (Cass. 10 febbraio 2020, n. 3076: Cass. 21 febbraio 2023, n. 5388);
11.1. nel caso di specie, la Corte d’appello ha offerto un’esauriente motivazione dell’applicazione della tutela reintegratoria attenuata, per insussistenza del carattere di illiceità del fatto (al terz’ultimo capoverso di pg. 12 della sentenza), per le ragioni diffusamente esposte (ai citati p.ti
sub 3, 3.1, 3.2 della sentenza) e conclusivamente sintetizzate ( sub p.to 4, al primo capoverso di pg. 12 della sentenza);
12. la ricorrente ha infine dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 52 legge fall., in combinato disposto con gli artt. 409, 433 c.p.c., per improcedibilità della domanda di condanna risarcitoria sulla base della ripartizione cognitoria tra giudice del lavoro e giudice fallimentare individuata dalla giurisprudenza di legittimità (sesto motivo); 13. anch’ esso è infondato;
14. nel riparto di competenza tra il giudice del lavoro e quello del fallimento il discrimine va individuato nelle rispettive prerogative speciali, spettando al primo, quale giudice del rapporto, le controversie riguardanti lo ‘status’ del lavoratore, in riferimento ai diritti di corretta instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto, della sua qualificazione e qualità, volte ad ottenere pronunce di mero accertamento oppure costitutive, come quelle di annullamento del licenziamento e di reintegrazione nel posto di lavoro; al fine di garantire la parità tra i creditori, rientrano, viceversa, nella cognizione del giudice del fallimento, le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Cass. 30 marzo 2018, n. 7990; Cass. 11 aprile 2023, n. 9621, in motivazione sub p.to 7).
In tema di indennità risarcitoria ai sensi dell’art. 18 legge n. 300/1970, come novellato dall’art. 1, comma 42 legge n. 92/2012, qualora risulti l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio, in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE bensì alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al
giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento dell’entità dell’indennità risarcitoria: come appunto nel caso di specie, di accertamento (e non già di condanna, come erroneamente prospettato nel motivo di censura) del diritto del lavoratore illegittimamente licenziato all’indennità risarcitoria nella misura disposta, perché si radica anch’essa ‘su una valutazione calibrata di elementi interni al rapporto di lavoro (anzianità del dipendente, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti, ai sensi dell’art. 18, quinto comma, richiamati dal settimo comma, con l’aggiunta del comportamento del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione e delle parti nell’ambito della procedura stabilita dall’art. 7 I. 604/1966 e succ. mod.), ovvero sulla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro (aggiunta dall’art. 18, sesto comma ai citati elementi del quinto comma): tutti dati apprezzabili, per palese cognizione, dal giudice del rapporto (idest: del lavoro)’ (Cass. 21 giugno 2018, n. 16443, in motivazione sub p.to 9.2);
15. pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la società in procedura ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per
compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 12 marzo 2024