Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30558 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30558 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28974-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 629/2022 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/10/2022 R.G.N. 434/2022;
Oggetto
LICENZIAMENTO
DISCIPLINARE
R.G.N. 28974/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/10/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna, confermando il provvedimento del giudice di primo grado, ha accolto la domanda proposta (in via riconvenzionale) da NOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE tesa alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 26.2.2021.
La Corte territoriale ha ribadito che la condotta extralavorativa tenuta dalla dipendente – consistente nella pubblicazione di un suo post su Facebook in forma pubblica contenente espressioni gravemente offensive e diffamatorie nei confronti di un ex coniuge di un dipendente della banca stessa, condotta punita in sede penale quale reato di diffamazione pluriaggravata -non ha alcun collegamento di rilievo con il rapporto di lavoro né incide sulla funzionalità del rapporto; il fatto disciplinarmente contestato doveva, pertanto, ritenersi insussistente, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970
Avverso tale sentenza la banca ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La lavoratrice ha resistito con controricorso.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970, 1375 e 1175 c.c., 41 CCNL ABI, per avere, la Corte territoriale,
valutato (ai fini della carenza di una giusta causa tale da elidere il vincolo fiduciario tra le parti nonché ai fini della tardività della contestazione) l’attesa della banca nell’erogare la sanzione espulsiva, senza considerare la norma contrattuale (art. 41 CCNL) che consente al datore di lavoro di attendere le risultanze, anche non definitive, del procedimento penale (purché ciò sia comunicato per iscritto lavoratore, circostanza rispettata dal datore di lavoro) e che prevede solamente quale mera facoltà la possibilità di allontanare il dipendente per motivi cautelari (con obbligo di retribuzione).
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2119 c.c., 38 e 53 CCNL ABI, nonché Protocollo di intesa del 16.6.2004 posto che il comportamento della lavoratrice si è posto in palese contrasto con i principi di disciplina, di dignità e di moralità cui deve costantemente conformarsi la condotta di tutto il personale, con particolare riferimento al settore bancario.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
3.1. Le censure non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata perché la ricorrente insiste sulla errata considerazione (alla luce delle facoltà dettate dall’art. 41 CCNL ABI) dell’ampio lasso di tempo trascorso tra la condotta della lavoratrice e l’adozione del provvedimento disciplinare, argomento del tutto secondario, ad adiuvandum, speso dalla Corte territoriale che ha fondato la pronuncia sulla carenza di collegamenti tra detta condotta e la corretta funzionalità del rapporto di lavoro e sull’ assenza di indici probatori che potessero far dubitare del futuro corretto adempimento della mansioni di addetta allo sportello della lavoratrice.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La censura formulata come violazione o falsa applicazione di legge mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità.
4.2. Ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che ‘sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione’, così travalicando ‘dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti’ (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
4.3. La censura in esame è inammissibile in quanto non individua un errore di diritto ma, piuttosto, involge apprezzamenti di merito in ordine alla ricaduta negativa del comportamento tenuto dalla lavoratrice sulla funzionalità del rapporto di lavoro, valutazione in quanto tale sottratta al sindacato di questa Corte.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché
in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, de ll’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 ottobre