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Condotta del danneggiato: quando esclude il risarcimento

Un commerciante cade a causa di uno smottamento vicino a un cantiere, ma la sua richiesta di risarcimento viene respinta. La Corte di Cassazione conferma le decisioni precedenti, stabilendo che la condotta del danneggiato, se imprudente e imprevedibile, può interrompere il nesso causale e annullare la responsabilità del custode (in questo caso, il Comune). Il caso sottolinea come la disattenzione della vittima di fronte a un pericolo prevedibile sia decisiva per escludere il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Condotta del danneggiato: quando esclude il risarcimento

Un incidente può cambiare la vita, ma cosa succede quando la causa non è solo un ostacolo sulla strada, ma anche la nostra stessa disattenzione? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a fare luce sul delicato equilibrio tra la responsabilità di chi custodisce un bene (come una strada pubblica) e la condotta del danneggiato. La decisione chiarisce che un comportamento imprudente da parte della vittima può arrivare a escludere completamente il diritto al risarcimento, anche in presenza di una potenziale situazione di pericolo.

I Fatti di Causa: una caduta dalle conseguenze complesse

La vicenda ha inizio nel lontano 1998. Un commerciante subisce la frattura dell’avambraccio a seguito di una caduta avvenuta nei pressi della sua attività. L’incidente, secondo la sua ricostruzione, sarebbe stato causato da uno smottamento del terreno adiacente a uno scavo per la rete fognaria. Di conseguenza, il commerciante decide di citare in giudizio sia il Comune, in qualità di committente dei lavori, sia l’impresa edile appaltatrice, chiedendo il risarcimento dei danni subiti. A suo avviso, entrambi erano responsabili per i danni derivanti dalla cosa che avevano in custodia: il cantiere.

Il Percorso Giudiziario: una doppia sconfitta

Sia in primo grado, presso il Tribunale, sia in secondo grado, davanti alla Corte d’Appello, le richieste del commerciante vengono respinte. I giudici di merito, dopo aver analizzato le prove e le testimonianze, giungono alla conclusione che la responsabilità dell’accaduto non potesse essere addebitata né al Comune né all’impresa. Secondo le corti territoriali, la caduta era da attribuirsi principalmente al comportamento della vittima. Non rassegnato, il commerciante decide di portare il caso fino all’ultimo grado di giudizio, proponendo ricorso per Cassazione.

La condotta del danneggiato e la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato le sentenze precedenti, rigettando il ricorso del commerciante. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di responsabilità da cose in custodia, disciplinata dall’art. 2051 del codice civile. Questa norma stabilisce una responsabilità di tipo oggettivo: il custode è responsabile a prescindere da una sua colpa, per il solo fatto di avere un potere di controllo sulla cosa che ha causato il danno.

L’unica via d’uscita per il custode è la prova del “caso fortuito”, ovvero un evento imprevedibile e inevitabile che si inserisce nel rapporto tra la cosa e il danno, interrompendo il nesso causale. La Corte ha chiarito che anche la condotta del danneggiato può configurare un caso fortuito, quando è talmente imprudente, imprevedibile e anomala da diventare la causa esclusiva dell’evento.

Le motivazioni: l’interruzione del nesso causale

La Corte ha ritenuto inammissibili o infondati tutti i sette motivi di ricorso. In particolare, ha sottolineato che le lamentele del ricorrente si concentravano su una diversa valutazione dei fatti e delle prove (come le testimonianze), attività che non è consentita in sede di legittimità, specialmente quando i giudici di primo e secondo grado sono giunti alla medesima conclusione (principio della “doppia conforme”).

Il punto cruciale della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 1227, primo comma, del codice civile, che disciplina il concorso di colpa del danneggiato. I giudici hanno spiegato che, quanto più una situazione di pericolo è prevedibile e superabile con l’ordinaria diligenza, tanto più il comportamento della vittima che non adotta le necessarie cautele assume un ruolo decisivo. Nel caso di specie, la condotta imprudente del commerciante è stata ritenuta talmente rilevante da interrompere il nesso eziologico tra lo stato dei luoghi e la caduta, diventando essa stessa la causa unica ed esclusiva del danno.

Le conclusioni: quando la disattenzione costa cara

Questa ordinanza offre un importante monito: la responsabilità per i danni causati da cose in custodia non è assoluta. I cittadini hanno il dovere di agire con prudenza e ragionevole cautela. Ignorare un pericolo visibile e facilmente evitabile significa assumersi il rischio delle conseguenze.

La decisione ribadisce che il diritto al risarcimento non è una garanzia automatica in caso di incidente. Il comportamento della vittima viene attentamente vagliato dai giudici e, se ritenuto la vera causa dell’evento, può portare alla perdita totale di qualsiasi indennizzo. Per gli enti pubblici e i privati custodi di beni, ciò significa che, pur rimanendo l’obbligo di mantenere le cose in condizioni di sicurezza, non saranno ritenuti responsabili per incidenti causati dall’esclusiva e imprevedibile negligenza altrui.

Quando la condotta del danneggiato può escludere totalmente la responsabilità del custode?
La responsabilità del custode (ad esempio, un Comune per una strada) è esclusa quando la condotta della vittima è talmente imprudente e imprevedibile da interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno. Questo accade specialmente quando il pericolo è facilmente prevedibile e superabile con l’ordinaria diligenza.

È necessario che il custode sollevi una specifica eccezione sulla colpa del danneggiato?
No. Secondo la Corte, la valutazione del concorso di colpa del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., è una questione di diritto che il giudice può rilevare anche d’ufficio, senza una specifica richiesta della parte convenuta, in quanto attiene alla ricostruzione del nesso causale.

Perché la Cassazione ha respinto la richiesta di rivalutare le prove e i fatti?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è riesaminare le prove (come testimonianze o interrogatori), ma verificare la corretta applicazione delle norme di diritto. Poiché sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano già valutato i fatti arrivando alla stessa conclusione (c.d. ‘doppia conforme’), la richiesta di una nuova valutazione era inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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