LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Condotta antisindacale: legge regionale e P.A. esenti

Un’associazione sindacale ha accusato una Regione di condotta antisindacale per aver dirottato, tramite leggi regionali, fondi destinati ai dirigenti verso il personale di comparto. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo due principi fondamentali. Primo, l’emanazione di una legge è un atto politico non sindacabile in sede giurisdizionale come condotta antisindacale. Secondo, la Pubblica Amministrazione, in qualità di datore di lavoro, ha l’obbligo di applicare le leggi vigenti e non può essere ritenuta responsabile per tale adempimento, anche se la legge è di dubbia costituzionalità. Inoltre, la Corte ha rilevato la mancanza del requisito dell’attualità del pregiudizio, necessario per la tutela ex art. 28 Stat. Lav., poiché gli effetti della condotta si erano ormai consolidati nel tempo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Condotta antisindacale: quando una legge regionale non giustifica l’azione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema complesso e di grande rilevanza: può una Pubblica Amministrazione essere accusata di condotta antisindacale per aver applicato una legge regionale che modifica le risorse destinate alla contrattazione collettiva? La risposta della Corte delinea i confini tra l’attività politica del legislatore e le responsabilità del datore di lavoro pubblico, introducendo i concetti di insindacabilità dell’atto legislativo e del requisito dell’attualità del pregiudizio.

I Fatti del Caso: Una Legge Regionale al Centro della Disputa

Un’importante associazione sindacale rappresentativa dei dirigenti di una Regione ha citato in giudizio l’ente, accusandolo di comportamento antisindacale. Il motivo della contesa era l’approvazione di due leggi regionali che avevano disposto il trasferimento di una parte consistente delle risorse economiche, originariamente destinate al fondo per la retribuzione accessoria dei dirigenti, al fondo per la produttività del personale del comparto non dirigenziale.

Secondo il sindacato, questa operazione, seppur prevista da una legge, ledeva le prerogative sindacali, poiché sottraeva materia alla contrattazione collettiva in violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”, come previsto dalla Costituzione. La Corte d’Appello aveva già respinto la domanda, ritenendo che la fonte del danno non fossero gli accordi attuativi, ma la legge regionale stessa, un atto politico non direttamente attaccabile con l’azione per condotta antisindacale.

La Decisione della Corte e la condotta antisindacale

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la decisione di rigetto del ricorso, ma ha fornito una motivazione più articolata, basata su tre pilastri giuridici fondamentali.

L’Insindacabilità dell’Atto Legislativo

In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio cardine del nostro ordinamento: l’attività legislativa, in quanto espressione di una funzione politica, è insindacabile in sede giurisdizionale. Ciò significa che l’emanazione di una legge, anche se sospettata di incostituzionalità, non può essere di per sé qualificata come condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. L’atto legislativo è un atto politico sottratto al controllo del giudice ordinario, che può solo eventualmente sollevare una questione di legittimità costituzionale.

L’Obbligo della P.A. di Applicare la Legge

In secondo luogo, la Corte ha analizzato la posizione della Regione in qualità di datore di lavoro. Anche di fronte a una legge potenzialmente incostituzionale, una Pubblica Amministrazione è tenuta a conformarsi alla normativa vigente fino a quando non intervenga una pronuncia della Corte Costituzionale. Applicare una legge è un dovere per la P.A. e, pertanto, tale comportamento non può essere considerato illecito o fonte di responsabilità, né tantomeno integrare una condotta antisindacale.

Il Requisito dell’Attualità nella condotta antisindacale

Il terzo e decisivo punto riguarda il requisito dell'”attualità” del pregiudizio. La tutela prevista per la condotta antisindacale è finalizzata a reprimere comportamenti lesivi in corso e a rimuoverne gli effetti. Nel caso di specie, le leggi e gli accordi contestati risalivano a diversi anni prima (2014 e 2015). La situazione lavoristica che ne era derivata si era ormai consolidata. Di conseguenza, secondo la Corte, mancava un interesse sindacale attuale e concreto alla rimozione degli effetti pregressi o all’inibizione di comportamenti futuri. L’azione, quindi, era inammissibile per difetto di questo requisito fondamentale, rendendo irrilevante anche la questione sulla legittimità costituzionale delle leggi regionali.

Le Motivazioni in Dettaglio

La Corte ha spiegato che la tutela contro la condotta antisindacale è un rimedio con caratteristiche precise, mirato a garantire la correttezza delle dinamiche delle relazioni sindacali nel presente. Non può essere utilizzata come strumento per rimettere in discussione assetti dei rapporti di lavoro consolidati da anni, specialmente quando ciò andrebbe a scapito della stabilità e del buon andamento della pubblica amministrazione. La pretesa di rimuovere dopo tanto tempo gli effetti di accordi passati è stata considerata sproporzionata rispetto alla finalità della norma. Dato che il trasferimento di risorse era un evento definito e concluso negli anni 2014 e 2015, non vi era alcun comportamento attuale da inibire. Questa carenza del requisito dell’attualità ha reso la domanda inaccoglibile, a prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza della questione di incostituzionalità.

Le Conclusioni

L’ordinanza stabilisce principi chiari per le controversie in materia di pubblico impiego. L’emanazione di una legge non è un atto datoriale e non può costituire condotta antisindacale. La Pubblica Amministrazione che si limita ad applicare tale legge agisce nell’adempimento di un dovere e non può essere sanzionata per questo. Infine, l’azione ex art. 28 Stat. Lav. richiede un pregiudizio attuale e persistente alle prerogative sindacali, non potendo essere utilizzata per contestare situazioni ormai cristallizzate nel tempo. La decisione, quindi, traccia una linea netta tra la sfera politica, la responsabilità amministrativa e la tutela giurisdizionale dei diritti sindacali.

L’approvazione di una legge regionale può essere considerata condotta antisindacale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’emanazione di una legge è un atto politico afferente a funzioni legislative, che gode di insindacabilità in sede giurisdizionale. Pertanto, non può costituire di per sé un comportamento perseguibile come condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 della Legge n. 300/1970.

Una Pubblica Amministrazione commette condotta antisindacale se applica una legge poi ritenuta incostituzionale?
No. La Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di conformarsi alle leggi vigenti, ai sensi degli artt. 97 e 136 della Costituzione, fino a un’eventuale declaratoria di incostituzionalità. Di conseguenza, il suo comportamento attuativo di una legge non può essere considerato illecito o fonte di responsabilità per condotta antisindacale.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto la domanda inammissibile per difetto di ‘attualità’?
La Corte ha ritenuto che mancasse il requisito dell’attualità del pregiudizio. La tutela per la condotta antisindacale è finalizzata a reprimere un comportamento lesivo in atto o a rimuoverne gli effetti persistenti. Nel caso specifico, le norme e gli accordi erano del 2014 e 2015 e gli assetti dei rapporti di lavoro si erano ormai consolidati, facendo venire meno un interesse sindacale attuale e concreto che giustificasse un intervento del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati