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Condotta antisindacale: fondi dirigenti a non dirigenti

Una pubblica amministrazione regionale, durante la contrattazione integrativa, ha concordato con alcune sigle sindacali di destinare i fondi residui, originariamente previsti per la retribuzione dei dirigenti, al personale non dirigente. Un’organizzazione sindacale rappresentativa dei dirigenti ha impugnato l’accordo, denunciando una condotta antisindacale. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la contrattazione integrativa non ha il potere di modificare la destinazione dei fondi stabilita dalle fonti di livello superiore (contratto nazionale). Tale comportamento, che esorbita dalle competenze della contrattazione di secondo livello, è stato qualificato come condotta antisindacale.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Condotta Antisindacale: Quando la Contrattazione Integrativa Supera i Limiti

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, n. 23714/2024, affronta un tema cruciale nelle relazioni sindacali all’interno della Pubblica Amministrazione: i confini della contrattazione integrativa e la configurabilità di una condotta antisindacale. La Suprema Corte ha stabilito un principio fondamentale: la contrattazione a livello di singolo ente non può modificare la destinazione delle risorse economiche stabilita dai contratti collettivi nazionali, pena l’illegittimità del proprio operato. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni dei giudici.

Il Contesto della Controversia: La Destinazione dei Fondi Residui

Il caso nasce dalla decisione di un’amministrazione regionale di destinare, tramite un accordo integrativo, i fondi residui stanziati per la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti a favore di istituti contrattuali del personale non dirigenziale. Un’organizzazione sindacale, rappresentativa della categoria dirigenziale, si opponeva a questa decisione, ritenendola lesiva dei propri diritti e delle prerogative stabilite dalla contrattazione nazionale, e denunciava quindi una condotta antisindacale da parte dell’ente pubblico.

La questione centrale era se un accordo locale potesse legittimamente ‘stornare’ fondi da un comparto (quello dirigenziale) a un altro, andando di fatto a modificare quanto previsto dalle fonti normative e contrattuali di livello superiore, che vincolavano quelle risorse a specifiche finalità retributive per i dirigenti.

La Decisione della Cassazione sulla Condotta Antisindacale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’organizzazione sindacale, cassando la sentenza precedente e dichiarando l’antisindacalità del comportamento tenuto dall’amministrazione regionale.

Il Ruolo Limitato della Contrattazione Integrativa

I giudici hanno chiarito che il sistema della contrattazione nel pubblico impiego privatizzato è gerarchicamente strutturato. La contrattazione integrativa (o di secondo livello) ha il compito di definire aspetti di dettaglio, come i “criteri generali per la distribuzione delle risorse finanziarie”, ma non può alterare la destinazione finale di tali risorse, già fissata dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL). Nel caso specifico, i fondi per la retribuzione di posizione e risultato dei dirigenti erano stati istituiti e finanziati a livello nazionale per quella specifica categoria. La contrattazione integrativa non aveva il potere di disporre diversamente, indirizzandoli verso il personale non dirigente.

L’irrilevanza della Legge Regionale Successiva

L’amministrazione si era difesa anche richiamando una legge regionale, approvata successivamente, che sembrava autorizzare tale riallocazione di risorse. La Corte ha ritenuto questo argomento non pertinente. Una legge successiva non può sanare retroattivamente una condotta antisindacale già posta in essere. Il comportamento illecito si è consumato al momento della sottoscrizione dell’accordo integrativo, quando l’ente ha agito al di fuori delle proprie competenze negoziali, violando le prerogative sindacali.

Le motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la destinazione dei fondi non è materia disponibile per la contrattazione integrativa. Quest’ultima interviene, come precisato dai giudici, “al più limitato fine di fissare i criteri per ripartire tra la retribuzione di risultato e quella di posizione i Fondi stabiliti dalle fonti superiori”.

L’aver trattato e concordato una materia estranea alle proprie competenze, per di più a favore di un comparto (quello non dirigenziale) diverso da quello cui la contrattazione si riferiva, costituisce un’ingerenza indebita e una violazione delle regole del gioco delle relazioni sindacali. Le organizzazioni sindacali chiamate a trattare per l’area dirigenziale non avevano la legittimazione né l’interesse a disporre di quei fondi per altre categorie di personale. Questo sviamento di potere negoziale integra pienamente la fattispecie della condotta antisindacale.

Le conclusioni

La pronuncia stabilisce un importante paletto per la contrattazione decentrata nella Pubblica Amministrazione. Essa non può essere utilizzata come strumento per aggirare i vincoli di destinazione delle risorse stabiliti a livello nazionale. La decisione riafferma la rigidità della gerarchia delle fonti nella contrattazione collettiva del pubblico impiego e tutela le prerogative delle organizzazioni sindacali, garantendo che le risorse destinate a specifiche categorie di lavoratori non vengano sottratte attraverso accordi locali che esorbitano dalle proprie competenze.

La contrattazione integrativa può cambiare la destinazione dei fondi stabilita a livello nazionale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la contrattazione integrativa ha un ambito di applicazione limitato alla definizione dei criteri di distribuzione delle risorse all’interno delle finalità già stabilite dal Contratto Collettivo Nazionale, ma non può alterarne la destinazione.

Un accordo che destina fondi per i dirigenti al personale non dirigente costituisce condotta antisindacale?
Sì. La Corte ha stabilito che trattare e definire in sede di contrattazione integrativa una materia (la destinazione dei fondi) che esula dalle proprie competenze, indirizzando le risorse verso un comparto diverso da quello di riferimento, costituisce una condotta antisindacale perché viola le regole del sistema di relazioni sindacali.

Una legge regionale successiva può sanare una condotta antisindacale già avvenuta in sede di contrattazione?
No. La Corte ha chiarito che una normativa successiva non può avere efficacia retroattiva per legittimare un comportamento datoriale che, al momento in cui è stato posto in essere, era già illegittimo e configurava una condotta antisindacale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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