Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21992 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21992 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23345/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale prodotta telematicamente dall’AVV_NOTAIO, la quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo pec indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro
tempore, rappresentati e difesi, per mandato ex lege, dall’avvocatura generale RAGIONE_SOCIALEo Stato e presso la stessa per legge domiciliati a Roma in INDIRIZZO
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
E
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, Comune di Rosolina, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimati –
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello di Venezia n. 5533/2019, depositata in data 5 dicembre 2019;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALEa causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
1.La RAGIONE_SOCIALE deduceva l’illegittimità RAGIONE_SOCIALEa determinazione dei canoni demaniali operata dal Comune di Rosolina, con riguardo alle concessioni demaniali nn. 8 e 9 per l’anno 2010 e l’infondatezza RAGIONE_SOCIALEe relative pretese di pagamento (sia a titolo di canone sia a titolo di imposta regionale), con condanna del MEF e RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE (ADD), ciascuna per quanto di propria competenza, a restituire le somme indebitamente pagate a titolo di canone, e del Comune e RAGIONE_SOCIALEa Regione alla restituzione degli importi indebitamente versati a titolo di imposta.
In particolare, con riferimento ai provvedimenti di cui nn. 12033 e 12115, rispettivamente del 12 e del 13 luglio 2010, il Comune aveva comunicato alla società la determinazione dei canoni
demaniali per l’anno 2010, negli importi di euro 92.777,07, quanto alla concessione demaniale n. 8/04 e di euro 68.082,15, quando la concessione demaniale n. 9/04.
La società, pur ritenendo infondata la pretesa del Comune, al solo scopo di evitare la procedura esecutiva, aveva versato tutti gli importi pretesi dall’amministrazione per l’anno 2010, «al contempo riservandosi di agire in giudizio per ottenere la ripetizione RAGIONE_SOCIALE‘indebito».
Il Comune – per quel che ancora qui rileva – avrebbe violato l’art. 3, comma 4, del decreto-legge n. 400 del 1993, come sostituito dalla legge di conversione n. 494 del 1993, e calcolato il canone concessorio con riferimento all’anno solare, «sebbene l’utilizzo dei beni demaniali fosse avvenuto durante la sola stagione estiva», dovendosi tenere conto, appunto, «RAGIONE_SOCIALE‘effettiva utilizzazione del bene oggetto RAGIONE_SOCIALEa concessione».
La società chiedeva, dunque, che fosse accertato che gli importi corretti erano di euro 19.468,21, quanto alla concessione n. 8/04, e di euro 19.771,80, quanto alla concessione n. 9/04.
Nel corso del giudizio entravano in vigore le disposizioni di cui all’art. 1, commi 732 e 733, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013.
Il tribunale dichiarava il difetto di legittimazione passiva RAGIONE_SOCIALEa Regione Veneto e, in accoglimento RAGIONE_SOCIALEa domanda proposta in via principale RAGIONE_SOCIALEa società, accertava il suo diritto «alla definizione RAGIONE_SOCIALEa controversia ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 1, commi 732 e 733, legge n. 147 del 2013, avendo essa corrisposto più del 30% RAGIONE_SOCIALEe somme ‘dovute’ (intendendo per ‘somme dovute’ quelle originariamente pretese RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione)».
Condannava, dunque, il Comune alla restituzione di quanto corrisposto in eccedenza, per un importo complessivo di euro 112.701,47.
Avverso tale sentenza proponevano distinti appelli principali il MEF e l’ADD, deducendo l’inapplicabilità del condono e RAGIONE_SOCIALEa correttezza dei conteggi, oltre al Comune di Rosolina.
Proponeva appello incidentale la società.
La Corte d’appello di Venezia, per quel che ancora qui rileva, non accoglieva la richiesta di condono, in quanto l’art. 1, comma 732, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 2013 prevedeva una speciale procedura per porre fine alle controversie già insorte, nelle quali le somme in contestazione e ritenute dovute dall’amministrazione «non siano state corrisposte».
Al contrario, nel caso in esame, «quanto richiesto dall’amministrazione le è già stato corrisposto in ottemperanza a tali richieste (anche se con la dicitura ‘salvo conguaglio’), ben prima RAGIONE_SOCIALEa domanda di condono e nessun versamento è stato fatto a titolo di condono».
Il condono appariva, pertanto, inidoneo a chiudere la vertenza «e non presenta alcuna funzione deflattiva (cioè non soddisfaceva le esigenze per le quali era previsto e cioè evitare che l’amministrazione subisca ulteriori ritardi nel pagamento e debba sostenere spese giudiziarie)».
Ribadiva che «non è intervenuto alcun pagamento a titolo di condono. Né può essere utilizzato per perfezionare il condono l’importo precedentemente corrisposto, perché a suo tempo versato per altro titolo».
Peraltro, «e ad abundantiam » evidenziava che la definizione si perfezionava solo se era «dimostrato l’esito positivo dei riscontri effettuati dall’ente impositore relativamente alla corrispondenza di tale versamento ai presupposti legali o alle condizioni individuate dalla norma di legge».
Con riguardo all’attività effettivamente svolta dalla società nell’ambito RAGIONE_SOCIALEe pertinenze demaniali comprese nella concessione n. 8/2004, essa consisteva nella gestione «in forma imprenditoriale ed a carattere stagionale di una piscina natatoria all’aperto, ossia in un’attività di tipo turistico-ricreativo (secondo la definizione contenuta nell’art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009 e nella legge regionale del Veneto n. 33 del 2002) che, sostanziandosi in una produzione di servizi, è attività collocabile nel settore terziario».
Vi era, poi, anche la gestione di un chiosco-bar per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, «rientrante nell’attività di commercio», in relazione alla concessione n. 9/2004.
La Corte territoriale condivideva la valutazione del CTU, in ordine alla descrizione RAGIONE_SOCIALE‘attività aziendale, reputando che la stessa «si sostanziasse in prestazione di servizi, rientrante nel terziario».
Inoltre, proseguiva la Corte territoriale, il pagamento del canone era su base annuale, a prescindere dalla stagionalità RAGIONE_SOCIALEe attività esercitate. Ciò sia perché le concessioni erano annuali sia perché «alcuni manufatti erano rimasti sul sedime».
Dalla CTU espletata era emerso che «i locali compresi nelle concessioni demaniali pur non essendo in esercizio, risultavano perlopiù occupati da attrezzature e materiali di sua proprietà e le aree occupate dai (minimi) manufatti autorizzati».
Peraltro, «non risulta nemmeno provato che al termine del periodo di balneazione siano stati rimossi tutti manufatti rimovibili e l’area sia stata restituita».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale e depositando memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione o falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 1, commi 732 e 733, legge n. 147 del 2013, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, l’interpretazione fornita dalla Corte d’appello, in ordine alla insussistenza dei presupposti del condono, non è condivisibile, in quanto contrastante «con la chiara e univoca formulazione letterale RAGIONE_SOCIALEa norma».
Del resto, la ratio ispiratrice RAGIONE_SOCIALEa previsione è quella di consentire la rapida e generalizzata definizione di una moltitudine di contenziosi pendenti, «assicurando così introiti certi al bilancio RAGIONE_SOCIALEo Stato ed evitando l’alea e i costi connessi alla coltivazione RAGIONE_SOCIALEe pretese in sede giudiziale».
Il giudice d’appello ha ritenuto arbitrariamente non applicabile il condono nel caso in cui il pagamento RAGIONE_SOCIALEe ‘somme dovute’ «sia già avvenuto a monte RAGIONE_SOCIALE‘instaurazione del giudizio, con riserva di ripetizione».
La ricorrente deduce di avere pagato per intero le somme pretese al solo fine di evitare la procedura di recupero coattivo e con espressa riserva di ripetizione. L’affermazione che non vi sia un contenzioso pendente e che l’applicazione RAGIONE_SOCIALEa norma invocata dalla società non avrebbe pertanto alcuna funzione deflattiva, «è inoltre del tutto contrastante con la realtà».
La sentenza avrebbe errato anche laddove ha affermato che «la ricorrente avrebbe omesso di indicare a che cifra corrisponda l’importo del 30% RAGIONE_SOCIALEe somme controverse».
In realtà, il pagamento richiesto per accedere alla definizione dei contenziosi «non può che essere il 30% degli importi a suo tempo quantificati dal Comune».
Neppure può essere condivisa l’affermazione del giudice d’appello, per cui sarebbe stato «necessario dimostra l’esito positivo dei riscontri effettuati dall’ente impositore relativamente alla corrispondenza di tale versamento è presupposti legali e alle condizioni individuate dalla norma di legge». Al contrario, «non è affatto richiesto un riscontro positivo da parte né RAGIONE_SOCIALE‘ente gestore né RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione o falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 3, comma 4, del decretolegge n. 400 del 1993, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In subordine, nel caso di mancato accoglimento del primo motivo di ricorso, l’erroneità RAGIONE_SOCIALEa sentenza d’appello si rinviene nella parte in cui, dopo aver rigettato l’istanza di definizione RAGIONE_SOCIALEa controversia, ha disatteso nel merito le domande formulate dalla società in primo grado, assorbite dalla sentenza del tribunale di Venezia e riproposte in grado d’appello nella forma RAGIONE_SOCIALE‘appello incidentale condizionato.
La società ritiene che il canone sia dovuto solo con riferimento al «periodo estivo», ovvero il periodo «nel quale essa effettivamente utilizza l’arenile oggetto di concessione».
Tuttavia, non vi erano forme di entrata per il concessionario con riferimento alle strutture permanenti «trattandosi essenzialmente di docce e bagni, cioè servizi messi gratuitamente a disposizione dei bagnanti e che costituiscono dotazioni obbligatorie degli stabilimenti balneari».
Con un unico motivo di ricorso incidentale il MEF e l’ADD deducono la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 2195 c.c., in combinato disposto
con l’art. 1, comma 251, n. 2.1, lettera b) legge 27 dicembre 2006 n. 296, e contestuale falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni in legge 26 febbraio 2010, n. 25, nonché RAGIONE_SOCIALE‘art. 57 RAGIONE_SOCIALEa legge regionale Veneto 4 novembre 2002, n. 33 (testo unico RAGIONE_SOCIALEe leggi regionali in materia di turismo), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello ha qualificato come terziaria, anziché commerciale, l’attività di gestione RAGIONE_SOCIALEa piscina nello stabilimento balneare insistente su RAGIONE_SOCIALE marittimo in concessione. Tuttavia, l’art. 57 RAGIONE_SOCIALEa legge regionale Veneto 4 novembre 2002, n. 33, stabilisce che «gli stabilimenti possono essere altresì dotati di altri impianti e attrezzature per l’esercizio RAGIONE_SOCIALE‘attività connesse alla balneazione, quali le attività sportive e per la ricreazione, purché in possesso RAGIONE_SOCIALEe relative autorizzazioni».
Questa è una norma meramente autorizzativa, ma non può essere impiegata per computare il canone di concessione del RAGIONE_SOCIALE marittimo di spettanza statale.
Anche il richiamo al comma 18 RAGIONE_SOCIALE‘art. 1 del decreto-legge n. 194 del 2009 non è pertinente.
Pertanto, la Corte d’appello ha falsamente applicato la normativa richiamata ed ha violato l’art. 2195 c.c., in quanto la società svolge con i beni un’attività commerciale, non solo dedita all’acquisto e rivendita di merci, ma anche con riferimento all’attività «tipicamente svolta da parte attrice col servizio di piscina».
È sufficiente, sul punto, che l’attrice svolga attività di produzione vendita di beni e/o servizi, trattandosi di società commerciale a scopo lucrativo.
Peraltro, la distinzione tra attività terziaria e commerciale non risulterebbe neppure rilevante, in quanto il canone concessorio è
determinato alla stessa maniera «per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi ex art. 1, comma 251, n. 2.1, lettera b), legge 27 dicembre 2006, n. 296».
Il primo motivo di ricorso principale è fondato, con assorbimento del secondo motivo di ricorso principale e del ricorso incidentale.
4.1. Deve premettersi che non può avere efficacia sulla fattispecie in esame il giudicato esterno (favorevole alla società RAGIONE_SOCIALE) formatosi sulle annualità 2007, 2007, 2008 e 2009 (mentre qui è in discussione l’anno 2010), a seguito RAGIONE_SOCIALEa ordinanza di questa Corte n. 117 del 2022.
Trattasi di una ordinanza emessa da questa stessa Corte, con la conseguenza che il giudicato è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui essa non sia stata versata in atti con la rituale certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. (Cass., n. 16589 del 2021).
E’ pur vero che nei rapporti di durata, il vincolo del giudicato formatosi in relazione a periodi temporali diversi opera, sebbene solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili (Cass., n. 10430/2023; Cass. n. 17223/2020).
Nella specie, tuttavia, il rapporto concessorio, che è evidentemente di durata, rappresenta solo il presupposto del condono richiesto dalla società, adempiendo solo alla funzione di consentire la richiesta su base volontaria di adesione alla definizione di quanto dovuto. Il condono costituisce una libera scelta RAGIONE_SOCIALEa società, che può richiederlo, o meno, nelle diverse annualità, e diverge del tutto dal rapporto di durata al quale afferisce che – si ripete – è solo il presupposto di partenza o la cornice in cui si inserisce il condono, liberamente richiesto.
Pertanto, in questa sede si discute, non degli effetti RAGIONE_SOCIALEa concessione, ma degli effetti RAGIONE_SOCIALEa domanda di condono, con la conseguenza che quanto deciso per altre annualità -con il riconoscimento o meno RAGIONE_SOCIALE‘efficacia del condono da parte del giudice – non può travolgere gli effetti di una libera scelta RAGIONE_SOCIALEa società per gli anni successivi.
4.2. Quanto al merito, va osservato che la l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 732, stabilisce, testualmente: «nelle more del riordino RAGIONE_SOCIALEa materia da effettuare entro il 15 ottobre 2014, al fine di ridurre il contenzioso derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni RAGIONE_SOCIALEe concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti il pagamento in favore RAGIONE_SOCIALEo Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e RAGIONE_SOCIALEe relative pertinenze, possono essere integralmente definiti, previa domanda all’ente gestore e all’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE da parte del soggetto interessato ovvero del destinatario RAGIONE_SOCIALEa richiesta di pagamento, mediante il versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30 per cento RAGIONE_SOCIALEe somme dovute; b) rateizzato fino a un massimo di sei rate annuali, di un importo pari al 60 per cento RAGIONE_SOCIALEe somme dovute, oltre agli interessi legali, secondo un piano approvato dall’ente gestore».
Il successivo comma prevede che «la domanda di definizione, ai sensi del comma 732, nella quale il richiedente dichiara se intende avvalersi RAGIONE_SOCIALEe modalità di pagamento di cui alla lett. a) o di quelle di cui alla lett. b) del medesimo comma, è presentata entro il 28 febbraio 2014. La definizione si perfeziona con il versamento
RAGIONE_SOCIALE‘intero importo dovuto, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione RAGIONE_SOCIALEa domanda di definizione…».
Orbene, una prima decisione emessa da questa Corte (Cass., sez. 1, 4 gennaio 2022, n. 117), ha affermato che, stando al tenore del dettato normativo, la definizione RAGIONE_SOCIALEa lite rimane condizionata al fatto che: i) il procedimento giudiziario sia pendente e concerna il pagamento in favore RAGIONE_SOCIALEo Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e RAGIONE_SOCIALEe relative pertinenze; ii) il contenzioso abbia ad oggetto l’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni RAGIONE_SOCIALEe concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni; iii) sia previamente depositata una domanda in tal senso; iv) venga effettuato il versamento in un’unica soluzione o rateizzato RAGIONE_SOCIALEe somme dovute, nella percentuale suindicata, e solo nel caso di rateizzazione è necessaria l’approvazione del piano da parte RAGIONE_SOCIALE‘ente gestore.
Sul punto, questa Corte ha, poi, chiarito che spetta al giudice stabilire se la domanda di condono è valida o meno (Cass., sez. 1, 4 gennaio 2022, n. 117), non potendo la PRAGIONE_SOCIALE non solo proporre, ma «addirittura imporre la corretta esegesi RAGIONE_SOCIALEa norma».
Si è affermato, pertanto, proprio in relazione all’interpretazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 1, comma 732, RAGIONE_SOCIALEa legge n. 147 del 2013, che «il provvedimento impugnato erra laddove, ritenendo determinante l’assenza di un riscontro positivo RAGIONE_SOCIALEa domanda in ragione RAGIONE_SOCIALEa discorde interpretazione RAGIONE_SOCIALEa norma fatta dalle parti, finisce per attribuire alla pubblica amministrazione la funzione ermeneutica del disposto di legge, quando una simile attività faceva parte dei compiti istituzionali RAGIONE_SOCIALE‘organo giudicante, e per condizionare l’applicazione del beneficio al contegno adesivo tenuto dall’amministrazione,
benché le norme in discorso non prevedono affatto una simile condizione fra i loro presupposti applicativi».
5.1. Tra l’altro, in motivazione si è chiesta al giudice del rinvio una nuova attività di interpretazione, invitandolo a «impegnarsi in prima persona nell’individuazione del significato proprio RAGIONE_SOCIALEa normativa che governa la fattispecie tenendo conto, peraltro, del mutato quadro normativo intervenuto nelle more del giudizio di legittimità ed includendo nello sforzo esegetico e nei correlati riscontri, ove ne ricorrano i presupposti, il disposto RAGIONE_SOCIALE‘art. 100, commi 7, 8, 9 e 10, d.l. 104/2020, convertito con modificazioni dalla l. 126/2020». La decisione in esame non dubita, peraltro, che l’avvenuto pagamento RAGIONE_SOCIALEa percentuale di legge, prima del condono, non precluda affatto la applicabilità del beneficio in parola.
5.2. Peraltro, anche il sopraggiunto decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, al comma 7 RAGIONE_SOCIALE‘art. 100 (Concessioni del RAGIONE_SOCIALE marittimo, lacuale e fluviale) – non applicabile alla controversia in esame ratione temporis – prevede che, ai fini del condono si debba tenere conto RAGIONE_SOCIALEe «somme eventualmente già versate a tale titolo».
Per converso, la successiva ordinanza n. 8893 depositata il 29 marzo 2023, è pervenuta ad una diversa soluzione, respingendo il ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALEa società RAGIONE_SOCIALE (con riferimento all’anno 2011), con il quale si deduceva che «ha errato la Corte d’appello a ritenere che l’importo versato antecedentemente all’inizio del giudizio non potesse essere utilizzato per perfezionare il condono», mentre ad avviso RAGIONE_SOCIALEa società «le somme in precedenza corrisposte devono andare a scomputo di quelle dovute in virtù del condono».
Per questa Corte, in tale ultima decisione, il pagamento già avvenuto in precedenza ha sortito «l’effetto RAGIONE_SOCIALE‘inevitabile sua
(generica) imputazione all’unico rapporto obbligatorio esistente e traente titolo dalla concessione di cui la solvens fruiva.
Più esattamente, quel pagamento ha comportato l’estinzione, integrale ovvero parziale, RAGIONE_SOCIALEa pretesa obbligatoria traente causa RAGIONE_SOCIALEa concessione e, attesa la sua irripetibilità, fatte salve, beninteso, indebite eccedenze, l’impossibilità che fosse ‘imputato’ al rapporto obbligatorio insorto successivamente, a seguito e per effetto RAGIONE_SOCIALEa presentazione RAGIONE_SOCIALEa domanda di condono ai sensi dei commi 732 e 733 RAGIONE_SOCIALE‘art. 1 RAGIONE_SOCIALEa sopravvenuta legge n. 147 del 27/12/2013».
Questa Corte, dunque, nella citata decisione, condivideva i rilievi RAGIONE_SOCIALEa Corte territoriale secondo cui «il pagamento eseguito ante causam aveva altro titolo ed una precisa imputazione nonché finalità soddisfattiva del debito, che all’epoca si era, quindi, estinto per l’importo corrisposto».
7.Tanto premesso, ritiene la Corte che debba essere preferito l’orientamento espresso dall’ordinanza n. 117 del 2022, in quanto è evidente che le somme già versate dalla società non possono non essere valutate ai fini del condono, atteso che la somma da pagare va determinata nel 30 % RAGIONE_SOCIALEe somme «dovute», ossia di quelle richieste dall’Amministrazione (in tal senso sia pure con una pronuncia di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’RAGIONE_SOCIALE per sopravvenuta carenza di interesse vedi Cass., n. 30235 del 2023). E ciò a prescindere dal fatto che il pagamento sia avvenuto prima RAGIONE_SOCIALEa domanda di condono.
Il dato letterale, infatti, appare insuperabile, come pure la ragionevolezza RAGIONE_SOCIALEa disposizione perché, secondo la diversa interpretazione proposta dalla Amministrazione, la società dovrebbe pagare anche «il 30 % RAGIONE_SOCIALEa somma ancora dovuta e in contestazione, oltre a quanto già versato. Ma è di tutta evidenza che, in tal modo opinandosi, verrebbero ad essere favoriti coloro che non
avevano versato alcunchè, o solo la minima parte di quanto dovuto, rispetto a coloro che avevano versato somme maggiori.
8. Quanto affermato trova esatta corrispondenza anche nella giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato., sez. VI, 13 dicembre 2016, n. 5244) che si è occupata RAGIONE_SOCIALE‘argomento, affermando che «non pare inutile specificare che il 30 % RAGIONE_SOCIALE‘importo dovuto va commisurato all’ammontare RAGIONE_SOCIALEa somma complessivamente richiesta in origine dal Comune», e precisando che la tesi per cui «le somme dovute di cui al comma 732 RAGIONE_SOCIALEa legge 27 dicembre 2013, n. 147, sono le somme ulteriori rispetto a quelle già versate dalla società, pari alla differenza tra il preteso e il versato, non ha alcun fondamento normativo e va disattesa».
Pertanto – prosegue il giudice amministrativo – «l’accoglimento RAGIONE_SOCIALEa tesi RAGIONE_SOCIALEa parte pubblica comporterebbe l’indebita locupletazione, da parte di questa, del 30 % RAGIONE_SOCIALEa differenza tra il preteso e il versato, oltre al 30 % del preteso, con la conseguenza che per ottenere l’estinzione dei procedimenti in corso gli interessati dovrebbero versare un importo pari alla somma del 30 % del preteso e del 30 % RAGIONE_SOCIALEa differenza fra preteso e versato, il che appare all’evidenza contrario al dettato normativo».
La lettera RAGIONE_SOCIALEa legge è chiara in tal senso, essendo evidente che il pagamento effettuato, pari al 30 % RAGIONE_SOCIALEe somme richieste, produce l’effetto estintivo del credito RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione, effetto collegato dalla legge di stabilità «al pagamento spontaneo del 30 % degli importi dovuti in origine».
9.La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso principale; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso principale ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2024