Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12857 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 12857 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5232/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE ed elettivamente domiciliata all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO CASTEL MAGGIORE (BOLOGNA), DEGLI ANGELI COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrenti- nonché contro
PESCE FLAVIA;
-intimata-
avverso la SENTENZA di TRIBUNALE BOLOGNA n. 20705/2018 depositata il 12/07/2018.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 06/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., nella persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME che ha concluso pe r l’a ccoglimento del l’ottavo motivo di ricorso, con complessiva reiezione dei restanti motivi.
Uditi gli avvocati NOME COGNOMEin sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME, per la parte ricorrente, e NOME COGNOME (in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME, per la parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La controversia concerne la ripartizione delle spese di conservazione, manutenzione e gestione relative a un complesso immobiliare, composto da tre unità immobiliari e dotato di una corte comune e di un vialetto di accesso alle proprietà. Il Sig. NOME COGNOME, la Sig.ra NOME COGNOME e il Condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, NOME COGNOME, hanno domandato al Giudice di pace di Bologna la condanna della Sig.ra NOME COGNOME al pagamento di una somma di denaro corrispondente alla quota millesimale delle spese non versate dalla convenuta dal 2011, oltre interessi e spese legali. In primo grado, il giudice di pace rigettava la domanda, ritenendo applicabili le norme sulla comunione e non quelle sul condominio e affermando inoltre che il vialetto non fosse funzionale all’unità immobiliare della convenuta. Gli attori impugnavano dinanzi al Tribunale, sostenendo che il complesso integrava un condominio ai sensi dell’art. 1117 c.c., come confermato dalla destinazione comune delle parti dell’immobile e dalla richiesta di attribuzione del codice fiscale condominiale. Il Tribunale adito, in funzione di giudice di appello, ha accolto il gravame, riformando la sentenza di primo grado e condannando la Sig.ra COGNOME al pagamento di € 1.760,04, oltre interessi e spese di lite, nonché a una somma di € 1.500,00 ex
art. 96 co. 3 c.p.c., ritenendo pretestuosa e infondata la resistenza dell’appellata. La decisione è stata motivata rilevando che l’immobile costituisse un condominio minimo, in quanto originariamente unico edificio suddiviso in unità immobiliari con parti comuni quali il vialetto, i muri perimetrali e il tetto.
Ricorre in cassazione la convenuta con nove motivi illustrati da memoria. Resiste l ‘originaria parte attrice con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione degli articoli 112, 99, 101 e 345 del codice di procedura civile, sostenendo che il tribunale ha ecceduto i limiti della domanda originaria liquidando un importo differente, pari a euro 1.760,04, rispetto a quello richiesto, pari a € 1.692,16, basandosi su uno schema riepilogativo non validamente introdotto nel processo.
Il primo motivo è rigettato.
Risulta dagli atti che la determinazione del quantum dovuto è stata effettuato sulla base di documentazione introdotta nel giudizio di primo grado entro l’udienza ex art. 320 c.p.c. , indicata la somma di euro 1.760,04 nel foglio di precisazione delle conclusioni, senza alcun aggiornato rispetto alle spese sopravvenute in corso di giudizio, per essere stato il credito precisato in detto importo da parte attrice già all’udienza del 12 l uglio 2018, per cui non può ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio lamentato.
– Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia ex articolo 112 del codice di procedura civile, lamentando che il T ribunale non abbia deciso sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’articolo 342 dello stesso codice, dando luogo a un novum iudicium che ha travalicato i limiti dell’effetto devolutivo.
Il secondo motivo non può trovare ingresso.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che gli artt. 342 e 434, cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (ex multis, Cass., n. 13535 del 30/5/2018, Rv. 648722). Ciò in perfetta continuità con il principio di diritto declinato dalle S.U. (sent. n. 27199, 16/11/2017, Rv. 645991), secondo il quale gli artt. 342 e 434, cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Dall’esposto principio di diritto, reputa il Collegio, discenda l’ulteriore specificazione interpretativa che può enunciarsi nei termini seguenti: non può considerarsi aspecifico il motivo d’appello il quale esponga il punto sottoposto al riesame d’appello, in fatto e in diritto, in
maniera tale che il giudice d’appello sia posto in condizione (senza la necessità di esplorare, in assenza di parametri di riferimento, la congerie delle vicende processuali) di cogliere natura, portata e senso della critica, non occorrendo, tuttavia, che l’appellante alleghi e, tantomeno riporti, analiticamente le emergenze di causa rilevanti, le quali risultino investite ed evocate non equivocamente dalla censura, diversamente da quel che è previsto per l’impugnazione a critica vincolata.
Nel caso in esame non è dubbio che l’appello supera la soglia della specificità, nel senso che si è detto, avendo l’appellante individuato il punto della decisione reputato ingiusto, precisandone il presupposto fattuale e la sussunzione giuridica, tanto, addirittura che la critica non solo viene intesa dal giudice dell’appello , ma, addirittura condivisa, non potendosi onerare l’impugnante della trascrizione di tutte le emergenze di causa, trattandosi di risultanze di già poste nella piena disponibilità del Giudice d’appello, in base al principio devolutivo, che, pur con i limiti derivanti dal modello impugnatorio dell’appello (tantum devolutum quantum appellatum), resta paradigma portante; giudice al quale l’appellante si era rivolto al chiaro scopo, contestando le valutazioni del Giudice di pace adito e di esprimere opposto convincimento al riguardo.
– Il terzo motivo denuncia la violazione degli articoli 1135, 1137 comma primo, 2697 del codice civile e degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile, contestando che il tribunale abbia condannato la ricorrente al pagamento di spese risultanti da riepiloghi non approvati dall’assemblea, privi di documentazione fiscale adeguata e inidonei a costituire crediti certi, liquidi ed esigibili.
Del terzo motivo è da dichiarare l’ inammissibilità.
Il motivo è privo dei caratteri di specificità sul profilo saliente della mancata approvazione del consuntivo da parte dell’assemblea (mentre per il resto imporrebbe un riesame nel merito dei conteggi e della documentazione, precluso in questa sede).
Nella narrativa della sentenza impugnata si legge infatti: « Quanto all’istanza di ingiunzione di pagamento, gli appellanti rappresentavano che all’assemblea del 15 giugno 2015 i condomini approvavano il riparto consuntivo delle spese anche per quel che atteneva la situazione debitoria della condomina morosa, di cui la Sig.ra COGNOME assente, veniva informata a mezzo racc. a/r; che alla successiva assemblea del 27 giugno 2016 i condomini approvavano il nuovo riparto consuntivo delle spese aggiornato al nuovo anno, di cui la Sig.ra COGNOME assente, veniva informata a mezzo racc. a/r; che, nel contesto del giudizio di primo grado, l’odierna appellata non contestava specificamente i predetti documenti, né le singole voci di spesa documentate ».
Orbene, sul punto il terzo motivo di ricorso riporta un estratto dell’atto di appello in cui è scritto: « L’importo preteso di €. 1692,16 non trova riscontro nella documentazione in atti, non risulta da rendiconto ‘ approvato ‘» e poi passa a contestare quei profili ormai preclusi in questa sede.
La genericità del profilo di doglianza risulta in comparazione con il dettaglio specifico dell’allegazione della controparte, che avrebbe richiesto una contestazione parimenti dettagliata e specifica, ad esempio circa la ricezione o meno e il contenuto delle raccomandate che gli attori allegano di aver spedito.
Il terzo motivo è inammissibile.
4. – Il quarto motivo denuncia la violazione degli articoli 1100, 1117 e 1362 e seguenti del codice civile, criticando la qualificazione del complesso come condominio minimo. Si sostiene che i titoli di acquisto e le caratteristiche delle parti comuni escl udano l’applicabilità della disciplina condominiale, riconducendosi invece a una comunione ordinaria.
Il quinto motivo denuncia la violazione degli articoli 1104, 1123, 1362 e seguenti del codice civile e dell’articolo 2697 dello stesso codice, nonché vizi di motivazione, rilevando che il tribunale avrebbe
applicato erroneamente i criteri di ripartizione delle spese dettati per il condominio, ignorando che la ricorrente non aveva usufruito delle parti comuni.
Il quarto e il quinto motivo possono essere esaminati congiuntamente per connessione.
Essi sono rigettati.
Come osservato anche dal P.M., la sentenza impugnata si è attenuta alla giurisprudenza di questa Corte Suprema che ha chiarito da più decenni (Cass. 18226/2004) che il condominio si costituisce automaticamente, senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscano su un suolo comune, ovvero quando l’unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva, realizzando l’oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine. Nel caso di specie, la sentenza ha inoltre fatto buon governo del rilievo che nella comunione i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, mentre nel condominio i beni comuni rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione. In definitiva, il nucleo delle argomentazioni della ricorrente converge nel sovrapporre il proprio apprezzamento della situazione rilevante in causa a quello che il Tribunale ha espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
– Il sesto motivo denuncia nullità della sentenza e del procedimento per invalida costituzione del rapporto processuale in primo grado ovvero violazione o falsa applicazione di norme di diritto in connessione con gli artt. 75, 83-84 e 163 c.p.c. e art. 1131 cod. civ. in relazione all’ art. 360 comma primo n.4 e/o n.3 c.p.c. ; nullità della sentenza per omissione di pronuncia in relazione all’ art. 360 comma primo n. 4 c.p.c. per non avere il Tribunale valutato e deciso l’eccezione di nullità degli atti processuali e dell’intero procedimento la
nullità del procedimento e della sentenza per difetto di legittimazione attiva degli attori in primo grado e per vizio nella costituzione del rapporto processuale. Si lamenta inoltre l’omessa pronuncia sull’eccezione di nullità del procedimento.
Il sesto motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia un’omessa pronuncia su una questione processuale e infondato nella parte in cui contesta la legittimazione attiva del condominio, in persona del suo amministratore, e dei condomini.
Per costante giurisprudenza di questa Corte non è configurabile il vizio di omissione di pronuncia su questioni processuali (tra le varie, v. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013 Rv. 628214; Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009 Rv. 606407; Sez. 3, Sentenza n. 3667 del 21/02/2006 Rv. 588964; Sez. 1, Sentenza n. 10073 del 25/06/2003 Rv. 564543).
Né sussiste l’omesso esame di fatto decisivo perché il giudice del gravame si è posto il problema della legittimazione e l’ha superato, seppur in modo difforme dalle aspettative della ricorrente.
Sul punto, peraltro, la giurisprudenza è pacifica (cfr. tra le altre Cass. 7827/2003). In tema di condominio vige il principio della cosiddetta “rappresentanza reciproca”, in forza del quale ciascun condomino può agire, anche in sede di impugnazione, a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi, in quanto l’interesse per il quale agisce è comune a tutti i condomini (v. ex plurimis: Cass. n. 8842/01; Cass. n. 13331/00; Cass. n. 6856/93), il che comporta che ciascun condomino, oltre allo stesso Condominio, può impugnare la sentenza che abbia pronunziato su diritti comuni, dovendosi tale sentenza considerare emessa anche nei loro confronti.
– Il settimo motivo denuncia la violazione degli articoli 1104, 2719, 2697 del codice civile e degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile, lamentando che la condanna al pagamento si basi su documenti contestati, inidonei e privi di valore probatorio.
Il settimo motivo è inammissibile.
Le doglianze sono state erroneamente ricondotte dalla ricorrente al numero 3 dell’articolo 360 c.p.c., quantunque esse involgano non già il significato delle disposizioni richiamate, tanto in tema di comunione che di onere della prova, bensì la concreta valutazione compiuta in ordine alla effettiva spettanza alla Brioli delle spese sostenute per i beni comuni del Condominio (v. Cass., n. 195/2016; Cass., n. 26110/2015; Cass., n.8315/2013; Cass., n. 16698/2010) e in quanto tali richiedono una rivalutazione del materiale probatorio rispetto all’esame effettuato dal giudice di merito ed espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
L’ottavo motivo denuncia la violazione dell’articolo 96 comma terzo del codice di procedura civile e vizi di motivazione, contestando la condanna al risarcimento per resistenza in giudizio, qualificata dal tribunale come colposa e grave.
L’ottavo motivo è rigettato .
Il Tribunale ha applicato correttamente Cass. SU 9912/2018 con la seguente motivazione: « L’evidente infondatezza delle tesi con cui la parte appellata ha resistito anche nel presente giudizio, alla luce delle superiori argomentazioni, infondatezza evincibile dalla consolidata giurisprudenza più sopra richiamata, integra gli estremi della colpa grave secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite». Né si può chiedere a questa Corte di sovrapporre il proprio apprezzamento a quello che il giudice di merito ha espresso nel valutare come gravemente colposa la condotta dell’attuale ricorrente e manifestato in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di illegittimità (non rileva la circostanza che la ricorrente sia riuscita vittoriosa nel primo grado di giudizio, né che questa Corte rigetti la domanda di pagamento di una somma ex art. 96 co. 3 c.p.c. formulata dai controricorrenti in relazione al giudizio di legittimità).
Il nono motivo denuncia la violazione dell’articolo 92 comma 2 del codice di procedura civile, criticando la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio senza considerare le peculiarità della controversia.
Il nono motivo è inammissibile.
L’applicazione della regola della soccombenza ex art. 91 c.p.c. non è sindacabile in sede di legittimità, come chiarito di nuovo da ultimo da Cass. n. 27305/2024.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 2.000,00 , oltre a € 200 ,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-