Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 361 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 361 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12842-2018 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
COGNOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1959/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2022 dal Consigliere NOME COGNOME
CONSIDERATO CHE:
COGNOME NOME citava in giudizio innanzi al Tribunale di L ‘Aquila COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, esponendo di essere proprietaria di metà di una villa bifamiliare in Rocca di Mezzo, appartenente in proprietà, per la restante parte, alle convenute in quanto ereditata da COGNOME NOME. L’attrice deduceva che le controparti avevano iniziato opere funzionali al frazionamento di metà della villa in due diverse unità abitative, come, ad esempio, la realizzazione di una scala metallica e l’installazione di un serbatoio idrico, di cui l’attrice lamentava l’occupazione del terreno comune e la violazione del regolamento condominiale, lagnanze che avevano portato alla sospensione giudiziale dei lavori. Le convenute, con domanda riconvenzionale, chiedevano il risarcimento dei danni subíti. Interveniva in giudizio NOME COGNOME, quale successore a titolo particolare della COGNOME nella nuda proprietà della villa e nella comproprietà pro quota del terreno comune.
Il Tribunale di L’Aquila, con sentenza n. 360/11, dichiarava illegittima la realizzazione della scala metallica con conseguente condanna alla sua rimozione, affermava l’inammissibilità del capo di domanda relativa al serbatoio idrico, rigettava la domanda riconvenzionale, svincolava la cauzione disposta dal giudice del cautelare e compensava per metà le spese processuali.
Avverso detta sentenza proponevano appello dinanzi alla Corte di A ppello di L’Aquila COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. La COGNOME e la COGNOME, costituitesi in giudizio, chiedevano il rigetto del gravame e la correzione di alcuni errori materiali contenuti in sentenza.
La Corte di appello di L’Aquila, accogliendo parzialmente il ricorso proposto dalle appellanti, rigettava l’appello. A sostegno della sua decisione, la Corte osservava che:
-l’espletamento delle operazioni materiali da parte del C.T.U. si era svolto, anche nella prosecuzione delle stesse, senza violazione alcuna della regola del contraddittorio e del diritto di difesa. L’inizio delle operazioni, infatti, era stato fissato con verbale di udienza della nomina del C.T.U.; poiché né la parte convenuta né i suoi rappresentanti (difensore e/o c.t.p.) ritennero di dover partecipare ai lavori, del successivo accesso ai luoghi per l’effettuazione di misurazioni ed ispezioni (19.03.2013) fu dato dal C.T.U. preventivo avvertimento telefonico agli avvocati di entrambe le parti. In ogni caso, e l’argomento è risolutivo, le operazioni materiali espletate in occasione del secondo sopralluogo sono risultate incontestate, e comunque sarebbe stato agevole procedere alla loro ripetizione, ove necessario;
-quanto all’illegittimità della realizzazione della scala metallica esterna, la decisione del giudice di prime cure si fonda su due rationes decidendi : l’illegittima occupazione di suolo condominiale in difetto di autorizzazione dell’assemblea ed in violazione del regolamento condominiale, nonché l’apprezzabile compromissione del decoro architettonico della villa bifamiliare dalla parte del muro perimetrale, da considerarsi comune a tutti i proprietari delle diverse porzioni dell’edificio. Ritiene la Corte che per esigenze di economia e di trattazione e in coerenza con il principio processuale dell’assorbimento la disamina sarà limitata alla seconda ratio decidendi: in tal senso, sulla base della valutazione espressa dal C.T.U., deve affermarsi la compromissione del decoro architettonico della villa bifamiliare causata dal collocazione della scala esterna.
Avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila proponevano ricorso COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME affidandolo a due motivi e illustrandolo con memoria.
Resistevano NOME COGNOME e NOME COGNOME depositando controricorso.
Intervenuto il decesso di NOME COGNOME in data 18.02.2019, in prossimità dell’adunanza NOME COGNOME divenuta unica titolare della proprietà dell’immobile per cui è causa – depositava memoria.
RILEVATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso si censura l’affermazione della Corte di Appello relativa alla sussistenza della comunione delle mura perimetrali e della conseguente natura condominiale dell’edificio, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4), sotto il profilo della motivazione apparente, per non avere indicato quali siano le «caratteristiche strutturali e funzionali» dell’edificio da cui ha ritenuto di desumere la natura comune del muro. La sentenza di secondo grado va, quindi, censurata per aver riconosciuto, senza alcuna reale motivazione, la natura condominiale dell’edificio, evidentemente di tipo orizzontale, e di conseguenza la comunione del muro su cui poggia la scala. Il giudice del gravame si è, infatti, limitato a condividere il giudizio espresso dal primo giudice circa la comunione del muro perimetrale anche all’altro proprietario della villa bifamiliare, e ad affermare che i muri perimetrali interessati dalle innovazioni denunciate in giudizio, ancorché corrispondenti alla porzione di proprietà esclusiva delle convenute, devono ritenersi comuni ai proprietari dell’altra porzione facendo parte della struttura e della linea architettonica dell’intero edificio. Tale assunto, continuano le ricorrenti, risulta sprovvisto di qualunque forma di indagine tecnica diretta ad accertare se le due unità immobiliari costituiscano effettivamente un’unica costruzione, o se, invece, ad esse corrispondano due distinti edifici. La Corte di Appello, inoltre, non ha tenuto in considerazione gli argomenti offerti dalle ricorrenti a sostegno
dell’opposta tesi della natura non condominiale delle mura perimetrali e della proprietà esclusiva degli stessi in capo a ciascun proprietario delle singole unità immobiliari.
1.1. Il motivo è inammissibile. Va, invero, ribadito l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ove, come nel caso in esame, i partecipanti al condominio siano due, dovendo ravvisarsi un «condominio minimo», operano le norme in tema di organizzazione e (ad es., artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 c.c.), e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell’assemblea, restando tuttavia comunque impedito il ricorso al principio di maggioranza assoluta sotto il profilo dell’elemento personale. L’assemblea del condominio minimo, invero, agli effetti dell’art. 1136, commi 1 e 2, cod. civ. (vigente ratione temporis ), si costituisce regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e delibera validamente soltanto con decisione unanime di ambedue i comproprietari (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16337 del 30/07/2020, Rv. 658749 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 2046 del 31/01/2006, Rv. 586562 -01); delibera del tutto assente nel caso di specie. La Corte d’Appello ha , comunque, illustrato quali siano le caratteristiche strutturali e funzionali astrattamente utili per negare la comunione del muro perimetrale, e cioè l’esistenza di costruzioni separate e l’esistenza di una soluzione di continuità nella muratura perimetrale (v. sentenza p. 5, righi 34-36); caratteristiche non rilevate nelle due unità immobiliari, rispetto alle quali deve, dunque, essere confermata in questa sede la sussistenza di un condominio minimo. A tal proposito, non ha pregio la lamentata assenza di «qualunque forma di indagine tecnica» (v. ricorso p. 9, penultimo capoverso), smentita dal fatto che il giudice di seconde cure è chiaramente pervenuto a tale conclusione dopo aver esaminato le evidenze fotografiche, oltre ché l’approfondita
descrizione dell’immobil e e dell’intero complesso risultante dalla C.T.U. (v. sentenza p. 6, righi 14-16).
1.2. Tanto chiarito, si deve escludere la natura apparente della motivazione: è opportuno ricordare che la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Cass. Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 23123 del 28/07/2023, Rv. 668609 – 01). Nel caso che ci occupa, non solo la Corte d’Appello ha dedotto dalle ri sultanze probatorie la natura condominiale del complesso immobiliare, ma da ciò ne ha tratto conseguenze logicogiuridiche plausibili, attinenti cioè all’alterazione del decoro architettonico ai sensi del comma 2, art. 1120 cod. civ. (vigente ratione temporis ).
1.3. In definitiva, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, nella parte in cui esplicitamente afferma che: « non ha tenuto in alcuna considerazione i numerosi e pregnanti argomenti offerti dalle ricorrenti a sostegno dell’opposta tesi della natura non condominiale delle mura perimetrali…» (v. ricorso p. 9, penultimo capoverso). Come
è noto, invero, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (per tutte: Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza, in conformità alle pronunce della Cassazione nn. 986/1996, 455/1997, 4271/2004, per violazione di norma di diritto, in particolare degli artt. 194 e 201 cod. proc. civ. e dell’art. 90 delle disp. att. cod. proc. civ. , ai sensi dell’art. 360 n. 3) cod. proc. civ., per aver affermato la validità della C.T.U. a fronte della mancata comunicazione alla parte della data del secondo sopralluogo del 19.03.2010, con conseguente lesione del contraddittorio e del diritto di difesa. La compromissione del decoro architettonico della villa bifamiliare è stata dalla Corte di Appello affermata sulla base della valutazione espressa dal consulente tecnico nominato nel primo grado di giudizio all’esito degli accertamenti effettuati. Tuttavia, essa è affetta da nullità, in quanto il primo sopralluogo si era concluso con il rinvio e l’aggiornamento delle operazioni ad una seconda visita, senza che sia pervenuta alcuna comunicazione al consulente tecnico di parte convenuta. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte di Appello, quindi, avrebbero dovuto dichiarare la nullità della C.T.U. espletata in quanto era stata tempestivamente eccepita in primo grado e in sede di gravame; era risultata contraddittoria poiché lo stesso C.T.U. ha affermato che i colloqui telefonici sono intercorsi il giorno precedente al primo sopralluogo; era risultata insussistente l’asserita fede privilegiata riposta nella predetta dichiarazione, dovendosi tale requisito
identificare esclusivamente nei processi verbali redatti dal C.T.U., risultando non configurabile per il contenuto della consulenza tecnica, la quale non fa pubblica fede delle affermazioni o contestazioni o giudizi in essa contenuti; era risultata generica, non provata ed inattendibile in quanto sprovvista dei requisiti di specificità richiesti che, se indicati in maniera puntuale, avrebbero eventualmente consentito di sostenere l’insussistenza della compromissione del principio del contraddittorio e della lesione del diritto di difesa delle ricorrenti.
2.2. Il motivo è infondato. Già nelle pronunce riportate dagli stessi ricorrenti emergeva con chiarezza che «In tema di consulenza tecnica d’ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma secondo, cod. proc. civ. e 90, comma primo, disp. att. cod. proc. civ., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre l’obbligo di comunicazione non riguarda le indagini successive, incombendo alle parti l’onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi. Tuttavia, ove il consulente d’ufficio rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda, egli ha l’obbligo di avvertire nuovamente le parti, e l’inosservanza di tale obbligo può dar luogo a nullità della consulenza – peraltro relativa e quindi sanabile se non dedotta nella prima difesa o udienza successiva – ma solo se quella inosservanza abbia comportato in concreto un pregiudizio per il diritto di difesa» (Cass. n. 4271/2004) Il principio è stato ribadito più di recente: «Il consulente tecnico, ai sensi dell’art. 194, comma 2, cod. proc. civ. e dell’art. 90, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., deve dare comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre analogo obbligo di comunicazione non sussiste quanto alle indagini successive, incombendo sulle parti l’onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi» (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22615 del 16/10/2020, Rv. 659016 – 01).
Correttamente la Corte di seconde cure ha rilevato l’inerzia dei ricorrenti e l’inesistenza di un pregiudizio al diritto di difesa, posto che non solo i ricorrenti avrebbero potuto agevolmente chiedere la ripetizione del sopralluogo (p. 4 della sentenza), ma avrebbero comunque potuto trasmettere al C.T.U. le loro osservazioni sulla relazione, ex art. 195, comma 3, cod. proc. civ.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in €5.200,00 per compensi, oltre a €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15 %.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda