Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18721 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18721 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
R.G.N. 14845/2019
C.C. 3/07/2024
VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14845/2019) proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciata su separato foglio allegato materialmente al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrenti – contro
COGNOME NOME; nella qualità di erede testamentario di NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 1708/2018 (pubblicata il 7 novembre 2018);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dai ricorrenti.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato il 6 luglio 1992, NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 3441/1992 emesso dal Tribunale di Salerno in favore dell”RAGIONE_SOCIALE‘ per la somma di lire 19.769.728, oltre interessi convenzionali e spese del procedimento monitorio, a titolo di saldo del prezzo pattuito per la fornitura di un sistema di hardware e software per la gestione della farmacia di cui era titolare esso opponente.
Si costituiva in giudizio, quale opposta, la società ingiunta, la quale deduceva che il contratto stipulato tra le parti non prevedeva, quale causa di risoluzione, la mancata ‘familiarizzazione’ del cliente con il sistema informatico e che, ugualmente, la commissione del 18 gennaio 1992 non consentiva una simile risoluzione, né attribuiva all’acquirente il diritto di recesso dal contratto.
La stessa opposta chiedeva, altresì, in via riconvenzionale, il risarcimento dei danni subiti a causa del mancato incasso del corrispettivo dovuto dall’opponente, per far fronte al quale era stato costretto a ricorrere al credito bancario, accollandosi un tasso di interessi annuo del 15%, con capitalizzazione trimestrale.
A seguito di istruzione probatoria meramente documentale, il Tribunale adito, con sentenza n. 4021/2001, rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo, compensando tra le parti le spese giudiziali.
Decidendo sull’appello avanzato da NOME NOME, quale erede testamentario di NOME, al quale resisteva l”RAGIONE_SOCIALE‘, la Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 651/2009, in accoglimento di apposita eccezione dell’appellata, dichiarava l’inammissibilità del gravame per effetto della carenza dello ‘ius postulandi’ in capo ai difensori di NOME, poiché quest’ultimo era deceduto sin dal 1° agosto 1995 e non potendosi estendere la procura ‘ad litem’ conferita per il giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo a quello di secondo grado, per essere la sua ultrattività limitata alla sola fase del processo in cui si era verificato l’evento non dichiarato, né notificato.
Il COGNOME NOME impugnava per cassazione la suddetta sentenza di appello e questa Corte, con sentenza n. 19533/2014, ritenuta la sussistenza dell’ultrattività del mandato comprensivo anche del potere di impugnazione e che -non avendone dichiarato il decesso ai sensi dell’art. 300 c.p.c. – i difensori del NOME erano legittimati a proporre appello in rappresentanza del defunto, cassava la citata sentenza di appello e rinviava la causa alla stessa Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.
La Corte salernitana, all’esito del giudizio di rinvio, con sentenza n. 1708/2018, accoglieva l’originario appello proposto dal NOME AVV_NOTAIO e, per l’effetto, in riforma della impugnata pronuncia di primo grado, revocava l’opposto decreto ingiuntivo e condannava, in solido, gli appellati COGNOME NOME e COGNOME NOME (la prima quale socia accomandante e cessionaria del credito controverso e il secondo nella qualità di socio accomandatario dell”RAGIONE_SOCIALE‘, quale società cancellata dal registro delle imprese il 12 agosto 1996), al pagamento, in favore dell’appellante NOME NOME, della somma di euro 7.612,05, oltre interessi al tasso convenzionale del 18% annuo fino al 1° aprile 1997 e al tasso soglia di volta in volta vigente per il periodo successivo e fino al giorno del soddisfo; condannava i predetti appellati al pagamento, in via solidale, delle spese dell’intero giudizio, che venivano distintamente liquidate per ciascun grado del processo ed in relazione alle attività in concreto espletate.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte di rinvio, disattesa preliminarmente l’eccezione di tardività di riassunzione del giudizio di rinvio, ricordava, in primo luogo, che il Tribunale, investito dell’opposizione ex art. 645 c.p.c., l’aveva rigettata non sul presupposto della nullità della clausola contrattuale dalla quale derivava l’obbligo della società opposta di risolvere e, comunque, di considerare inefficace
il contratto e di restituire le somme incassate qualora, entro il termine previsto per il pagamento del saldo, l’acquirente non avesse ritenuto valida la computerizzazione della farmacia, invece approvata dalla stessa società (questione da ritenersi accertata in via definitiva, non risultando proposto in merito appello incidentale), bensì in ragione della sua natura meramente potestativa e, dunque, per effetto della violazione dell’art. 1355 c.c.
Ciò premesso, la Corte salernitana rilevava che la clausola controversa, riportata nella commissione di fornitura del 18 gennaio 1992, posta dall’allora ‘RAGIONE_SOCIALE‘ a fondamento del ricorso monitorio integrava, senza dubbio, una condizione risolutiva potestativa e non una condizione sospensiva meramente potestativa, giacché il contratto di vendita delle attrezzature e dei programmi informativi, sin dalla sua conclusione, perfezionatasi in virtù della manifestazione del consenso delle parti, aveva prodotto l’immediato trasferimento dei diritto reale dei beni in favore del NOME e la contestuale obbligazione di pagamento da parte dell’acquirente, mentre soltanto la cessazione dell’efficacia del negozio giuridico era subordinata all’eventuale verificarsi dell’evento previsto dagli interessati.
In sostanza, proseguiva la Corte di rinvio, le parti avevano stipulato un contratto nel quale avevano inserito non già una condizione sospensiva che lo avrebbe reso inefficace fino a quando e nei limiti in cui la stessa non si fosse avverata, ma una condizione risolutiva che ne consentiva l’immediata produzione degli effetti, così subordinandone la caducazione al suo verificarsi. Del resto, proprio dall’esame del testo della pattuizione secondo cui ‘ entro il termine del saldo se la farmacia non ritiene necessaria la computerizzazione, l’istituto RAGIONE_SOCIALE si impegna a ritirare la merce restituendo le somme versate ‘, si sarebbe dovuto desumere che le parti, lungi dal posticipare l’efficacia del contratto di fornitura al momento dell’avverarsi di un evento futuro, avevano concordato le modalità operative con le quali sarebbero state ripristinate le loro originarie posizioni nel caso di scioglimento del
vincolo negoziale in dipendenza della verificazione dell’evento dedotto. Oltretutto, la Corte salernitana osservava, ancora, che la circostanza secondo cui il contratto di fornitura avesse avuto immediata efficacia e, dunque, non fosse sottoposto ad una condizione sospensiva, era comprovata dall’esecuzione delle prestazioni reciprocamente assunte dai contraenti, avendo il NOME corrisposto parte delle somme secondo le sequenze temporali concordate e l”RAGIONE_SOCIALE consegnato la merce ed informatizzato l’esercizio farmaceutico, con la conseguenza che l’adempimento delle rispettive obbligazioni presupponeva ‘a fortiori’ che il negozio giuridico avesse generato i propri effetti.
In definitiva, ad avviso del giudice di rinvio, l'(allora)appellante NOME COGNOME, nel comunicare all’RAGIONE_SOCIALE, con lettera raccomandata del 16 aprile 1992, di volersi avvalere della predetta clausola negoziale, con il conseguente invito a provvedere al ritiro di tutta la merce fornitagli, aveva determinato la cessazione, con efficacia retroattiva, del contratto di fornitura del 13 marzo 1992, sicché l’appellata società, non vantando alcun diritto di credito, non era legittimata a proporre il ricorso per decreto ingiuntivo al fine di ottenere il pagamento del saldo del prezzo asseritamente ancora non corrisposto dall’acquirente.
Avverso la citata sentenza adottata in sede di rinvio hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, COGNOME NOME e COGNOME NOME (nelle già specificate qualità).
Ha resistito con controricorso l’intimato NOME.
Il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, i ricorrenti hanno denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 345, 346 e 329 c.p.c. in relazione agli artt. 214 e 216 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, contestando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che, non avendo essi
ricorrenti, quali appellati, interposto al riguardo appello incidentale, la pronuncia sull’accertamento con la pronuncia di prime cure – in ordine all’intervenuta approvazione della suddetta clausola (contenente la menzionata condizione) si sarebbe dovuta considerare divenuta definitiva e non più controvertibile e ciò in contrasto con il principio stabilito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 13195/2018, con cui era stata confermata la non necessità della proposizione dell’appello incidentale ad opera della parte pienamente vittoriosa in primo grado, ‘rispetto alle domande ed eccezioni non esaminate e/o anche esplicitamente respinte, essendo essa tenuta solo a riproporle nel giudizio di appello’.
Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1360 c.c. in relazione agli artt. 1458 e 1282 c.c., sostenendo che l’avveramento della condizione risolutiva, pur comportando il diritto alla restituzione delle prestazioni effettuate in esecuzione del contratto, non implicava un giudizio di inadempimento, con la conseguenza che non sarebbero stati dovuti né gli interessi moratori né quelli legali o, al limite, solo questi ultimi.
Con il terzo ed ultimo motivo, i ricorrenti hanno lamentato -con riguardo all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 1355 c.c., in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, non avendo la Corte salernitana rilevato l’insussistenza di alcun elemento oggettivo, men che meno di alcun interesse meritevole di tutela, atteso che il NOME aveva fondato la sua pretesa non sulla presunta clausola contrattuale della scarsa utilità della computerizzazione della farmacia, ma sulla sua ‘mancata familiarizzazione con il computer’, e, perciò, su una circostanza squisitamente afferente alla sua ‘voluntas’, senza alcun elemento di oggettivizzazione, circostanze non esaminate dalla Corte
di rinvio e da ritenersi decisive in funzione del raggiungimento di una diversa soluzione della causa.
4. Il primo motivo è infondato.
Rileva, infatti, il collegio che la Corte di rinvio ha ritenuto correttamente che, sulla scorta delle domande proposte nell’originario atto di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale adito aveva accertato specificamente che la controversa clausola contrattuale era stata approvata e sottoscritta dal legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva spiegato domanda riconvenzionale per risarcimento del danno subito a causa del mancato incasso del corrispettivo dovuto avendo dovuto far ricorso al credito bancario, chiedendo, poi, a seguito dell’avverso appello principale, la conferma della sentenza di primo grado (quindi senza nemmeno riproporre l’eccezione di merito confutativa della ravvisata approvazione della suddetta clausola) e la condanna della controparte ‘al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio’.
Come giustamente osservato dal giudice di rinvio, nella vicenda processuale così come svoltasi si sarebbe dovuto applicare il principio statuito con la sentenza delle Sezioni unite di questa Corte n. 11799/2017, secondo cui, i n tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure,
chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c.
Diversamente, quindi, da quanto dedotto con la censura in esame, non avrebbe potuto trovare applicazione il principio enunciato con la sentenza delle stesse Sezioni unite n. 13195/2018, siccome non conferente al caso di specie, poiché la questione sull’approvazione della clausola controversa non poteva intendersi come superata o non superata perché assorbita dalla ritenuta fondatezza di altra domanda, costituendo anzi l’accertamento dell’approvazione della stessa il presupposto per poi verificare la natura giuridica della condizione con essa prevista, ragion per cui la relativa questione avrebbe dovuto essere fatta valere in secondo grado come motivo di appello incidentale.
Pertanto, legittimamente, la Corte di rinvio ha rilevato che l’ambito di cognizione del giudizio di appello (così come di quello di rinvio) restava circoscritto alla verifica della natura della clausola con cui la società RAGIONE_SOCIALE aveva assunto l’obbligo di risolvere il contratto di fornitura del 13 marzo 1992 e di restituire le somme incassate nell’ipotesi in cui, entro il termine stabilito per il pagamento del saldo, l’acquirente non avesse ritenuto valida la computerizzazione della farmacia.
5. A questo punto -sul piano dell’ordine logico -giuridico delle questioni poste con i motivi -deve essere esaminato il terzo motivo, il quale riguarda la questione centrale relativa alla contestazione della natura giuridica della condizione prevista con la clausola oggetto di controversia, mentre il secondo motivo attiene alla debenza e alla natura degli interessi correlati all’obbligo restitutorio della somma, da parte dei ricorrenti, in conseguenza della produzione dell’effetto risolutivo del contratto.
Questo motivo si profila inammissibile e, comunque, privo di fondamento.
In primo luogo, si evidenzia come – con questa censura -i ricorrenti abbiano inteso, in effetti, porre in discussione l’interpretazione che della clausola ha fatto la Corte di rinvio, senza aver dedotto, in modo specifico, la violazione di alcun criterio ermeneutico, oltre a confutare la valutazione di merito compiutamente motivata dalla citata Corte per farne derivare la qualificazione della condizione con la stessa prevista come ‘condizione risolutiva potestativa’, sul presupposto che il contratto di fornitura e vendita delle attrezzature e dei programmi informatici, sin dalla sua conclusione, perfezionatasi in virtù della manifestazione consensuale delle parti, aveva determinato l’immediato trasferimento del diritto di proprietà su tali beni e l’assunzione dell’obbligazione di pagamento da parte dell’acquirente, mentre soltanto la cessazione dell’efficacia del negozio giuridico era da considerarsi subordinata all’eventuale verificarsi dell’ evento previsto dalle parti stesse.
In altri termini, la Corte di rinvio -facendo un’esatta interpretazione della clausola di cui trattasi, con la quale, come detto, era stato previsto che ‘entro il termine del saldo se la farmacia non ritiene necessaria la computerizzazione, l’istituto RAGIONE_SOCIALE si impegna a ritirare la merce restituendo le somme versate’ ha desunto che le parti, lungi dal posticipare l’efficacia del contratto di fornitura al momento dell’avverarsi di un evento futuro, avevano concordato le modalità operative con le quali sarebbero state ripristinate le loro originarie posizioni nel caso di scioglimento del vincolo negoziale in dipendenza della verificazione dell’evento dedotto, perciò tenuto presente dal giudice di rinvio, ma riconducendo correttamente ad esso la natura di evento – prescindendosi da una sua valutazione in termini di stretta ‘soggettivizzazione’ – di per sé comportante la risoluzione di un contratto già valido e perfezionatosi, con ripristino delle posizioni originarie delle parti.
A tal proposito, la Corte salernitana ha adeguatamente spiegato la natura e gli effetti di tale condizione risolutiva potestativa (e non ‘meramente potestativa’), evidenziando che l’evento dedotto non poteva ritenersi rimesso all’arbitrio o alla volubilità dell’acquirente, ma solo all’esistenza di apprezzabili motivi che avrebbero potuto orientarne la volontà (cfr., ad es., Cass. n. 17059/2011 e Cass, n. 27320/2017), come la valutazione, all’esito della sua attivazione, della non indispensabilità del sistema informatico per l’efficiente gestione dell’attività farmaceutica.
Perciò le circostanze alle quali ha posto riferimento il motivo in discorso sono state prese in esame con la sentenza qui impugnata, la quale, sulla scorta dello svolgimento del rapporto contrattuale e delle condotte delle parti, ha escluso che si fosse venuta a configurare la violazione di criteri generali della buona fede oggettiva e di quella soggettiva.
6. E’ fondato, invece, il secondo motivo.
Costituisce principio pacifico che la retroattività ex art. 1458 c.c. della pronuncia (costitutiva) di risoluzione fa venir meno la causa delle attribuzioni patrimoniali derivanti dal contratto, determinando a carico della parte non colpevole un obbligo, non risarcitorio, ma restitutorio, avente ad oggetto le cose ricevute ed i frutti effettivamente percetti, per i quali ultimi si configura un debito di valore se trattasi di frutti naturali, laddove ricorre invece un debito di valuta, soggetto al principio nominalistico, se trattasi di frutti civili (somme di danaro) costituenti il corrispettivo del godimento della cosa (cfr. Cass. n. 2962/1982 e Cass. n. 22664/2015).
Pertanto, in caso di risoluzione di un contratto di vendita per inadempimento del venditore questi è tenuto a restituire le somme ricevute con gli interessi legali, dovuti come frutto civile del denaro, a decorrere dal giorno in cui le stesse somme gli furono consegnate dall’acquirente (v. anche Cass. n. 4604/2008 e Cass. n. 19659/2014).
A tale principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio.
Ciò comporta che, nel caso di specie, i ricorrenti (non avendo posto in essere una condotta colpevole) non avrebbero potuto essere condannati – come disposto con la sentenza qui impugnata – al pagamento anche degli interessi al tasso convenzionale del 18% annuo fino al 1° aprile 1997 e al tasso soglia di volta in volta vigente per il periodo successivo e fino al giorno del soddisfo, bensì al solo pagamento degli interessi legali a decorrere dal giorno del pagamento della somma di euro 7.612,06 (che, per l’appunto, i ricorrenti erano obbligati a restituire) effettuato dall’allora NOME (dante causa dell’odierno controricorrente) alla società RAGIONE_SOCIALE in virtù del contratto di fornitura dei sistemi informatici del 13 marzo 1992, interessi da intendersi dovuti fino all’effettivo soddisfo.
In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso, mentre vanno respinti il primo e il terzo.
Da ciò consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo ritenuto fondato, con il derivante rinvio della causa alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, la quale – oltre ad uniformarsi al principio di diritto in precedenza riportato – provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta i restanti due. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della