Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18919 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18919 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
R.G.N. 22641/2023
C.C. 26/06/2024
CONTRATTO PRELIMINARE
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO e con indicazione del domicilio digitale all’indirizzo PEC: EMAIL; -ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’AVV_NOTAIO e con indicazione del domicilio digitale all’indirizzo PEC: termini.it;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo n. 1024/2022 (pubblicata il 14 giugno 2022);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione del dicembre 2016, COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, AVV_NOTAIO per sentir dichiarare che il contratto preliminare di vendita concluso tra gli stessi il 2 dicembre 2014 si era risolto per avveramento della condizione risolutiva imputabile a fatto e colpa del convenuto, promittente venditore dell’immobile ubicato in Palermo, al INDIRIZZO, con diritto di esso attore alla restituzione, ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., dell’importo di euro 80.000,00, corrispondente al doppio della caparra versata o, in subordine, alla restituzione della somma di euro 40.000,00; in via ulteriormente gradata, chiedeva che venisse dichiarata la risoluzione del suddetto contratto preliminare, con condanna del COGNOME al pagamento della somma di euro 40.000,00 a titolo di danno emergente e di euro 40.000,00 per lucro cessante o, ancora, in linea di estremo subordine, al pagamento dell’importo di euro 40.000,00, a titolo di arricchimento ingiustificato, il tutto oltre interessi e rivalutazione.
Radicatosi il contraddittorio, il citato convenuto instava per il rigetto della domanda attorea e proponeva, altresì, domanda riconvenzionale per sentir: – accertare e dichiarare il suo diritto al risarcimento del danno e, per l’effetto, condannare il COGNOME a corrispondergli la somma di euro 40.000,00, con compensazione, preliminarmente, dell’importo di euro 40.000,00, già corrisposto; – in subordine, ritenere e dichiarare la legittimità del suo recesso e, conseguentemente, la sussistenza del suo diritto a trattenere la caparra confirmatoria ricevuta dal COGNOME a titolo di risarcimento dei danno ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c.; – in ulteriore subordine, ove fosse stata ritenuta avverata la condizione risolutiva prevista nel contratto preliminare oggetto di causa, quantificare la minor somma, ritenuta equa secondo giustizia, in considerazione della condotta tenuta dall’attore; – in ogni caso, ove il danno non potesse essere provato nel suo preciso ammontare, liquidarlo con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. in misura comunque pari o prossima alla somma versata a titolo di
caparra, oltre interessi e rivalutazione dalla data di stipula del preliminare.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 711/2019, rigettava le domande dell’attore e, in accoglimento di quelle riconvenzionali formulate dal convenuto COGNOME NOME, dichiarava il diritto di quest’ultimo a recedere dal contratto preliminare di compravendita in questione e di ritenere la caparra confirmatoria di euro 40.000,00, con condanna del COGNOME al pagamento delle spese giudiziali.
Decidendo sull’appello avanzato dall’attore soccombente e nella costituzione dell’appellato, la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1024/2022 (pubblicata il 14 giugno 2022), accoglieva, per quanto di ragione, il gravame del COGNOME e, in riforma della pronuncia di primo grado, accertava e dichiarava che il contratto preliminare di compravendita oggetto della controversia era divenuto inefficace per avveramento della condizione risolutiva con lo stesso prevista; condannava, di conseguenza, il COGNOME alla restituzione, in favore del COGNOME, della somma di euro 40.000,00, oltre interessi dalla domanda, nonché al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte palermitana ravvisava la fondatezza del primo motivo di appello, con il quale il COGNOME aveva confutato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riscontrato il suo inadempimento rispetto all’obbligo quale promissario acquirente con riferimento al contratto preliminare in discorso -di stipulare il definitivo, con affermazione del conseguente diritto del AVV_NOTAIO a trattenere la caparra ai sensi dell’art. 1385, comma 2, c.c., nel mentre, in contrario, si sarebbe dovuto ritenere che lo stesso contratto preliminare era divenuto inefficace per avveramento della condizione risolutiva (non imputabile all’appellante) da qualificarsi ‘mista’ prevista nel suo testo, riconducibile al mancato reperimento del mutuo necessario all’acquisto, per come dallo stesso appellante adeguatamente provato.
Osservava la Corte territoriale che la mancata concessione del mutuo -per causa non imputabile al COGNOME – era tale da pregiudicare l’efficacia del contratto preliminare a prescindere dalla valutazione delle autonome capacità economiche del promissario acquirente, contrariamente a quanto valorizzato dal Tribunale, il quale, nel riscontrare l’assenza di nesso causale tra omessa erogazione del mutuo e mancata stipula del contratto definitivo di compravendita, aveva finito con ‘l’oscurare’ totalmente la rilevanza del ‘patto condizionale’ (v., in tal senso, pag. 7 della sentenza impugnata). Concludeva, pertanto, il giudice di appello nel senso che l’avveramento della condizione risolutiva apposta al contratto preliminare del 2 dicembre 2014, dipendente dal fatto del terzo, aveva integralmente ‘travolto’ l’efficacia dello stesso contratto preliminare, con conseguente diritto del promissario acquirente ad ottenere la restituzione della caparra corrisposta alla controparte in virtù di un titolo ormai divenuto privo di efficacia ‘ex tunc’, con riconoscimento degli interessi dalla domanda.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico complesso motivo, il RAGIONE_SOCIALE.
Ha resistito con controricorso l’intimato COGNOME COGNOME.
Il Consigliere delegato ai sensi del primo comma del nuovo art. 380bis c.p.c. formulava una sintetica proposta di definizione del giudizio, ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso.
Il ricorrente richiedeva, nel termine prescritto e con la forma necessaria, la decisione collegiale, in virtù del secondo comma dello stesso art. 380bis c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l ‘unico motivo proposto, il ricorrente denuncia -ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. -la violazione e falsa applicazione degli artt. 1358, 1359 e 1385, secondo comma, c.c., deducendo l’erroneità della sentenza impugnata in ordine alla qualificazione della condizione risolutiva apposta al contratto preliminare oggetto di causa come condizione mista e per avere, per l’effetto, escluso che – a fronte della
mancata erogazione del mutuo richiesto dal COGNOME – rilevasse l’eventuale comportamento omissivo dello stesso, quale promissario acquirente, sicché non sarebbe stato considerato il mancato adempimento dell’obbligo giuridico del medesimo di comportarsi secondo buona fede durante lo stato di pendenza della condizione, atteso che vi era stata la disponibilità dell’istituto di credito incaricato ad erogare il finanziamento per un importo minore rispetto a quello richiesto di euro 350.000,00, per mancanza di congruità con il valore risultante dalla stima già eseguita dalla stessa banca.
Il motivo è infondato per le complessive ragioni che seguono.
Come già evidenziato nella rappresentazione dello svolgimento della vicenda fattuale, la Corte di appello ha basato il suo percorso logico -giuridico su una sequenza argomentativa strutturata nelle seguenti considerazioni:
la mancata erogazione del mutuo, in presenza di una condizione mista, avrebbe giustificato gli effetti previsti in contratto, senza che potesse sortire rilevanza un’eventuale condotta omissiva del promissario acquirente, dal momento che l’efficacia del contratto preliminare del 2 dicembre 2014 risultava essere stata pacificamente condizionata in senso risolutivo al mancato ottenimento del mutuo da parte del promissario acquirente, avuto riguardo alla clausola inserita nell’art. art. 4 del relativo testo contrattuale;
il promissario acquirente aveva dato prova di essersi tempestivamente reso parte diligente nell’attivarsi presso la filiale palermitana della Banca Sella allo scopo di conseguire il mutuo necessario per procedere all’acquisto, mutuo che, tuttavia, non era stato concesso poiché, in sede di perizia, erano emerse alcune difformità catastali idonee a comportare la riduzione del valore dell’immobile promesso in vendita (per quanto risultante anche dalla deposizione del responsabile della filiale di detta Banca), diniego che era stato confermato anche dopo l’avvenuta integrazione documentale ad opera del promittente alienante, sul presupposto della incongruità
dell’importo richiesto di euro 350.000,00 rispetto al valore reale dell’immobile (e ciò sulla scorta di una perizia estimativa compiuta successivamente dalla stessa banca);
di conseguenza, la mancata erogazione del mutuo a cura della banca compulsata, venutasi a concretizzare in via definitiva nel giugno del 2015, aveva comportato l’avveramento dell’evento oggetto della condizione risolutiva apposta in contratto;
tale avveramento era da ricondursi integralmente al fatto del terzo, dovendosi ritenere che il promissario acquirente aveva fatto tutto ciò che era in suo potere nell’avviare tempestivamente e coltivare diligentemente la pratica di mutuo per addivenire ad un esito positivo della stessa;
le parti non avevano violato il canone della buona fede oggettiva in pendenza della condizione, avendo ambedue atteso le determinazioni della banca alla quale era stato chiesto il mutuo, senza ostacolarne gli esiti, anzi impegnandosi, l’una affinché la somma necessaria all’acquisto fosse erogata al più presto e l’altra alla raccolta della documentazione utile alla buona riuscita della richiesta finanziaria.
Sulla scorta di tali univoci accertamenti fattuali la sentenza di appello ha correttamente ritenuto che l’evento condizionante liberamente previsto nel contratto era connotato da una natura mista ed il suo mancato avveramento non poteva dirsi imputabile alle parti, siccome dipendente da un’attività essenzialmente riconducibile alla volontà della banca a cui era stata chiesta l’erogazione del mutuo.
A tal proposito, è importante rimarcare come la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che, nell’eventualità in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare, in tutto o in parte, il prezzo stabilito, tale condizione è, per l’appunto, qualificabile come ‘mista’, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la
pratica, con l’ulteriore corollario che la mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un possibile comportamento omissivo dello stesso promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia interesse all’avveramento della condizione (c.d. condizione bilaterale), sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire, perciò, fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, ragion per cui la sussistenza di un siffatto obbligo va esclusa per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista (cfr., ad es., Cass. n. 22046/2018 e Cass. n. 25085/2022).
È, peraltro, importante evidenziare che la Corte territoriale ha adeguatamente valorizzato – con apprezzamento che si sottrae al sindacato di legittimità – anche il comportamento improntato a correttezza del promissario acquirente in pendenza dell’avveramento della condizione risolutiva, essendosi questo attivato fattivamente per ottenere il mutuo (cfr. Cass. n. 21427/2022).
In proposito, la Corte territoriale – sempre con apprezzamento di merito insindacabile nella presente sede -ha spiegato ragionevolmente l’irrilevanza sia della circostanza che nel preliminare di vendita non fosse stata specificata la somma che il futuro acquirente si era obbligato a reperire attraverso l’ottenimento del mutuo, sia di quella relativa alla possibilità che la banca avesse concesso un mutuo di importo inferiore integrabile con risparmi personali del COGNOME, dal momento che – a prescindere dalla esatta individuazione della misura delle necessità finanziarie da quest’ultimo autonomamente reperibili l’evento oggetto della condizione risolutiva, pur se non ulteriormente circoscritto in contratto, aveva ricevuto ampia considerazione da parte dei contraenti con riferimento al reale valore dell’immobile che ne costituiva oggetto e al fine di evitare che lo stesso COGNOME si potesse
poi venire a trovare in una impossibilità di corrispondere integralmente il prezzo della vendita definitiva.
Inoltre, la Corte palermitana -nell’economia complessiva della valutazione dello svolgimento del rapporto contrattuale – ha dato atto dell’irrilevanza del tentativo, da parte del COGNOME, di rivolgersi successivamente ad altra banca per l’ottenimento del mutuo (esperito dopo l’esito negativo della precedente richiesta alla Banca Sella), poiché esso era stato posto in essere nel periodo compreso tra il mese di giugno 2015 e quello di aprile 2016, ovvero allorquando il promittente venditore aveva già maturato l’intenzione di non addivenire più alla stipula del contratto definitivo di vendita.
Si profila, quindi, conforme a diritto, la soluzione adotta dal giudice di appello nel concludere che l’avveramento della condizione risolutiva apposta al preliminare del 2 dicembre 2024 era dipeso dal fatto del terzo (la banca), con conseguente travolgimento degli effetti del contratto e derivante insorgenza del diritto, in capo al promissario acquirente, di ottenere la restituzione della caparra corrisposta alla controparte in base ad un titolo divenuto privo di efficacia ex tunc , con il riconoscimento dei relativi interessi legali dalla domanda (v. Cass. n. 18518/2004 e Cass. n. 6911/2018).
In definitiva, la motivazione adottata dal giudice di appello si pone sul presupposto di una completa ricostruzione della vicenda sul piano fattuale per come risultante dagli accertamenti acquisiti -in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte, il che comporta l’infondatezza della complessiva censura formulata dal ricorrente.
Pertanto, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto.
Per effetto della sua soccombenza, il COGNOME va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P .R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Poiché la causa è stata definita in piena conformità alla proposta di definizione anticipata, vanno applicati – ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c. – il terzo e quarto comma dell’art. 96 c.p.c., per le cui statuizioni pure si rinvia al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltra contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P .R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Condanna, altresì, il ricorrente al pagamento, sempre in favore del controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., dell’ulteriore somma di euro 1.500,00, nonché, con riferimento all’art. 96, comma 4, c.p.c, al pagamento dell’aggiuntiva somma di euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della