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Condizione mista: il mutuo nel preliminare di vendita

Un contratto preliminare di vendita immobiliare conteneva una clausola che subordinava l’atto definitivo all’ottenimento di un mutuo da parte dell’acquirente. A seguito del rifiuto di due banche, l’acquirente ha richiesto la risoluzione del contratto. Il venditore si è opposto, sostenendo la nullità della clausola. La Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado, qualificando la clausola come una ‘condizione mista’ valida, la cui mancata realizzazione, non imputabile all’acquirente, ha legittimamente causato la risoluzione del contratto e l’obbligo per il venditore di restituire la caparra versata.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Condizione Mista e Mutuo: Analisi di una Sentenza Decisiva

Quando si stipula un contratto preliminare di compravendita, è comune inserire una clausola che subordina il rogito definitivo all’ottenimento di un mutuo da parte dell’acquirente. Ma cosa succede se la banca nega il finanziamento? Una recente sentenza della Corte di Appello di Roma chiarisce la validità di tali clausole, definendole una condizione mista e delineando le conseguenze del loro mancato avveramento.

Il Caso: Un Preliminare di Vendita e la Clausola del Mutuo

La vicenda ha origine da un contratto preliminare per l’acquisto di un immobile a Roma. Le parti avevano pattuito un prezzo di € 595.000,00 e stabilito che una parte del pagamento sarebbe avvenuta tramite un mutuo che la promissaria acquirente avrebbe dovuto richiedere. Il contratto conteneva una clausola essenziale: l’accordo si sarebbe risolto automaticamente in caso di ‘mancato ottenimento del mutuo da parte del promissario acquirente’.

Trascorsi oltre due anni, la stipula del rogito non era ancora avvenuta. La promissaria acquirente, dopo aver ricevuto il diniego del mutuo da parte di due diversi istituti bancari, agiva in giudizio per chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra di € 25.000,00 già versata.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la sua domanda, ma il promittente venditore proponeva appello, sostenendo che la clausola fosse nulla in quanto ‘meramente potestativa’, ovvero dipendente dalla mera volontà dell’acquirente.

La Decisione della Corte d’Appello: La Condizione Mista nel Preliminare

La Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado. I giudici hanno chiarito la natura giuridica della clausola in questione, offrendo spunti fondamentali per la prassi contrattuale immobiliare.

La Natura della Clausola sul Mutuo

Il punto centrale della decisione è la qualificazione della clausola come condizione mista e non meramente potestativa. Una condizione è ‘meramente potestativa’ quando l’avverarsi dell’evento dipende dal mero arbitrio di una parte (es. ‘pagherò se vorrò’), il che rende nullo l’obbligo.

In questo caso, invece, l’ottenimento del mutuo non dipende solo dalla volontà dell’acquirente di presentare la domanda, ma anche e soprattutto dalla valutazione discrezionale di un soggetto terzo: la banca. L’evento, quindi, è il risultato di due fattori: uno volontario (l’attivazione della pratica da parte del richiedente) e uno esterno (la delibera dell’istituto di credito). Questa duplice natura la qualifica appunto come condizione mista, perfettamente valida secondo il nostro ordinamento.

L’Onere della Prova e la Domanda Riconvenzionale

Un altro aspetto cruciale riguarda l’onere della prova. Il venditore sosteneva che la mancata concessione del mutuo fosse imputabile a un comportamento omissivo dell’acquirente. La Corte, richiamando la giurisprudenza della Cassazione (Cass. n. 22046/2018 e Cass. n. 17919/2023), ha stabilito che, in presenza di una condizione mista, spetta alla parte che ha interesse contrario all’avveramento della condizione (in questo caso, il venditore che voleva trattenere la caparra) dimostrare che il fallimento sia dovuto a una condotta colposa della controparte. Nel caso di specie, il venditore non ha fornito alcuna prova in tal senso.

Di conseguenza, la domanda riconvenzionale del venditore, volta a ottenere un ulteriore pagamento, è stata respinta.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’avverarsi della condizione risolutiva (il mancato ottenimento del mutuo) si era effettivamente verificato e non era attribuibile a una colpa della promissaria acquirente. La clausola contrattuale era chiara e non generica. L’acquirente, dimostrando il rifiuto delle banche, aveva legittimamente diritto a veder risolto il contratto. I giudici hanno ribadito che l’obbligo di comportarsi secondo buona fede impone all’acquirente di attivarsi per ottenere il finanziamento, ma non può trasformare l’esito della richiesta (che dipende da un terzo) in una sua colpa. L’assenza di prove su un comportamento negligente dell’acquirente ha reso inevitabile la risoluzione del contratto e la condanna del venditore alla restituzione della caparra versata, oltre al pagamento delle spese legali.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Acquirenti e Venditori

Questa sentenza offre importanti tutele per chi acquista un immobile subordinando l’operazione a un finanziamento. La clausola ‘salvo buon fine del mutuo’ è legittima e protegge l’acquirente dal rischio di perdere la caparra se la banca nega il prestito per ragioni indipendenti dalla sua volontà. Per i venditori, invece, emerge la consapevolezza che, in presenza di tale clausola, per trattenere la caparra non è sufficiente il semplice mancato avveramento della condizione, ma è necessario provare in modo rigoroso che l’acquirente abbia agito in malafede o con negligenza nel tentativo di ottenere il mutuo.

La clausola che subordina la vendita all’ottenimento di un mutuo è valida?
Sì, è perfettamente valida. La giurisprudenza la qualifica come ‘condizione mista’, poiché il suo avverarsi dipende sia dalla volontà dell’acquirente (che deve attivarsi per richiedere il finanziamento) sia da quella di un terzo (la banca che deve concederlo).

Cosa succede se l’acquirente non ottiene il mutuo per cause non a lui imputabili?
Se il contratto prevede una clausola risolutiva legata all’ottenimento del mutuo, il contratto si risolve automaticamente. L’acquirente ha diritto alla restituzione delle somme versate, come la caparra, poiché il mancato avveramento della condizione non è dovuto a una sua colpa.

Su chi ricade l’onere di provare che il mancato ottenimento del mutuo è colpa dell’acquirente?
L’onere della prova ricade sul venditore. È lui che, se vuole evitare la risoluzione del contratto e trattenere la caparra, deve dimostrare che l’acquirente ha tenuto un comportamento omissivo o contrario a buona fede che ha causato il diniego del finanziamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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