SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4859 2025 – N. R.G. 00003117 2019 DEPOSITO MINUTA 25 08 2025 PUBBLICAZIONE 25 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Terza Sezione Civile composta dai magistrati
NOME COGNOME Presidente
NOME COGNOME Consigliere rel.
NOME Roberto COGNOME Consigliere
riunita in camera di consiglio, pronuncia la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 3117 del registro generale degli affari contenziosi dell’anno 2019, vertente
tra
Avv. COGNOME NOME
e
NOME COGNOME Avv.COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’appellante in epigrafe impugna la sentenza n. 24064 del 2018 con cui il Tribunale di Roma ha deciso quanto segue: ‘ Con atto di citazione notificato il 28 febbraio 2014 Pan RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio esponendo di aver stipulato in data 21. 11. 2007 con il convenuto un preliminare di vendita avente ad oggetto un appartamento sito in Roma, INDIRIZZO all’epoca ancora di proprietà del Comune di Roma, ed intestato al convenuto ed al fratello , quali eredi del defunto il quale sull’immobile aveva, prima di morire, esercitato il suo diritto di prelazione; che i due eredi, pur invitati ad esercitare il diritto d’opzione, decidevano di designare quale unico acquirente dell’immobile in questione, rinunciando espressamente il fratello ad ogni diritto al riguardo; che il prezzo veniva determinato nella somma complessiva di € 595.000,00, da corrispondere in tre passaggi temporali, di cui € 25.000,00 a titolo di caparra confirmatoria, da consegnarsi in deposito presso il notaio rogante, altri € 25.000,00, mediante assegno bancario, da consegnarsi al sempre
a titolo di caparra confirmatoria, depositato presso l’avv. Segatori legale dell’attrice, previa esibizione di copia autentica dell’atto notarile d’acquisto ed il residuo di € 545.000,00 a saldo, con il ricavo da un mutuo da contrarre da essa acquirente (la concessione del quale costituiva condizione quest’ultima essenziale per la stipula del rogito notarile); che il riusciva a stipulare il rogito per l’acquisto del bene promesso solo oltre due anni dopo la stipula del preliminare, quando la convenienza dell’affare era ormai venuta meno per la promissaria acquirente; che, comunque, quest’ultima si era ugualmente attivata per l’ottenimento del mutuo, ma ben due istituti bancari si erano rifiutati di erogare il mutuo in questione, essendosi così configurato il ‘mancato avverarsi della condizione essenziale prevista dagli artt, 4 e 7 del predetto preliminare’, non per colpa della promissaria acquirente, che chiedeva al Tribunale di dichiarare risolto il preliminare ‘de quo’ per inadempimento del convenuto e per l’effetto di condannarlo alla restituzione della somma di € 25.000,00 già versata allo stesso.
Si costituiva in giudizio il convenuto, contestando la domanda dell’attrice e chiedendo il rigetto della stessa, in particolare, contestando l’interpretazione e la validità della clausola di cui all’art. 9 (nulla perché meramente potestativa) del preliminare, soprattutto in relazione alla risoluzione del contratto condizionata genericamente alla mancata concessione del mutuo alla controparte e chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice, responsabile della mancata conclusione del contratto, al risarcimento danni, pari alla somma di € 25.000,00 (o a quella maggiore o minore di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria) pari alla seconda parte della caparra confirmatoria, non ancora ricevuta.
Acquisita agli atti la documentazione prodotta, espletata la prova per interpello e testi, all’udienza del 19.6.2018, le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva trattenuta in decisione, previa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per la redazione delle memorie conclusionali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le domanda proposta dalla NOME COGNOME è fondata e va accolta. Nel contratto preliminare del 21. 11. 2007, infatti, si prevedeva (artt. 7 e 9) che il contratto definitivo sarebbe stato formalizzato entro otto mesi dalla intestazione al dell’immobile, ‘salvo impossibilità di ottenere il mutuo da parte del promissario acquirente per qualsivoglia motivo’, mentre con il successivo art. 9 titolato ‘condizioni essenziali’ si stabiliva
che la parti si davano reciprocamente atto che ‘il presente accordo si intenderà automaticamente risolto all’esito del non verificarsi di una delle seguenti condizioni essenziali: a) mancata stipula del rogito b) mancato ottenimento del mutuo da parte del promissario acquirente’.
Nella specie la seconda condizione deve ritenersi avverata: infatti è emerso in causa che il rogito con il fu stipulato e registrato solo il 21. 12. 2009 ovvero oltre due anni dopo l’accordo preliminare; che il aveva garantito verbalmente che la stipula sarebbe avvenuta entro otto mesi dal preliminare (cfr. al riguardo la chiara deposizione del teste avv. COGNOME) e, soprattutto che ben due istituti bancari avevano rifiutato di concedere il finanziamento all’odierna attrice (comunque, previsto per qualunque causa), come risulta dalla documentazione prodotta al riguardo dall’attrice (cfr. docc. 5 e 6 del fascicolo della stessa).
La condizione essenziale, pertanto, deve ritenersi avverata, con conseguente risoluzione automatica del contratto non attribuibile a colpa dell’odierna attrice.
Il patto, peraltro, non può considerarsi generico, come vorrebbe il convenuto, data la chiarezza della clausola, né può parlarsi di condizione meramente potestativa, poiché l’attrice, solo dimostrando il rifiuto del mutuo da parte delle banche, poteva ottenere la risoluzione del preliminare ‘de quo’.
Il convenuto va, pertanto, condannato alla restituzione all’attrice della somma di € 25.000,00 (pari alla caparra versata dall’avv. Segatori al come documentato in atti e pacifico in causa), con gli interessi legali dalla domanda al saldo, mentre nulla spetta a titolo di rivalutazione monetaria, trattandosi nella specie di un’obbligazione pecuniaria conseguente ad una ripetizione di indebito.
Va respinta, di conseguenza per le motivazioni esposte, la domanda riconvenzionale del convenuto, il quale, oltre ad aver ricevuto l’intera caparra, pretendeva un ulteriore pagamento di quanto già incassato a detto titolo.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
il giudice unico, definitivamente pronunciando, sulla domanda posta da NOME COGNOME nei confronti di nonché sulla riconvenzionale, ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
Condanna il al pagamento, in favore dell’attrice della somma di € 25.000,00, con gli interessi legali dalla domanda al saldo;
Rigetta la domanda riconvenzionale;
Condanna, altresì, il convenuto alla rifusione delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi €.3.850,00, oltre accessori di legge, di cui €.250,00 per esborsi .’.
La parte appellata ha chiesto il rigetto dell’impugnazione.
La causa, previa precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello non è fondato e, pertanto, non merita d’essere accolto.
Va premesso che la motivazione della sentenza gravata, malgrado qualche superflua divagazione, accerta l’avverarsi della condizione risolutiva del preliminare consistente nel mancato ottenimento del mutuo da parte della Pan, come risulta evidente dal passaggio che si riporta ove il Tribunale fa riferimento al ‘rifiuto del mutuo’: ‘ La condizione essenziale, pertanto, deve ritenersi avverata, con conseguente risoluzione automatica del contratto non attribuibile a colpa dell’odierna attrice.
Il patto, peraltro, non può considerarsi generico, come vorrebbe il convenuto, data la chiarezza della clausola, né può parlarsi di condizione meramente potestativa, poiché l’attrice, solo dimostrando il rifiuto del mutuo da parte delle banche, poteva ottenere la risoluzione del preliminare ‘de quo’. ‘.
Il si duole, poi, che il Tribunale non abbia ritenuto nulla la clausola di cui all’art. 9 del preliminare di compravendita per cui è causa che, secondo il suo assunto, riguarda una condizione di natura meramente potestativa.
Osserva la Corte che ‘ Ove le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per potere pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, tale condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la pratica. La mancata erogazione del prestito, però, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché questa disposizione è inapplicabile qualora la parte tenuta condizionatamente ad
una data prestazione abbia interesse all’avveramento della condizione (cd. condizione bilaterale), sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista. ‘ (Cass. 22046 del 2018); ed ancora, ‘ Nel caso in cui le parti subordinino gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito, la relativa condizione è qualificabile come “mista”, dipendendo la concessione del mutuo non solo dalla volontà della banca, ma anche dal comportamento del promissario acquirente nell’approntare la relativa pratica, sicché la mancata concessione del mutuo comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi, ai sensi dell’art. 1359 c.c., un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte tenuta condizionatamente ad una data prestazione abbia anch’essa interesse all’avveramento della condizione, sia perché l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto l’attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un siffatto obbligo deve escludersi per l’attività di attuazione dell’elemento potestativo in una condizione mista, con conseguente esclusione dell’obbligo di corrispondere la provvigione in favore del mediatore . ‘ (Cass. 17919 del 2023).
Ebbene, premesso che si tratta di una condizione mista, il non ha fornito il benchè minimo elemento di prova in ordine all’imputabilità alla Pan della mancata concessione del mutuo.
Sicchè il motivo è da respingere.
La parte appellante impugna la sentenza di cui sopra lamentando, inoltre, l’assoluta insufficienza della motivazione relativa al rigetto della sua riconvenzionale.
Il si duole del rigetto sostanzialmente immotivato della domanda riconvenzionale con la quale aveva inteso far valere ex art. 1454 c.c. l’inadempimento della controparte alla diffida ad adempiere inviata in relazione al mancato pagamento della seconda tranche della caparra confirmatoria.
Osserva la Corte che dall’esame dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado emerge che la Pan ha dato conto (all’ultimo
capoverso della pag. 2) che in data 19.1.2010 le è stato comunicato dal dell’acquisto dell’immobile che le aveva promesso in vendita.
Sicchè da tale momento (giusta quanto previsto nel preliminare) a semplice richiesta del promittente venditore, avrebbe dovuto corrispondergli la seconda tranche di caparra in conto prezzo di euro 25.000,00.
Ebbene, seppure il sostenga di aver comunicato alla Pan la diffida ad adempiere, pena la risoluzione di diritto ex art. 1454 c.c., rileva la Corte che l’odierno appellante non ha assolto l’onere di produrla in giudizio poiché non ha depositato nel presente grado il documento così come neppure l’intero suo fascicolo.
Il che impedisce a questa Corte di esaminare nel merito il motivo d’appello che non può prescindere dal contenuto della diffida e dalla prova che sia pervenuta alla destinataria.
Ma quel che più rileva, poiché la Pan contesta di averne avuto conoscenza, è che neppure in ipotesi di mancata contestazione in ordine alla regolare comunicazione il motivo d’appello sarebbe stato accoglibile, stante l’impossibilità di valutare il contenuto del documento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e, pertanto, devono porsi a carico dell’appellante.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, deduzione o eccezione disattesa, così provvede:
rigetta l’appello;
condanna di NOME COGNOME
alla rifusione delle spese di lite in favore nella misura che liquida in euro 15.000,00, oltre spese generali ed oneri di legge.
D à atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 come successivamente modificato e integrato, che sussistono i presupposti per il versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 22.7.2025.
Il Presidente
Il Consigliere estensore