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Condanna solidale spese: quando è illegittima?

Un’impresa in fallimento agiva contro tre persone per la restituzione di somme di valore molto diverso. Nonostante la condanna in primo grado e in appello al pagamento solidale delle spese legali, la Corte di Cassazione ha annullato tale decisione. Il principio affermato è che la condanna solidale spese è illegittima quando vi è un’enorme divergenza nel valore delle domande contro i singoli convenuti, poiché l’interesse comune non copre l’intera controversia, rendendo la condanna sproporzionata per chi è chiamato a rispondere per un importo minore.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Condanna Solidale alle Spese: La Cassazione Fissa i Limiti in Caso di Domande di Valore Diverso

La gestione delle spese legali in un processo con più parti può essere complessa. Un principio fondamentale è quello della condanna solidale spese, secondo cui più parti soccombenti possono essere obbligate a pagare l’intero ammontare delle spese legali, lasciando poi a loro il compito di ripartire internamente l’onere. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un importante limite a questa regola, specialmente quando le posizioni dei convenuti sono significativamente diverse.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’azione promossa dalla curatela fallimentare di una società a responsabilità limitata. L’azione era diretta a ottenere la dichiarazione di inefficacia di alcuni pagamenti effettuati dalla società, prima del fallimento, a favore di tre diverse persone. Le somme richieste erano notevolmente sproporzionate: circa 900.000 euro da una persona, 30.000 euro da una seconda e soli 10.000 euro da una terza.

Il Tribunale di primo grado accoglieva le domande del fallimento, condannando ciascuna convenuta alla restituzione delle rispettive somme. Inoltre, condannava tutte e tre, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, liquidate in 39.000 euro. La Corte d’Appello confermava integralmente la sentenza, ritenendo corretta l’applicazione della condanna solidale per le spese in virtù di un presunto “interesse comune” tra le parti, derivante dalla convergenza delle loro difese.

La questione della condanna solidale spese davanti alla Cassazione

La terza convenuta, condannata a restituire 10.000 euro, decideva di ricorrere in Cassazione. Il suo unico motivo di doglianza riguardava proprio la condanna solidale spese. Sosteneva che obbligarla a rispondere in solido per 39.000 euro di spese legali fosse una misura illegittima, eccessiva e sproporzionata rispetto al valore della domanda proposta nei suoi confronti. In pratica, si trovava a garantire con il proprio patrimonio il pagamento di spese legali generate in gran parte dalla difesa relativa alla pretesa di 900.000 euro verso un’altra parte.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici hanno richiamato il principio, già consolidato in giurisprudenza, secondo cui la comunanza di interessi che giustifica la condanna solidale alle spese (ai sensi dell’art. 97, comma 1, c.p.c.) può sussistere anche solo per una convergenza di strategie difensive. Tuttavia, hanno precisato un limite cruciale a tale principio.

Citando un precedente specifico (Cass. n. 6976/2016), la Corte ha stabilito che la condanna in solido non è permessa quando i vari soccombenti sono stati coinvolti nel processo per domande di valore notevolmente diverso. La solidarietà, infatti, cessa dove finisce l’interesse comune. In questo caso, l’interesse a resistere a una domanda da 10.000 euro è ben diverso dall’interesse a difendersi da una richiesta di 900.000 euro. Cumulare le domande in un unico processo è stata una scelta della parte attrice, ma le conseguenze di tale scelta non possono ricadere ingiustamente sulla parte chiamata a rispondere per la somma minore.

La Corte ha inoltre sottolineato come l’errore fosse ancora più evidente nel giudizio d’appello, dove la ricorrente aveva impugnato la sentenza di primo grado solo per la parte relativa alle spese, a differenza dell’altra appellante che contestava anche il merito della condanna. Questo differenziava ulteriormente le loro posizioni processuali.

Le conclusioni

Sulla base di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello. Poiché non erano necessari ulteriori accertamenti di fatto, ha deciso direttamente nel merito, riformando parzialmente le sentenze precedenti. Ha condannato la ricorrente a pagare al Fallimento le spese legali, ma ricalcolandole in base al valore della sua specifica causa: 3.500 euro per il primo grado e 4.500 euro per l’appello. Ha inoltre condannato il Fallimento a rimborsare alla ricorrente le spese del giudizio di cassazione. La decisione rappresenta un importante baluardo a tutela del principio di proporzionalità, evitando che un convenuto per una somma modesta sia esposto a un rischio economico spropositato a causa della posizione di altri co-convenuti.

Quando più parti soccombenti possono essere condannate in solido a pagare le spese legali?
Di norma, la condanna in solido alle spese è possibile quando vi è un interesse comune tra le parti soccombenti, che può manifestarsi anche solo attraverso una convergenza delle strategie difensive e l’identità delle questioni dibattute nel processo, ai sensi dell’art. 97 del codice di procedura civile.

La condanna solidale alle spese è sempre applicabile se c’è un interesse comune?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la condanna in solido non è consentita quando le domande proposte contro i vari soccombenti hanno un valore notevolmente diverso. In questi casi, la solidarietà viene meno perché l’interesse comune non copre l’intera controversia e una condanna solidale risulterebbe sproporzionata e ingiusta per la parte chiamata a rispondere per l’importo minore.

Cosa ha deciso la Corte nel caso specifico di domande con valori molto differenti?
La Corte ha annullato la condanna solidale e, decidendo nel merito, ha ricalcolato le spese a carico della ricorrente basandosi esclusivamente sul valore della domanda rivolta contro di lei (10.000 euro), separando la sua responsabilità da quella delle altre parti convenute per importi molto più elevati. Ha quindi liquidato una somma proporzionata alla sua specifica posizione processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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