Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35108 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 9541-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 564/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 28/09/2021 R.G.N. 931/2019;
Oggetto
R.G.N. 9541/2022
COGNOME
Rep.
Ud.13/11/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
La Corte di appello di Catania ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 28/29 settembre 2016 a NOME COGNOME dalla RAGIONE_SOCIALE e la società condannata a riassumere il lavoratore nel termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
la Corte di merito, in relazione al primo motivo del gravame della società, incentrato sulla mancata prova da parte del lavoratore dell’ammontare dell’ultima retribuzione globale di fatto, ha osservato che la determinazione di tale elemento non si configurava quale fatto costitutivo della domanda, non essendo prevista quale presupposto per la applicazione della tutela obbligatoria; ha evidenziato che l’art. 8 l. n. 604/1966 contemplava espressamente la possibilità di una condanna generica; quanto al secondo motivo di gravame, incentrato sulla concreta determinazione della indennità risarcitoria, ha ritenuto che il riconoscimento di sei mensilità della retribuzione globale di fatto fosse giustificato alla luce dei criteri indicati dall’art. 8 cit., tenuto conto della grave violazione del diritto di difesa connessa alla assoluta genericità della contestazione disciplinare e tenuto conto delle dimensioni dell’impresa quale emergente dal volume di affari conseguito;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE semplificata sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;
parte ricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione dell’art. 8 l. n. 604/1966 e dell’art. 111 Cost., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto non necessaria la dimostrazione da parte del lavoratore dell’entità della retribuzione globale di fatto al fine della adozione della statuizione risarcitoria; contesta in particolare l’affermazione secondo la quale era il medesimo art. 8 cit. a prevedere la possibilità dell’adozione di una statuizione di condanna generica ed evidenzia che tale interpretazione confliggeva con il principio costituzionalizzato del giusto processo ex art. 111, comma 2 Cost.;
con il secondo motivo di ricorso deduce: violazione dell’art. 1362 c.c. per erronea interpretazione della originaria domanda, falsa applicazione dell’art. 278 c.p.c.; violazione dell’art. 132, c.p.c. per difetto assoluto di motivazione . La sentenza impugnata è censurata per avere ritenuto che la domanda originaria avesse ad oggetto una condanna generica; invoca il principio ex a rt. 278 c.p.c. secondo il quale l’unica ipotesi di scissione prevista dall’art. 278 c .p.c. è quella tra l’accertamento della sus sistenza del diritto e la determinazione della quantità della prestazione dovuta;
con il terzo motivo deduce ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. difetto di interesse ad agire e violazione del principio di infrazionabilità del credito; deduce che un secondo giudizio avente ad oggetto l’indennità risarcitoria sarebbe inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem e del divieto di frazionamento del credito;
con il quarto motivo denunzia, in via subordinata, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. violazione dell’art. 8 l. n. 604/1966 e apparenza di motivazione: sostiene che la Corte di merito aveva confuso i presupposti fattuali per dichiarare l’illegittimità del licenziamento con i parametri sulla base dei quali andava quantificata la indennità risarcitoria; denunzia che la Corte aveva considerato solo due dei quattro parametri (comportamento delle parti e dimensioni dell’impresa) al quale in base all’art. 8 l. n . 604/1966 era ancorata la determinazione fra il minimo ed il massimo della indennità; si duole inoltre della mancata motivazione in ordine al mancato rilievo conferito ad alcune circostanze come l’avvenuta immediata corresponsione del trattamento di fine rapporto, l’esiguo numero di dipendenti ed alla breve anzianità di servizio;
il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, devono essere respinti;
5.1. occorre premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte anche nel rito del lavoro è ammissibile una sentenza di condanna generica ben potendo la domanda essere limitata fin dall’inizio all’accertamento dell’ “an”, con conseguente pronuncia di condanna generica, che definisce il giudizio, e connesso onere della parte interessata di introdurre un autonomo giudizio per la liquidazione del “quantum” (Cass.
23855/2024, Cass. 4587/2014); tali principi emergono anche dalla recente pronuncia resa dalle S.U. di questa Corte (Cass. n. 29862/2022), in cui, ribadito in via generale che, ai fini del risarcimento del danno, la vittima di un fatto illecito può proporre una domanda limitata ab origine all’accertamento del solo an debeatur , con riserva di accertamento del quantum in un separato giudizio (e che, nel giudizio introdotto da una siffatta domanda, il giudice, su istanza di parte, può pronunciare anche condanna provvisionale ai sensi dell’art. 278 c.p.c.), è stata confermata la differenza tra domanda generica di danno, quale espressione del principio di libera scelta delle forme di tutela offerte dall’ordinamento, e domanda di condanna specifica, che postula l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare del danno;
5.2. tanto premesso, la censura di parte ricorrente, che deduce violazione dell’art. 278 c.p.c. nonché omessa motivazione a riguardo, sostenendo, in sintesi, l’errata interpretazione dell’originaria domanda con la quale sostiene -era stata formulata richiesta di condanna specifica, è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 c.p.c., in quanto parte ricorrente non trascrive, il contenuto della originaria domanda ed in particolare la relativa parte espositiva, limitandosi alla sola riproduzi one delle ‘conclusioni’ dalle quali non è dato peraltro evincere che vi fosse stata una richiesta di determinazione nel quantum della indennità risarcitoria;
5.3. quanto alla tutela ex art. 8 l. n. 604/1966, pacificamente applicabile, si conviene con la sentenza impugnata in ordine al fatto che la disposizione richiamata non contempla la necessità che in domanda venga specificato il quantum richiesto a titolo di indennità risarcitoria; in tal modo
il legislatore, anche per intuibili esigenze connesse alla necessità di una rapida definizione del giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di licenziamento, ha volutamente inteso rimettere ad un momento eventualmente successivo tale determinazione. Tant o esclude che ai fini dell’ammissibilità della domanda di tutela possa assumere rilievo la mancata produzione delle buste paga attestanti la retribuzione percepita;
5.4. non è configurabile la dedotta violazione dell’art. 111, comma 2 cost. in tema di giusto processo la quale oltre ad essere genericamente argomentata non risulta ravvisabile per il solo fatto che il lavoratore non ha formulato domanda di condanna specifica; né la prospettata violazione può venire in rilievo con specifico riferimento al principio della ‘infrazionabilità del credito’ il quale ricorre in presenza di domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, le quali possono essere proposte in separati processi salvo il verificarsi delle rigorose condizione delineate da Cass. Sez. Un. n. 4090/2017); la eccepita violazione del principio del ne bis in idem non è sorretta da un interesse attuale, configurabile solo in ipotesi di instaurazione di un secondo giudizio in relazione alla medesima domanda;
il quarto motivo di ricorso è infondato nel profilo di censura che deduce violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in quanto la Corte di merito ha dato espressa contezza dei parametri tenuti in considerazione al fine della determinazione del numero delle mensilità di retribuzione liquidate a titolo di indennità risarcitoria, avendo espressamente fatto riferimento sia alla condotta delle parti, ed in particolare alla grave violazione del diritto di difesa del lavoratore scaturente
dall’assoluta genericità della contestazione sia alle dimensioni dell’impresa quale emergente dal volume di affari indicato;
6.1. il motivo in esame è, invece, inammissibile nel profilo di censura che investe la concreta determinazione delle mensilità attribuite, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la determinazione, operata dal giudice di merito tra il minimo ed il massimo è censurabile solo in caso di motivazione assente, illogica o contraddittoria ( Cass. n. 13380/2006, Cass. n. 107/2001), principio ribadito in tema di determinazione dell’indennità ex art. 32, comma 5 l. n. 183/2010 che rinvia al p arametro dell’art. 8 l. n. 604/1966 ( ex plurimis Cass. n. 25484/2019, Cass. n. 1320/2014). Deve peraltro soggiungersi che i criteri indicati dal richiamato art. 8 l. cit. non richiedono una concomitante valutazione da parte del giudice, trattandosi di indicatori previsti dal legislatore per svolgere una valutazione indennitaria che ben puo’ trovare piena soddisfazione solo in taluno di tali indicatori che riescano a realizzare la giusta personalizzazione del ristoro nella singola fattispecie in esame (con riferimento alla personalizzazione del danno si veda Corte Cost. sentenza n. 194/2018). Pertanto la valutazione della corte territoriale, ancorata alle dimensioni dell’impresa ed alla gravità delle violazioni, risulta coerente alle previsioni delle disposizioni inerenti la quantificazione e rispettosa dei criteri ivi contenuti;
al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese processuali ed pagamento, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, dell’ulteriore importo del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 13 novembre