Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23115 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23115 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
Oggetto: differenza retributive
per
mansioni
superiori
giudicato
–
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23661/2021 R.G. proposto da:
AGENZIA REGIONALE RAGIONE_SOCIALE -ARES 118 -, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia ;
– ricorrente –
contro
NOME
-intimato –
avverso la sentenza n. 918/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/03/2021 R.G.N. 108/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’ARES 118 ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 918/2020 della Corte d’appello di Roma, che ha confermato la decisione del Tribunale di Frosinone n. 1015/2017, la quale ha respinto l’opposizione proposta dall’ARES 118 avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME a titolo di differenze retributive per euro 11.000,00 in relazione alle mansioni superiori tra la categoria BS di appartenenza e quella di autista ambulanza (categoria C).
A base del decreto ingiuntivo vi era stata una condanna generica da parte del Tribunale di Frosinone (confermata dalla Corte d’appello di Roma con sentenza avverso la quale non era stato proposto ricorso per cassazione). Il Tribunale, infatti, aveva accolto il ricorso proposto dal COGNOME e da altri ricorrenti, aveva accertato l’avvenuto espletamento da parte degli stessi di mansioni riconducibili alla categoria C ed aveva condannato l’ARES al pagamento delle differenze stipendiali maturate dal 1° gennaio 2009 al giugno 2014 corrispondenti alla differenza tra la categoria iniziale BS4 e quella iniziale C.
La Corte territoriale ha ritenuto essersi formato il giudicato sulla spettanza delle differenze retributive.
Ha evidenziato che tale giudicato precludeva l’applicabilità dell’art. 28 del c.c.n.l. 1999.
Avverso tale sentenza l’ARES 118 ha prop osto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Il lavoratore non ha svolto attività difensiva.
6 . La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
I l primo motivo del ricorso per cassazione adduce la violazione dell’art. 2909 cod. civ., nonché degli artt. 278 e 324 cod. proc. civ.
Assume la ricorrente che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che la sentenza del Tribunale di Frosinone n. 949/2015, avente natura di condanna generica, avesse determinato il giudicato sui criteri di quantificazione delle differenze retributive, precludendo all’ARES 118 la possibilità di contestare tali criteri in sede di liquidazione.
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 112, 342 e 352 cod. proc. civ. e omessa pronuncia su un motivo di appello.
Riprendendo gli argomenti della prima censura, l’Agenzia segnala che sul tema era stato proposto motivo di appello, su cui però la Corte territoriale non aveva pronunciato.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost., degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1371 e 2103 cod. civ., nonché dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, dell’art. 28 del c.c.n.l. 7 aprile 1999 e dei principi in materia di interpretazione e applicazione delle norme contrattuali e collettive (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.).
Assume la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello ha applicato l’art. 28 del c.c.n.l. per determinare le differenze retributive, sebbene tale disposizione sia riferita ai casi di legittima assegnazione a mansioni superiori, mentre nel caso di specie si trattava di esercizio di mansioni superiori di mero fatto, disciplinato dall’art. 52, comma 5, d.lgs. n. 165/2001.
Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Sostiene la ricorrente che la condanna generica non impedisce di valutare nel successivo giudizio se il diritto a percepire ulteriori importi sussista anche in concreto in ragione di quanto già pagato.
Assume che la Corte territoriale non ha considerato la sentenza n. 1718/2020 della Sezione III della stessa Corte d’appello, che in una
fattispecie analoga aveva escluso l’esistenza di un giudicato esterno sui criteri di liquidazione delle differenze retributive in presenza di una condanna generica.
I motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno disattesi, in ragione del giudicato rilevato dalla Corte territoriale e sostanzialmente in sé non contrastato dalle censure sviluppate con il ricorso per cassazione ed anzi evidenziato, nella sua ricorrenza, proprio in base a quanto di tale giudicato pregresso è riportato anche nei motivi stessi.
La sentenza il cui giudicato è dirimente è la n. 4048/2016 della Corte d’appello di Roma, richiamata anche nella sentenza impugnata.
Tale sentenza n. 4048/2016, oltre a confermare la condanna generica al pagamento delle differenze retributive tra le diverse categorie di cui alla decisione n. 949/2015 del Tribunale di Frosinone, ha infatti espressamente affermato – nel testo trascritto sia nella sentenza qui impugnata, sia nel ricorso per cassazione (pag. 4) – che « la deduzione dell’odierna appellante secondo cui le somme avrebbero dovute essere quantificate in base ad importi percepiti e non in base a quelli dovuti in forza delle tabelle salariali della contrattazione collettiva non è fondata, atteso che l’eventuale percezione da parte degli odierni appellanti di importi diversi dai minimi tabellari avrebbe dovuto essere oggetto di tempestiva e specifica allegazione, nonché di prova, da parte dell’odierna appellante ».
È quindi vero che la pronuncia originaria da cui è scaturito il giudicato -che è la citata sentenza di reiezione dell’appello avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone – era generica.
Tuttavia, essa si è espressa anche, nel senso dell’infondatezza, rispetto alla quantificazione del c.d. sottraendo in importi diversi dai minimi tabellari o livelli iniziali – negandone la possibilità per difetto di prova e dunque questo profilo, al di là dell’assetto giuridico astratto, non può ulteriormente essere disaminato.
Ciò rende superflue le questioni riguardanti appunto il regime giuridico del calcolo di quelle differenze retributive, qui assorbito dall’essere intervenuto, su di esso, il giudicato, nel senso che tra le parti, per quanto deciso nel precedente intercorso, quegli importi sono da attribuire in misura pari alla differenza tra i trattamenti C iniziale ed il trattamento della posizione BS, come ritenuto dalla Corte d’appello nella sentenza n. 4048/2018 e ora anche, per effetto del giudicato, dalla sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione.
Il tema non è dunque quello, cui la ricorrente insiste ancora in memoria, della natura di condanna generica dell’originaria sentenza tra le parti, perché ciò non esclude che, ferma restando tale natura, la pronuncia possa in concreto già definire – come è nel caso di specie – in via parimenti generica ma preclusiva rispetto a ricostruzioni successive diverse, alcuni profili della base di calcolo del diritto riconosciuto.
Ciò comporta il rigetto dell’impugnazione, senza che nulla debba statuirsi sulle spese in quanto il lavoratore è rimasto intimato.
7 . Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un, 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.
Ai sensi del d.P .R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis , se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025.